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Schede: Le roman de Fauvel
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1. Favellandi vicium

Mottetto isoritmico adattato da un canto costruito sul melisma di «in corde ipsius» dal graduale Os iusti (Lu 1191, trad.):

1. De gravi seminio | W2, fols. 157v-158r (2v m+t) — Ma, fols. 2v-3r (2v tr+t) [ed. Anderson 1976, 1: 174-76, 2: 81- 82]

2. Bien me doi desconforter / Com li plus desespere / In corde ipsius | W2, fols. 202v-204r (3v) — Mo, fols. 185v-188r (3v) [ed. Rokseth 1939, 2: 259-60, Tischler 1978, 2: 156-57, 4: 53, Tischler 1985, 2: 592- 96]

  1. W2 Ma 2. W2 = Mo
triplum
motetus
tenor liturgico

De gravi seminio
In corde
[senza testo]
De gravi seminio
[a]
Bien me doi desconforter
Cum li plus desesperez
In corde
a. Presumibilmente mancante perché interrotto.

Il graduale vede nella giustizia del cristiano verità e conoscenza. L'adattamento latino (W2, Ma) riconosce nella giustiza la povertà francescana (un legame con il tenor è nel penultimo verso "cordis de sacrario"). Il testo (in Everist 1985/i: 15) si traduce:

Dalla ricca semina | che il padre ha servito ai coloni | morto il figlio | crebbe la messe d'un buon raccolto | Così una fedele unione | bagnata di rugiada | nel collegio dei fratelli | protetti da Francesco | attenta alla carità | ha riempito il mondo precedente | del suo esempio | Già diffusa la povertà | la dovozione ha cacciato il fasto | dal sacrario del cuore | e la legge di Dio ha sconfitto il male

L'espansione francese è il lamento di un amante non corrisposto, derivata dal mottetto latino che rivendica la dignità degli ultimi, come ultimo è l'amante. Immaginare il contrario (il latino dal francese) è meno probabile.

L'adattamento di Fauv si limita a usare la melodia del triplum accompagnato da un nuovo tenor assai meno regolare. Si basa probabilmente sul francese perché conserva l'ipometria del v. 6 e a volte rende ipermetri i versi che in francese hanno uscita femminile (vv. 4, 13, 15).

Fonti
Fauv Parigi, Fr. 146, n. 6, f. 1r (2v)
Ediz. Schrade 1856: p. 1 | Comm.: 57
Bibl. Morin 1992: 327 (ed. Mo) | Roesner 2003: 180-191
Audio (Blanchard 1957) | (Binkley 1972)
  (tenor sinottico + edizione dipl.)
Bien me doi desconforter
Quant fine amour me guerroie
Quant ne vent a moi parler
cele a qui mes cuer sorroie
7
7'
7
7'
Favellandi vicium
Et fex avaricie
Optinent nunc solium
Summumque locum curie
a
b
a
b
òoooòoo = 5"
òoooòoo
òoooòoo
ò8ooòoo
Il vizio d'esser Fauvel
e il fango dell'avarizia
occupano ora il trono
e la posizione più alta della corte
Qui tant me fait souspirer
et nuit et jour penser
Si ne la puis oublier
Car mon cuer a sans fauser
7
6
7
7
Munus dat propicium
Judicem et pium
Lex subit exilium
Et prestat judicium
a
a
a
a
òoooòoo
òoooòo–
òoooòoo
òoooòoo
Il denaro rende il giudice
favorevole e gentile
La legge è condannata all'esilio
e la giustizia è in vendita
Me s'el me voloit amer
James nul jour mal n'avroie
Or mestuet a li parler
Car volentiers le diroie
7
7'
7
7'
O quale contagium
Quante pestilencie
Lateri potencie
Herentes cotidie
a
b
b
b
òoooòoo
òoooòoo
òoooòoo
òoooòoo
Oh che infezione
Quante pestilenze
vicino al potere
affliggono ogni momento
Pleisant brune simple et coie
Se vos me deignies amer
De tous maus garis seroie
7'
7
7'
Voces adulatorie
Scandunt ad dominium
Fraus imperat justicie
Deus misericordie
Adhibe hic consilium
b
a
b
b
a
ò8ooòoo
òoooòoo
ò8ooòoo
òoooòoo
ò8ooòoo
Voci lusinghiere
raggiungono i principi
La frode comanda la giustizia
Dio misericordioso
fa valere la tua saggezza

I/a. Presentazione di Fauvel

2. Mundus a munducia

Mottetto che usa la melodia di Mundus a mundicia aggiungendo nuovo accompagnamento (che sembra un esercizio per le ligaturae). Il brono originale è la prima stanza di un poemetto di nove attribuito a Filippo il Cancelliere. La versione di Fauv aggiunge altri 3 versi adattando una sezione della stanza (v. la freccia nell'ed.)

Fonti
P Paris, Lat. 8433, f. 46r (1v) — L London, Egerton 274, f. 41 (2v) — F Firenze, Pluteus 29.1, f. 240v [alter] (3v) — Fauv Parigi, Fr. 146, n. 6, f. 1r (2v)
Ediz. Schrade 1856: p. 2 | Comm.: 58
Bibl. Roesner 2003 | Lopez 2021
Audio (Collage 2006) | (Azafran 2019) | (strum., Slaatto 2019) | cfr Sinossi
Mundus a mundicia
Dictus per contraria
Sordet immundicia | Criminum
Crescit in malicia
Culpa nescit terminum
a
a
ab
a
b
5"
5"
5"|1"
5"
5"
Il mondo (da 'mondare'
detto al contrario)
è macchiato dalla sporcizia | del crimine
s'alimenta nel male
Il crimine non conosce limiti
Nam sedutrix hominum
Favelli nequicia
Non habet hic dominum
b
a
b
5"
5"
5"
Già seduttrice dell'umanità
la perversione di Fauvel
qui non ha controllo

Questi pochi versi sembrano ricordare la quarta strofa di Utar contra vitia (xii sec. ex), celebre invettiva contro la curia romana più spesso citata proprio a partire dalla quarta strofa (come nello Speculum ecclesiae (1220) di Giraldo Cambrense:

Roma mundi caput est, | sed nil capit mundum,
quod pendet a capite, | totum est immundum;
trahit enim vitium | primum in secundum,
et de fundo redolet, | quod est iuxta fundum.
Roma è la testa del mondo, ma nulla ha di mondo [= pulito]
e poiché pende dalla testa tutto è immondo
un vizio porta infatti ad altri vizi
e sa di fogna perché è vicino al fondo.

Vi è anche un altro passo di Fauvel (vv. 449-462) che ricorda questa quartina, quando si vuole che la Chiesa, testa del mondo, governi i regni, sue membra:

Et par reson le pues veïr
Le braz doit au chief obeir
Et a execusïon metre
Ce que le chief li veut commetre
Mout prest est le braz par nature
A garder le chief de laidure
Quer le chief est plus haut en l'omme
Que n'est nul des membres, si comme
Celi qui tout le corps gouverne
Par lui volt et ot et discerne
Et se le chief estoit malade
II n'i a membre, tant soit rade
Ne soit en mateté greigneur
Com li sergant de leur seigneur
Con la ragione lo puoi intendere:
il braccio deve obbedire alla testa
ed eseguire
quel che la testa gli comanda.
Per natura il braccio è pronto
a proteggere la testa da sozzura,
poiché la testa nell'uomo sta in alto
più delle altre membra, essendo
quella che governa il corpo:
per mezzo suo vede sente e ragiona.
Se per caso la testa si ammalasse,
non ci sarebbe parte, nbenché salda,
che non ne apparirebbe affaticata,
essendo serva di quella signora.

3. Quare fremuerunt

Monostrofa in Barform che Fauv chiama (indice) motet evidentemente per la presenza del tenor. La scrittura delle due voci ha un insolito trattamento isocrono e contrappunto speculare, forse con finalità didattiche.

Fonti
Fauv Parigi, Fr. 146, n. 6, f. 1r (2v) — con altra musica: F Firenze, Pluteus 29.1, f. 244v [alter] (3v)
Ediz. Wolf 1904, ii.4, iii.8 | Apel 1942: 326 | Schrade 1856: p. 4 | Comm.: 59
Bibl. Flacius 1552: #15 (testo) | Everist 2018: 230
Audio cfr Sinossi

La metrica regolare del latino (senari e quinari sdruccioli) è in realtà intonata 'alla francese', come fossero esasyllabes.

Quare fremuerunt | Gentes et populi?
Quia non viderunt | Monstra tot oculi
ab
ab
5'|4"= 6|6 Perché fremono | popoli e nazioni?
Perché gli occhi mai videro tanti mostri
Neque audierunt | In orbe seculi
Senes et parvuli | Prelia que gerunt
ab
ba
  Nè udirono | in tutto il mondo
vecchi e bambini | le guerre che conducono
Et que sibi querunt | Reges et reguli?
Hec inquam inferunt | Fauvel et Falvuli.
ab
ab
  E cosa cercano di ottenere | re e reucci?
Dico che ciò si deve | a Fauvel e ai Fovellini

Non c'è ragione di considerare ternaria la longa (come fa Schrade, trascurando la pausa binaria ripetuta ben tre volte e omettendo di imperfezionare le longae). L'omissione della plica alla prima longa del tenor (sempre in Schrade) produce un'improbabile dissonanza, tanto apprezzata ed enfatizzata nelle moderne esecuzioni.

4. Super cathedram

Mottetto isoritmico. Il tenor (Ruina) non è identificato, ma è utilizzato con altro metro da Machaut nel mottetto Tant doucement / Ains que ma dame [|+tenor]. I primi due versi del motetus (Presidentes) sono citati da Watriquet de Couvin (fl. xiv sec. in.) in una sua poesia.

Fonti
Br Bruxelles, Bibl. Royale, 19606 [sez.] — Fauv Parigi, Fr. 146, n. 6, f. 1v
Ediz. Schrade 1956: 5 | Comm.: 61
Bibl. Shaffer 2017 (ed. di Machaut)
Audio (Hanna Marti, 2020) — midi: (tenor) | (motetus) | (triplum) |
  (ed. dipl.)
Triplum        
Super cathedram Moÿsi | Latitat sub ypocrisi
Grex modernus prelatorum | Quid verior testis nisi
Rex eternus paradisi | Cuius hec forma verborum
aa
ba
ab
7'/ 6" [a] Sul pulpito di Mosè | sotto l'ipocrisia si nasconde
il gregge dei moderni prelati [vescovi] | Che dice il Vero se non
il Re eterno del paradiso | le cui parole sono:
Ipocrisia della Chiesa
Quod vobis dicunt facite | Sed quod faciunt nolite
Ergo qui nunc presidetis | De vobis erubescite
Quod hec verba regis vite | Per vos impleta videtis
    "Fate quello che vi dicono | ma non quello che fanno" [Mt 23.3]
Quindi voi che avete potere | vergognatevi di voi stessi
perché queste parole del Re della vita | come vedete vi riguardano
 
Vestra caret antistite | Plebs et aulis indebite
Regalibus assidetis | Ab hiis ergo recedite
Nam vos rodit in stipite | Fraus vestra sic corruetis
    Vi manca la guida | popolo e corte, indebitamente
seduti nella reggia | Allontanatevi dunque da quei luoghi
Vi logora infatti fino al midollo | l'impostura e vi distruggerà
Evitate i seggi di potere
Sed et de regularium | Vita impleri alium
Dei sermonem videte | Venient falsi prophete
In vestimentis ovium | Lupi autem interius
aa
bb
ac
  E in merito ai monaci | potete vedere compiuta
un'altra parola divina: | "Verranno falsi profeti
travestiti da pecore | che dentro sono lupi" [Mt 7.15]
Falsità dei monaci
Rapaces et deterius | Hoc verbum certe iudico
Altero quod superius | Ad pontifices applico
Nam figmentum dolosius | Et delictum atrocius
cd
cd
cc
  Rapaci e peggiori | li considero per questa accusa
rispetto all'altra che sopra | ho applicato ai vescovi:
perché è inganno più grave | e crimine orribile
 
Hoc ultimo demonstratur | Ut tamen loquar sanius
Plures horum operantur | Sanctissima sed est hora
Nisi pravi dirigantur | Periculum est in mora
ec
ef
ef
  Come infine si dimostra | benché però a dire il vero
ci sono molti tra loro che lavorano | ma è giunta la santissima ora
se chi sbaglia non verrà raddrizzato | il pericolo rimane
Non tutti sbagliano
Motetus        
Presidentes \ in thronis seculi
Sunt hodie \ dolus et rapina.
Militantes \ cesserunt Herculi
Ecclesie \ perit disciplina
Ymnos arma \ repellunt loculi
Regnat domus \ rapax et volpina
Thesaurizans \ sanguinem parvuli
Caret basis \ lapide anguli
Quis effectus \ Sepius protuli
Prope est ruina
a
b
a
b
a
b
a
a
a
b
décas. Chi domina il mondo in trono
è oggi astuto e rapace
Soldati erculei non ve ne sono più
La disciplina della Chiesa perisce
I forzieri allontanano armi ed inni
È una casa rapace e volpina quella che regna
arricchendosi col sangue dei poveri
La pietra di volta cede ai lati
Qual sia l'effetto l'ho già annunciato:
prossima è la rovina
Corruzione dei potenti
a. Oscillazione permessa dalla pronuncia prevalentemente ossitona del latino nella Francia del Nord.

6. Heu quo progreditur

È il primo di numerosi brani monodici, tratto dalla prima strofa di una canzone cui sono stati aggiunti alcuni versi per agganciarsi al contesto. La bibliografia in Anderson 1977: J26 riferisce:

2pt: F 7, 91, f. 350v; Fauv No. 6, f. 2r (1 voce); ORawl No. 3, f. 7r (Tt); OAdd No. 77, f.126r (Tt)
Tt: EHR 5, 323; AH 21, 147; Delisle 118; Dahnk 15
Lit: Chev 27613; CMA 7804; Gr 23, 26, 28, 126; RISM 767; AfMW 5, 279; NPhM 37, 205; BEeCh 46, 583; BEeCh 47, 91; M+RS 1, 72; Spanke Bez 37; Wolf G 42, 52*; Schrade Commentary 63 [sigle]

Ovvero:

Fonti
m F Firenze, Pluteus 29.1, fasc. 7, n. 91, f. 350v (2 voci) [strofe 1-2]Fauv Parigi, Fr. 146, n. 6, f. 2r (1 voce) [st 1 + altro]
  tx Or Oxford, Rawlinson C 510, n. 3, f. 7r [strofe 1-4]Oa Oxford, Add. A 44, n. 77, f. 126r (solo testo) [strofe 1-7]
Ediz. m Harrison 1963: 145 — Tischler 1990: 15
  tx Delisle 1885: 118 [da F] — Dreves 1885/21: 147 [da Or] — Kingsford 1890: 323 [da Oa]Dahnk 1935: 15 [da Fau]
Bibl.   Madan 1885: 583 — Hauréau 1886: 91 — Wolf 1904: 42, 46, 52 — Chevalier 1921: #27613 — Ludwig 1923: 279, nota 1 — Spanke 1936: 37 — Spanke 1936/a: 205Gröninger 1939: 23, 26, 28, 126 — Schrade 1956: Commentary: 63 — Wilmart 1958: 72Walther 1964/2.2: #7804 — Reaney 1966: 767
Audio   (Conductus 1, 2012)

La strofa è costituita da 8 quinari sdruccioli (4") che mostrano passo ternario (o binario in levare):

Heu quo progreditur | Praevaricatio
Virtus subtrahitur | A sanctuario
Iam novo traditur | Christus praetorio
Cum Petrus utitur | Pilati gladio

L'intonazione di F, pur amensurale, mostra però l'attacco in battere di ogni verso e indizi di prolungamento alla prima o terza sillaba che permette al passo ternario di essere reso come terzo modo (prolungamento sulla prima) o quarto (sulla terza). La prosodia del verso suggerisce un terzo modo prima della tonica (fa eccezione solo il primo verso) e un quarto a seguire.

La resa di Fauv mostra alcune incongruenze (indicate con un asterisco), che sembrano derivare dal precedente amensurale. Alcune considerazioni:
– l'unità di tempo non è la breve ma la longa, senza tuttavia avere un segno per indicare la duplex longa
– l'oscillare fra primo e secondo modo (con la B in posizione forte per esigenze prosodiche, non della regola mensurale), mostra da un lato un sistema non ancora stabile, dall'altro quella libertà propria dell'esecuzione solista
– la mensura della parte preesistente rende il tipico passo ternario ddel quinario sdrucciolo (4"), mentre la parte aggiunta, seppur conserva il metro (a parte l'ultimo verso), mostra una resa musicale molto più varia, forse più moderna.

Questa la canzone strofica (da Or).

i. Heu quo progreditur | Praevaricatio
Virtus subtrahitur | A sanctuario
Iam novo traditur | Christus praetorio
Cum Petrus utitur | Pilati gladio
ab
ab
ab
ab
4"|4" Oh quanto si diffonde | la trasgressione
La virtù è allontanata | dal santuario
Di nuovo è portato | Cristo in tribunale
con Pietro che usa | la spada di Pilato
ii. In loco praesulum | Pilatant consules
Cum facta consulum | Usurpent praesules
Adorant vitulum | Proscribunt exsules
Propinant poculum | Quo Christe procul es
    Sono al posto del vescovo | i consoli di Pilato
Fatta la consulta | hanno spodestato i presuli
Adorano il vitello | bandiscono gli esuli
Offrono calici | in cui, Cristo, non ci sei
iii. In pontificibus | Regnant carnifices
In carnificibus | Insunt pontifices
Cum sacerdotibus | Depilant vertices
Et in abbatibus | Abbatant simplices
    Fra i pontefici | regnano i carnefici
Fra i carnefici | vi sono i pontefici
con i sacerdoti | i vertici impoveriscono
e fra gli abati | mancano i semplici
iv. Cum Christi tunica | Partita scinditur
Ovis dominica | Lupis exponitur
Et apostolica | Navis subvertitur
Immo piratica | Puppis efficitur
    Quando il manto diviso di Cristo è distrutto
le pecore della domenica sono esposte ai lupi
e la nave apostolica è rovesciata
Meglio: la nave dei pirati avanza

Il testo di Fauvel:

Heu quo progreditur | Praevaricacio
Virtus subtraitur | A sanctuario
Iam novo trahitur | Christus pretorio
Cum Petrus utitur | Pilati gladio
ab
ab
ab
ab
4"|4" Oh quanto si diffonde | la trasgressione
La virtù è allontanata | dal santuario
Di nuovo è portato | Cristo in tribunale
con Pietro che usa | la spada di Pilato
Fretus consilio | Falvelli leditur
Superna legio | Iuste conqueritur
Supplicat igitur | Patri et Filio
Quod de remedio | In hoc medio
ab
ab
ba
aa
  La rovina ci danneggia | per le decisioni di Fauvel
la legione celeste | giustamente si lamenta
Perciò implora | il Padre e il Figlio
per un rimedio | in queste circostanze
E vestigia provideat | Spiritus almus.   7"|4' Subito provveda | lo Spirito benigno

Forse un'evocazione di questa stessa prima strofa si ha in una lirica del Codex Buranus (cb 124):

Dum Philippus moritur | Palatini gladio
virtus mox conteritur | scelerosi vitio
Dulcis mos obtegitur | a doli diluvio
hëu quo progreditur | fidei transgressio
Lex amara legitur | dum caret principio
mel in fel convertitur | nulla viget ratio
ab
ab
ab
ab
ab
ab
5"|5" Mentre Filippo muore per la spada palatina
la virtù è presto schiacciata dal vizio malvagio
Il dolce uso è sommerso da un diluvio di inganni
Oh quanto progredisce la trasgressione della fede
L'amara legge s'impone quanto è priva di principi
Il miele si trasforma in fiele, nessuna ragione prevale

7. In mari miserie

Fauv = Mo (3 voci), StV (2 e 3 voci, senza testo) e W2, P844, N (3 voci): Fauv tenor = triplum degli altri mss. Fauv aggiunge l'ultimo verso.

Fonti
Fauv Parigi, Fr. 146, f. 2v (2 voci) — Mo Montpellier, H196, ff. 99v-101r (tre voci: In mari miserie / Gemma pudicitie / Manere)
clausula Manere 2v e 3v con stesso tenor: StV Paris, Lat. 15139, f. 288r
mottetto De la ville issoit / A la ville une vieille / Manere: W2 Wolfenbüttel, Guelf. 1099, f. 212rP844 Paris, Fr. 844, f. 207rN Paris, Fr. 12615 (Chans. Noailles), f. 186v
Ediz. Schrade 1956: 10 | Comm.: 63 | Saint-Cricq 2017: lxiii, 155
Bibl. Ludwig 1924: 278 | Wolf 1904: 46 | Wolf 1913: 256 | Bent 1998: 180, 649-50 | Devlin 2011: 191 | Lecco 2014: 136
Audio (Binkley 1972) | (Munrow 1976) | (Clemencic 1976) | (Boston Camerata 1995)
Mo Fauv      
Triplum Motetus      
In mari miserie | Maris stella
Errantes cotidie | A procella
Defende nos et precare | Dominum pie
Ut ad portas glorie | Nos trahat per hoc mare
In mari miserie | Maris stella
Errantes cotidie | A procella
Defende nos et precare | Dominum pie,
Ut ad portas glorie | Nos trahat per hoc mare
Nosque Fauvel faciat superare
ab
ab
ca
ac
c
5"|3'= 10'
5"|3'=10'
7'|3"
5"|6'
10'
Nelle tribolazioni del mare | o Stella del mare
vagando ogni giorno | fra le tempeste
difendci e prega | piamente il Signore,
che alle porte della gloria | ci salvi da questo mare
e ci faccia migliori di Fauvel
Duplum        
Gemma pudicitie | Laude plena
ex te sol [...] [a]
La gemma di castità | piena di lode
da te solo ...
     
a. Parte restate non compilata in Mo.
w2 P844 N      
Triplum      
De la ville issoit pensant | par un matin
Maros, si voit par devant | passer Robin.
A sa vois k’ele ot doucete | li dist en chantant:
“Alés moi contratendant! | Je sui vostre amïete”
7|4
7|4
8|5
7|6'
  Uscendo assorto dalla città | una mattina
Maros vide davanti a lei | passare Robin
Con la sua dolce voce | gli disse cantando:
“Ehi aspettatemi | sono la vostra amica”
Duplum      
A la ville une vielle a | ki prent mari
qui amie as noces va | grant route od li
Oiant touts ceaus ki sont la | comence a haut cri:
“G’irai ad noces mon ami | plus dolente de moi m’ira”
7|4
7|4
7|5
7|8
  In città c'è una vecchia | che prende marito
e l'amica che l'accompagna alle nozze | per la lunga strada
sorprendendo tutti i presenti | comincia a gridare:
“Andrò alle nozze del mio amico | nessuno là sarà più dolente di me”

10. O varium fortune

Fonti
F Firenze, Pluteus 29.1, f. 351v (2 voci) [str. 1, 2 p]Cb Müchen, Bayerischen Staatsbibliothek, Clm 466, f. 47v [str. 1-4, 1 p] [sito] — Fauv Parigi, Fr. 146, n. 6, f. 3v (1 voce) [str. 1, 1 p] Or Oxford, Rawlinson C 510, n. 3, f. 12r [str. 1-5] (solo testo)
Ediz. Dreves 1895/21: 102 [da Or + Cb, F] (solo testo) — Harrison 1963: 148 — Tischler 1990: 16
Bibl. Schumann 1970 [1930]: 31 — Anderson 1977: J27
Audio  
O varium | Fortune lubricum
dans dubium | tribunal iudicum
non modicum | paras huic premium
quem colere | vult tua gracia
et petere | rote sublimia
dans dubia | tamen prepostere
de stercore | pauperem erigens
et fauvellum | in altum erigens
ab
ab
ba
cd
cd
dc
ef
ef [a]
2"|4" trad
quo consule | f ides est mortua
ecclesia | ductore vidua

   
a. In origine: de rethore | consulem eligens
———

Il novenario proparossitono latino «was extremely popular in the twelfth century and later» (Norberg 1958 [2004]: 147) e benché lo si consideri derivazione del tetrametro dattilico catalettico:

()

In realtà, proprio in ragione della cesura appare legato al decasyllabe, verso tipico delle chansons de geste. Ma se la forma tonica mediolatina adotta un passo ternario in levare, producendo un verso proparossitono:

|

Il décasyllabe francese lo traduce in battere:

| ()

La differenza è quasi trascurabile se si conserva, contemporaneamente, anche la quantità:

   |   
   |   
quarto modo
terzo modo
latino
francese
oòoo|oooòoo
oooò|oooooò

[ex.]

 

 

13. Floret fex Favellea

Contrafactum di Redit etas aurea [Cb] (attr. a Filippo il Cancelliere in Traill 2018). Redit celebra il buon governo di Riccardo Cuor di Leone e forse è stato scelto per ironico contrappasso, visto che descrive un regno allo sbando. Vi è un probabile riferimento alla "cattività avignonese" ("curia fit ferrea") qui come in Dante.

Fonti
Fauv Parigi, Fr. 146, f. 4v (1 voce)
Ediz. Harrison 1963: 152 — Tischler 1990: 20
Audio (Boston Camerata, vocale, 1995) | (idem, strum.) | (Joglaresa, 2012) | (Música Antigua de Albuquerque, 2021)
Redit etas aurea
Fonti
F Firenze, Pluteus 29.1, f. 318v [alter] (2 voci) [str. 1, 3, 4]W1 Wolfenbüttel, Herzog August Bibliothek, Guelf. 628, f. 110v (2 voci) [str. 1-4] — Or Oxford, Rawlinson C 510, 237v / 8v [str. 1-4] (Cuiusdam commendatio, solo testo)
Ediz. Dreves 1895/21: 177 (testo) — Gillingham 1993: 307 — Traill 2018: 6 (testo) pdf (Excell 2017)
Audio (St. George's Canzona, 1976) | (Alla francesca, 1996) | (Capilla Antigua de Chinchilla, 2012) | (Sanlıkol, 2013, strum.) | (Duo ObSolute, 2023) | (?)
α
α


β
Redit etas aurea| mundus renovatur
Dives nunc deprimitur | pauper exaltatur


Omnis suo principi | plebs congratulatur
Nec est locus sceleri
scelus datur funeri | scandalum fugatur
α
α
β

γ
Floret fex favellea | mundus innovatur
Curia fit ferrea | Fauvel exaltatur
Quisque pauper hodie | in contemptum datur
Formatur in specie | Christi vir dampnatur
Incensate bestie | plebs congratulatur
Nunc est locus sceleri
Fides datur funeri | veritas fugatur
ab
ab
cb
cb
cb
d
db
5"|5' metro goliardico Si diffonde il fango di Fauvel | il mondo cambia
La curia è imprigionata | Fauvel esaltato
Oggi ogni pover uomo è disprezzato,
proprio come Cristo viene condannato.
Con l'ammirata bestia il popolo si congratula.
Ecco il posto del vizio:
la fede è morta, la verità bandita.

Redit etas aurea| mundus renovatur
Dives nunc deprimitur | pauper exaltatur
Omnis suo principi | plebs congratulatur
Nec est locus sceleri
scelus datur funeri | scandalum fugatur
aa
aa
–a
b
ba
5"|5' metro goliardico Ritorna l'età dell'oro | il mondo si rinnova
I ricchi sono puniti | il povero esaltato
Con tutti i propri principi | il popolo si congratula
né c'è posto per il vizio
il peccato è morto | lo scandalo bandito
Deus regem contulit | nobis preoptatum
Terra cornu protulit | copie ditatum
Murmur omne populi | prorsus est sedatum
Plebs sub pace regia
gaudet. Pax Iustitia | sese osculatur
      Dio ci ha dato il re | che desideravamo
La terra ha dato | ricca abbondanza [cornucopie]
L'insoddisfazione del popolo | si è interamente spenta
Il popolo sotto regal pace
è felice: pace e giustizia | si baciano
Pius potens humilis | dives et maturus
etate sed docilis | et rerum securus
suarum preficitur | Anglie, daturus
rapinis interitum
clero iuris aditum | locum veritati
      Pio potente umile | ricco e maturo
per età ma docile | e sicuro nelle azioni
govera la sua | Inghilterra e con lui si darà:
fine delle rapine
accesso ai diritti per il clero | e spazio alla verità
Gaudeat Pictavia | iam rege ditata
tumescat Normannia | auro coronata
Vasco Scotus Britones | obtinent optata
Sine dolo Cambria
servit et Hibernia | nostre potestati
      Sia felice Poitiers | ora arricchita di un re
orgogliosa la Normandia | coronata d'oro
Guasconi Scozzesi e Bretoni | hanno avuto il richiesto
Senza disagio il Galles
e l'Irlanda rientrano | nel nostro potere
a. Page e Traill, per restaurare la rima correggono in Etas auri redditur

I/b. Corrotti del mondo

21. Quasi non ministerium

Mottetto a 4 parti contro la corruzione della chiesa. È possibile essere sicuri che Bruxelles, benché più tarda, sia copia di un mottetto precedente a Fauv, perché l'incipit del duplum sostituito viene usato per una fatras di Fauv (#89/a).

Fonti
Br Bruxelles, Bibl. Royale, 19606 (3 pt, testo del duplum diverso) — Fauv Parigi, Fr. 146, n. 6, f. 6v
  Quid ultra: F, f. 423r | Da 2777, f. 4r e 91r (testo)
Ediz. Schrade 1856: p. 18 (#11) | Comm.: 70
  Quid ultra: Dreves 1985/21: 141
Bibl. Plumley 2011: 110-11 | Dillon 2012: 123-124
  Quid ultra: Anderson 1974: 191 (K17)
Audio (Binkley 1972) | (Munrow 1975) | (Orlando consort 1990)
  (ed. sinottica Fauv + Br)

Il tenor isoritmico è tratto da un responsorio per l'ufficio (festa di sant'Agostino) [Cantus|ms] dal salmo 25.8 [vulgata]:

Displicebat ei quidquid agebatur in saeculo prae dulcedine dei et decore domus eius quam dilexit
[Sprezzava tutto ciò che accadeva nel mondo in confronto alla dolcezza di Dio e alla bellezza della Sua casa che tanto amava]

È evidente che canto francese interpreti il senso del tenor (come la vera fede sprezza il mondo, così la purezza della dama sprezza il poeta).

Confronto sinottico dei due dupla (metro di 8 sillabe: oooooooò > oòoooòoo):

Duplum in Bruxelles     Duplum in Fauv    
An diex, ou pora ge trover
confort conseil n'alegement
Des maus que la bele au vis cler
me faet sentier si asprement?
Du tout est tout a moi grever
se delite a ensient
Vray Diex comment de ce torment
poray estre seurement?
a
b
a
b
a
b
b
b
O Dio dove posso trovare
conforto, consiglio e sollievo
dal male che la bella dal viso pulito
mi fa sentire così aspramente?
Continuamente mi affligge
e si diletta a infierire
Vero Dio come da questo tormento
potrò essere salvato?
Ve qui gregi deficiunt
Tempestatis articulo
Qui veraces dejiciunt
Suo fruentes baculo
Nec pensant nec respiciunt
Sub cujus peccant oculo
Et animas subiiciunt
Graviori periculo!
a
b
a
b
a
b
a
b
Guai a quelli che deludono il gregge
nel pieno della tempesta,
che scacciano i sinceri
esibendo il proprio bastone
e non pensano o si curano
di peccare sotto il loro sguardo [del grege],
sottoponendo le anime
a un pericolo maggiore.
Las, quant mercy pri doucement
elle me dist cruellement:
"Fui de ci, de toi n'ai que faire
j'ai che qui me vient a talent"
Est si en moi chesist et prent
sans parler au provoust n'a maire
b
b
c
d
d
c
Ah se con grazia la prego dolcemente
lei mi dice crudelmente:
"Via da qui, con te non m'immischio
ho già ciò che desidero"
Così lei mi ha scelto e preso
senza coinvolgere prete e sindaco
Onus quod vobis imponunt
Nolunt movere digito.
Hinc est quod eos diligunt
Qui palpant in abscondito.
Hos a secretis abigunt
Qui vera dicunt subito
a
b
a
b
a
b
Per il peso che vi impongono
loro non spostano con un dito.
Per questo amano coloro
che si muovono occultamente.
Sono tenuti lontani dai segreti
quelli che dicono subito la verità.

La figura mostra la corrispondenza fra il distico della fatras (cfr.89/a) e i primi due versi del mottetto di Bruxelles:

Il triplum è lo stesso in entrambi i mottetti (stesso metro):

Triplum    
Trahunt in precipicia
qui nos tenetur regere
si quae docent salubria
primo deformant opere
a
b
a
b
Ci traggono negli abissi
loro tenuti a governarci
Se qualcosa appare salutare
subito la deturpano con l'agire
gaudent frui potentia
honoris sine honere
Promovent ad officia
quos deberent deprimere
  Godono ad aver potere
di onori senza oneri
Promuovono alle cariche
chi dovrebbero degradare
promptus verba duplicia
que non abhorrent serere
Sed stabiles justicia
hos non cessant depellere
  usando parole ambigue
che non esitano a diffondere
Ma chi è fermo nella giustizia
continua a respingerli
et hii malunt supplicia
pati et vera dicere
quam ferre beneficia
et veritatem tegere
  Essi sopportano suplizi
tormenti e le parole sincere
piuttosto che aver favori
e nascondere la verità
Sic iure privilegia
promerentur admittere
qui presunt in ecclesia
hiis abutentes propere
  E così a diritto i privilegi
meritano ottenere,
mentre chi governa la Chiesa
ne abusa scandalosamente.

Il quadruplum (stesso metro) adotta le str. 6-7 di Quid ultra tibi facere, canzone strofica che si rirova in F (musica diversa).

Quasi non ministerium
Creditum sit pastoribus
Sed regnum et imperium
Onus de reliquentibus
Vacuisque lampadibus
Sumuntur ad dominium
Pensantque lane precium
Et non curant de ovibus
De quorum sanguis ovium
Est requirendus manibus.
a
b
a
b
b
a
a
b
a
b
Quasi non fosse un servizio
affidato ai pastori
– ma regno e impero,
peso di lanterne
abbandonate ed esaurite –
si appropriano dei terreni
e valutano il prezzo della lana
incuranti delle pecore
Il sangue di queste pecore
bisogna sentirlo sulle mani
Verum ire vicarium
Christi deceret passibus
Christique patrimonuium
Suis dare pauperibus
Non ignavis parentibus
Ac in ovile ovium
Non ingressi per ostium
Sed vel vi vel muneribus
Quesitis post flagicium
Abutuntur honoribus
  Il vero vicario deve andare
seguendo le orme di Cristo
Il patrimonio di Cristo
deve dare ai suoi poveri
non a parenti annoiati
ma nell'ovile delle pecore
Non sono entrati dalla porta
ma con la forza o il danaro
preteso a seguito di corruzione
abusando degli onori

27. Desolata mater ecclesia / Que nutritos

Fonti
Fauv Parigi, Fr. 146, n. 6, f. 8v
Ediz. Schrade 1856: 24 (#13) | Comm.: 73
Bibl. Ludwig 1902: 10 | Ludwig 1927: ii.61 | Besseler 1927: 190 | Dahnk 1935: 57 | Dahlhaus 1966 [1990]: 74-77 | Anderson 1976: 121 | Morin 1992 | Bent 1998: 36, 249 |
Audio (Modo antiquo 1999) | (La Reverdie 5.5.2014, live Teatro Olimpico) | (midi)
Triplum      
Desolata \ mater Ecclesia | A filiis \ se contemptam videns
Lamentatur \ potissime quia | Patet horum \ facinus evidens.
Prelatorum \ inspicit opera | Fratrum Templi \ nephanda scelera
In clericis \ pectata cetera | Dont dit la mere \ qui le cuer amer a:
«Dic mihi, dic Christe | si sit dolor ut dolor iste?»
ab
ab
cc
cc
dd
4|5"



5'|8'
Sconsolata, la santa madre Chiesa | vedendosi disprezzata dai suoi stessi figli
si duole principalmente per | l’evidente paternità di tali ignominie
Contempla le malefatte dei prelati | i nefandi misfatti dei frati Templari
i molti peccati del clero | e così si lagna la madre dal cuore colmo d’amarezza:
Oh dimmi, dimmi Cristo | vi fu mai dolore quale quello che io patisco?
Duplum      
Que nutritos filios | Evexit sublimiter
Specta probat impios | Unde gemit acriter
Pandens horum vicium | Quod a cunctis spernitur
Nedum ejus gremium | Illi qui revertitur aperitur
ab
ab
cd
cd
5"|5" Lei che i grassi figli | ha reso sublimi
guarda l'opera degli empi | e piange amaramente
rivelando il loro vizio | che da tutti è disprezzato
per questo il suo grembo | non si apre a chi ritorna
Tenor      
Filios enutrivi et exaltavi ipsi autem spreverunt me     Ho allevato e nutrito i miei figli ma essi mi hanno disprezzata

28. Et exaltavi

Fonti
Fauv Parigi, Fr. 146, n. 6, f. 9r [altre fonti v. oltre]
Ediz. Harrison 1963: 186 — Tischler 1991: 47
Bibl. Tischler 1982Payne 2011: 86-90 (ed. mottetto)
Audio [non rintracciati]

Questo brano (f. 9r) è il mottetto di una clausula tratta dalla parola et exaltavi dell'Alleluia Posui adiutorium (commune sanctorum), modellato sulla musica dell'Alleluia Adorabo.

Sulla base del Repertorium di Ludwig (M51) è possibile censire le forme polifoniche tropate sull'Alleluia Posui adiutorium: la variante 2 della porzione Et exaltavi (3vv) viene a corrispondere al mottetto Et exaltavi plebis presente a 2 e 3 vv in F e W2 e a 1 voce in Fau.

      W1
1260
StV [a]
1270
Cl
1270
F-Pn [b]
1280
Mo
1290
F
1290
W2
1300
Ba
1310
Fau
1320
 
organa int[egrale]   ii: 40v (46v)       iii: 16v ii: 139r ii: 83r      
            iii: 36r        
clausulae Torium 1         (iii = int) (iii = int)        
2 (ii = int)                  
3 = a ii: 53r (61r) #96                  
4           ii: 170r #202 [c]
= 171v #215
(ii = int)      
5 ii: 53r #97         ii: 170r #199        
6           ii: 170r #200        
Potentem 1         (iii = int) (iii = int)        
2 ii: 53v #99         (ii = int) (ii = int/a)      
3 ii: 53v #98/b         ii: 170r #201 (ii = int/b)      
4 ii: 53v #98/a                  
5 ii: 53v #100                  
6           ii: 177v #282        
Et exaltavi 1         (iii = int) (iii = int)        
2 = a           iii: 46r        
3 (ii = int)         ii: 183v #444        
4/5           (ii = int) (ii = int)      
6 ii: 53v #101                  
7 = b           ii: 177v #283        
8 = c   ii: 292v #38                
mottetti Tori a = 3           ii: 404r 2.16 ii: 155v 2.19     516 Christe via veritas
Et exaltavi a = 2           iii: 395r 1.22 iii: 124r 1.2
ii: 159v 2.28
  i: 9r 517 Et exaltavi plebis
b = 7           ii: 405v 2.21       518 Et exaltavi magna
c = 8     iii: 384v
#56-57
87v
(txt 519)
iii: 132v
5.93
  ii: 224v 4.25 iii: 8v
#15
  519 Bele sanz orguell (M) +
520 A ce qu'on dit
(Tr)
a. F-Pn, Latin 15139
b. F-Pn, Français 12581
c. Senza testo
                   

 
Et exaltavi | Plebis humilem | Venerabilem
Et superbum inclinavi | Despicabilem
Fastus mentis germinat | Turpitudinem
Fastus ventum seminat | Et metit turbinem
Ergo labiles | Umbre similes | Fragiles | Et vanas
Fugias | Divicias | Instabiles | Et prophanas
Qui cum interieris | Eris olla cineris | Et cibus vermium
Vas es sordidum | Sepulcrum sceleris
Dampna culpe veteris | Si memineris | Expedit ut vigiles
Gazas | Mundi steriles | Contempnas
Querens fertiles | Sinceras | Ineffabiles | Veras | Interminabiles
Ne timeas | Quin gaudeas | In die flebili
Sic pertranseas | Has plateas | Adherens humili
Regno cunctis | Quod exaltavi
Ed ho esaltato | il popolo umile | venerabile
e ho piegato il superbo | disprezzabile
L'orgoglio crea nella mente | ignominia
L'orgoglio semina vento | e miete tempesta
Quindi sono labili | simili a ombre | fragili | e vane
fuggite | le ricchezze | instabili | e profane
Perché alla morte | sarai un'urna di cenere | e cibo per vermi
Sei un vaso di nefandezze | sepolcro di crimini
I danni del peccato originale | se li ricorderai | ti predisporrai a vigilare
I tesori | del mondo | disprezza
Cerca quant'è fertile | sincero | ineffabile | vero | e senza fine
Non temere | di godere affatto | nel giorno del pianto [del giudizio]
Così attreverserai | queste piazze | vicino agli umili
tutti nel regno | che ho esatato

I/c. Futuro incerto

30-33. [fine I libro]

La conclusione del I libro è apocalittica: Fauv fa un doppia interpolazione, prima e dopo i vv. 1219-40 di commiato. La prima interpolazione prevede un breve testo di 8 vv. (1211-18), una figura considerata doppia (#13/14) e due brani, che forse sono solo uno (#30/31). Questo il testo:

He, unicorn espirital
Qui es plus clere que cristal,
Descent, car y met ta grace!
Ne sueffre plus que Favel face
Si ses ours tumber en ce monde!
De sa seite trop y habunde.
De France fay Fauvel banir;
Trop l’a grevee de son hanir. [1211-18]
Ah unicorno spirituale [= Cristo]
che sei più chiaro del cristallo
scendi e spargi la tua grazia
Non permettere che Fauvel faccia
danzare i suoi orsi in questo mondo:
dei suoi seguaci ne abbiamo abbastanza
Fai badire Fauvel dalla Francia
troppo l'ha gravata dei suoi nitriti

L'immagine raffigura un monaco con davanti il suo poema (forse l'autore del I libro) ispirato dallo Spirito santo che nella seconda figura lo declama al suo pubblico. Forse questo è il modo con cui s'immaginava la fruizione del ms.

La conclusione del libro è interpolata da un rondeau e un alleluia.

Porchier mieus estre ameroie
Que Fauvel torcher
Escorcher ains me feroie
Porchier miex estre ameroie
N’ai cure de sa monnoie
Ne n’ai son or chier
Porchier miex estre ameroie
Que Fauvel torcher
a
b
a
a
a
b
a
b
7'
5
7'
7'
7'
5
7'
5
Meglio amerei allevare maiali
che pettinare Fauvel
Scuoiare anzi mi farei
...
Non mi curo del suo denaro
né ho cura del suo oro
...
...

Il rondeau sarà il tenor del brano #122. L'Alleluia (solo l'incipit di quello liturgico: LU 880; Rankin 1998: 425) riprende, come la figura #13/14, il contenuto degli 8 vv. aggiunti. Che il brano sia scritto in forma mensurale (benché non rigorosa) viene dalla presenza contemporanea di L e B (i brani non misurati di Fauv , escludono usano un unico segno per i neumi isolati, in genere la B).

33. Servant regem

Il mottetto è copiato anche in P751 con attacco del duplum diverso («O Phelippe», Fauv vs «Lodowice», P571), vi sono al riguardo due ipotesi:
a) i perduti materiali musicali per Fauv accoglievano un mottetto scritto per Luigi x (1314-16), presumibilmente l'incoronazione, e sono l'antigrafo di P571. L'inserimento in Fauv, avvenuto evidentemente sotto Filippo v (1316-22) ha indotto il mutamento del nome.
b) il mottetto è stato realizzato per Fauv e adattato in P571 perché utilizzato per Filippo vi di Valois (1225-50); cfr Dillon 1998: 219.

Un indice di mottetti (la musca è perduta), presente in F-Pn, Naf 23190 (Trémoille), f. 2r, registra O Philippe al foglio 21, ma non è detto si riferisca a Fauv, potrebbe anche indicare il mottetto O bone dux / O Philippe Franci qui generis in Ivrea, i-vi 115, f. 1v.

Gli ultimi due versi del triplum («Rex hodie...») sono presenti in Fauv ma privi della musica.

Il tenor corrisponde a una porzione del responsorio Ecce apprebit Dominus [Cantus|GR|ed.]

Fonti
Fauv Parigi, Fr. 146, f. 10v-11rP571 Parigi, Fr. 571, f. 144r
Ediz. Schrade 1956: 29 (#16) [Comm 76-78]
Bibl. Wathey 1992: 15-18 | Dillon 1998: 215-231 | Brand 2016: cap. 13
Audio (Blanchard 1958) | (Binkley 1972) | (Orlando Consort 1991)
Triplum      
Servant regem \ misericordia | Et veritas \ necnon clemencia
Judicii \ rex sedens solio | Malum tollit \ aspectu proprio
Rex sapiens \ dissipat impios | Insipiens \ erigit inscios
Impietas \ regis si tollatur | Justicia \ thronus roboratur
Judicium \ causam determinat | Justicia \ falsum eliminat
Mendacia \ rex qui libens audit | Omnes servos \ impios exaudit
Clemencia a \ regis laudabilis | Severitas \ ejus terribilis
Bona terra \ cujus rex nobilis | Sed ve terre \ si sit puerilis
Melior est \ pauper et sapiens | Atque puer \ quam rex insipiens
Rex hodie \ est et cras moritur | Iuste vivat \ et sancte igitur
a|a 4|4" = 10 Possa un re essere salvato dalla misericordia | dalla verità e dalla clemenza
Il re siede sul trono del giudizio | elimina il male con con la sua presenza
Un re saggio scaccia gli empi | quello stolto premia gli sciocchi
Se l’empietà di un re fosse rimossa | il trono verrebbe rafforzato dalla giustizia
Il giudizio determina la causa | la giustizia elimina la menzogna
Un re che ascolta volentieri le bugie | asseconda tutti i servi empi.
La clemenza di un re è lodevole | la sua durezza è terribile
O buona terra il cui re è nobile | ma ahimé alla terra se lui è infantile
È meglio essere poveri, saggi | e bambini che essere un re stolto
Oggi è un re e domani muore | che viva giustamente e santamente agisca
Duplum      
O Phelippe \ prelustris Francorum | Rex insignis \ juvenis etate
Consilio \ utere proborum | In proavi \ degens sanctitate
Ecclesie \ pacis tenens locum | Ac judicans \ plebem equitate
Aggredere \ gentem paganorum | Spopondisti \ nunc accelera te
Ut conformis \ sis principum quorum | Nomina sunt \ laudis approbate
ab 3'|5' = 10 O Filippo illustre dei Franchi | re insigne in giovane età
di seguire i consigli esperti | vivendo nella santità dei tuoi antenati
riconoscendo nella Chiesa luogo di pace | giudicando la gente con equità
e di attaccare i popoli pagani | hai promesso, quindi sbrigati
affinché tu sia conforme a quei sovrani | i cui nomi sono celebrati con lodi
Tenor      
Rex regum et dominus dominancium     Re dei re e signore dei signori

Nel triplum si adotta il novenario proparossitono, verso diffuso in quest'epoca (cfr #10). Alcune uscite potrebbero apparire 'sbagliate' perché parossitone invece che proparossitone. Per quanto riguarda il triplum si tratta di pochi casi riconducibili a regole usate in quest'epoca : a) bisillabi finali che vengono trattati come enclitici, anticipando l'accento sulla sillaba finale (purché lunga) della parola precedente (cfr Norberg 1958 [2004]: 19-22), oppure b) in parole in cui la tonica è 'poeticamente' spostata (come faceva Boito con oceàno):

a) Servant regem, malum tollit, libens audit, omnes servos, atque puer, iuste vivat
b) roboratur (rima con tollatur), puerilis (rima con nobilis), melior est

Il duplum sembra adottare apparentemente lo stesso metro, ma in realtà il secondo emistichio è sempre parossitono (il primo oscillante) suggerendo preferibilemente un passo binario: la sensazione è che si tratti d' un'imitazione maldestra del verso latino (limitata a cesura e nuero di sillabe), possibile nella musica mensurale, il cui ritmo musicale è interamente dominante sulla prosodia.

È quindi probabile che il triplum abbia utilizzato una lirica d'autore, mentre il duplum sia un contrafactum scritto espressamente sulla musica che si accontenta di una metrica esteriore.

 

II/a. Fauvel a palazzo

34. O labilis sortis

Fonti
Fauv Parigi, Fr. 146, f. 11rF Firenze, Pluteus 29.1, f. 427vD Darmastadt, Landesbibl., 2777, f. 3r-4v
Ediz. Harrison 1963: 186 — Tischler 1991: 47
Bibl. Traill 2006: 278 | Rillon-Marne 2013: 271-75
Audio (Gerhardt Adam 1995) | (Diabolus in musica 2003) | (Labyrinthus 2014) | (Sanstierce, strum. live 2019)
O labilis | sortis humane status
Egreditur | ut flos conteritur
Et labitur | homo labori natus!
Flens oritur | vivedo moritur
In prosperis | luxu dissolvitur
Cum flatibus | Fortune quatitur
Lux subito | mentis extinguitur
Ha moriens | vita luxu sopita
Nos inficis | fellitis condita

a
b
a
c
c
c
c
d
d
2"|6'
2"|4"





2"|6'
2"|4"
Oh fugace condizione umana!
Sboccia, come un fiore è schiacciata
e decade l’uomo nato per la fatica.
Si alza piangendo, muore vivendo,
nella prosperità è distrutto dal lusso.
Quando è scosso dai venti della fortuna
la luce della sua mente subito si spegne.
Ah vita morente, stordita dal lusso,
ci avveleni intrisa di rancore.

Quid igitur | aura te popularis
Quid dignitas | quid generositas
Extulerit? | Ut gravius labaris
In laqueos | quos tendis laberis
Dum crapulis | scortisque traheris
Et luxibus | opum quas congeris
Illicite | miser immoreris
Ha moriens | vita luxu sopita
Nos inficis | fellitis condita
    Perché allora a te il favore popolare,
perché il rango, perché la nobiltà
ti innalzano, se cadi più rovinosamente.
Cadi nelle trappole che tu hai teso
mentre sei trascinato da dissolutezze e seduzioni
E a causa delle ricchezze che accumuli con il lusso
in maniera illecita, o misero, stai morendo.
Ah vita morente...
Dum effugis | fecundam paupertatem
Pre ceteris | ditari niteris
Sed laberis | in summam egestatem
Cum opibus | mavis difluere
Quam modicis | honeste vivere
Quod questibus | fedis efficere
Dum satagis | amans distrahere
Nil autumans | tibi sufficere
Ha moriens | vita luxu sopita
Nos inficis | fellitis condita
    Ancora fuggi dalla copiosa povertà,
ti impegni ad arricchirti prima degli altri,
ma scivoli nella più grande miseria.
Preferisci abbandonarti all’opulenza
piuttosto che vivere onestamente con moderazione
ciò che ottieni con la ricerca della fiducia
Mentre ti affanni preferndo guardare altrove
ritieni che niente sia abbastanza per te.
Ah vita morente...

 

II/b. Cortigiani

38. Veritas arpie

Mottetto

Fonti
Fauv Parigi, Fr. 146, f. 13v
Ediz. Schrade 1956: 38 (#19) [Comm 81]
Bibl. Morin 1992 | Robertson 2012 | Bradley 2018: ch. 7
Audio (Clemencic 1978) | (Boston Camerata 1995) | (Slaatto, strum. 2019) | (Early music New York, 2003) | (Gould, strum. live) | (Zanoni, strum. live)
Veritas arpie,
Fex ypocrisie
Turpis lepra symonie
Scandunt | solium
a
a
a
bc
5'
5'
7'
1'|1"
La verità dell’arpia
il fetore dell'ipocrisia
la sporca macchia della simonia
salgono | al trono.
Falsitatis vie
Movent omni die
Christi veritati pie | prelium
a
a
ac
5'
5'
7'|1"
Le vie della falsità
muovono ogni giorno
contro la pia verità di Cristo | guerra
Comites Golie
Spernunt | David prophetie
Verba testium
Perdunt | premium
Filium Marie
a
ba
c
bc
a
5'
1'|5'
3"
1'|1"
5'
I seguaci di Golia
disprezzano | delle profezie di Davide
le parole dei testimoni
sprecano | la ricompensa
del figlio di Maria
Similes Urie
Hostis tingunt | gladium
a
bc
5'
3'|1"
Simili ad Uria
Imbrattano del nemico | la spada

39. Ade costa dormientis

Mottetto

Fonti
Fauv Parigi, Fr. 146, f. 13vL London, Harlet 978, f. 161 (solo tit.)
Ediz. Schrade 1956: 39 (#20) [Comm 81]
Bibl.  
Audio (Clemencic, 1978) | (slaatto, 2019)
Ade costa dormientis
mater fit miserie.
Christi latus morientis
matrem creat gracie.
Sanguis, aquafluens
in de virtus est ecclesie,
que purgatos a peccatis
reddit regi glorie.
In Fauvelli ducis
nequicie vim destruat
sue plenitudine potestatis!
a
b
a
b

b
a
b


a
7'
5"
7'
5"
6'
5"
7'
5"
6'
5"
10'
Dalla costola di Ade addormentato
sorge la madre della sofferenza
Il corpo di Cristo morente
eleva la madre della grazia
Il sangue che scorre come acqua
è parte della virtù della Chiesa
che i purificati dai peccati
fa ritornare alla gloria del re
Mentre Fauvel comanda
distrugga la forza del male
e la pienezza del suo potere

II/c. Sposare Fortuna

II/d. Presso Fortuna

42. Douce dame debonaire

Ballade dialogica fra Fauvel e Fortuna.

Fonti
Parigi, Fr. 146, f. 16v
Ediz. Gennrich 1927: i.291 (refrain #132) — Harrison 1963: 199 — Tischler 1991: 56Pdf
Bibl. refrain #995 (senza corrispondenze)
Audio (Joglaresa, 2009) | (Labyrinthus, 2018) | (Obsidienne, 2022) — cfr Sinossi
Fauvel Fortuna     Fauvel Fortuna
Douce dame debonaire
Mon cuer vos doins sanz retraire
Ne vous en chaut il?
Puis qu’ensi est que ferai?
Fauvel, que te faut?
Sen en toi defaut
Fi mauvés outil
Ja m’amour ne te lerai
ab
ab
cc
dd
7'|5
7'|5
5 |5
7'|7'
Dolce dama graziosa
Il mio cuore vi dono senza remore
Non v'è caro?
Ma s'è così che farò?
Fauvel cosa vuoi?
Ti manca il buon senso
Via vile individuo
Non ti darò il mio amore
J’ai grant desir de vous plaire
Ne soiez a moi contraire
Veillez moi prendre a mari
Douce dame que ferai?
De ce ne me chaut
Diva qui t’asaut?
Jo jo sus hari
Ja m’amour ne te lerai
    Ho gran voglia di compiacervi
Non siate mia nemica
Prendetemi come marito
Dolce dama che farò?
Cosa che non mi interessa
Andiamo, e chi t'attacca?
Via, vattene via
Non ti darò il mio amore
Ne sai que je puisse faire
Volentiers vers vo viaire
Las je vos ainz si
Las et que ferai?
Fai donques un saut
Ne saut pas si haut
Ne me plest ainsi
Ja m’amour ne te lerai
    Non so cosa posso fare
Volentieri verso il vostro viso
Ah, v'amo così tanto
Ahimé che farò?
Fai dunque un salto
Non saltare così in alto
Non mi piaci affatto
Non ti darò il mio amore

43. Aÿ amours tant me dure

Ballade

Fonti
Parigi, Fr. 146, f. 16v
Ediz. Gennrich 1927: i.292 (refrain #357) — Harrison 1963: 200 — Tischler 1991: 58Pdf
Bibl. Ludwig 1910: 691 — Gennrich 1927: i.370 (#400) — refrain #1517
Audio (Boston Camerata, 1995)
Aÿ, amours, tant me dure
le mal que j 'ai a porter
et me grieve outre mesure
sanz nesun confort trouver.
quant vous m'en pöez saner
et je de par vous l'endure,
pour quoi m 'estes vous si dure?
a
b
a
b
b
a
a
7'
7
7'
7
7
7'
7'
Ah, Amore, tanto si prolunga
il male che devo sopportare
e mi grava oltre misura
senza che trovi alcun conforto
che solo voi mi potete guarire
e io per voi lo sopporto
perché siete così dura con me?
Et vous, dame nete et pure,
qui n'avez ou monde per,
qui veez qu'en tele ardure
m'estuet pour vous demourer,
dont autre desesperer
se pourroit par aventure,
pour quoi m 'estes vous si dure?
    E voi, donna chiara e pura,
che non avete pari al mondo,
vedendo che tale ardore
devo patire per voi
per cui altri rinuncerebbero
se eventualmente potessero
perché siete così dura con me?
L'en voit toute creature
naturelment encliner
par reson et par droicture
a tout ce qu'il aime amer.
Et vous, que je n'os nommer,
hé las, de moi n'avez cure,
pour quoi m 'estes vous si dure?
    Si vede ogni creatura
naturalmente inclinare
per ragione o per diritto
ad amare tutto ciò che ama
E voi, che non oso nominare
ahimè, non avete cura di me
perché siete così dura con me?

II/e. Discorso di Fortuna

II/f. Intervento di Fauvel

La replica di Fauvel al lungo discorso di Fortuna è interamente aggiunta in Fauv (ff. 24-27):

Dopo la chiusura (aggiunta) del primo libro e la rubrica in cui si dichiara che la parte successiva è aggiunta si hanno:

2 chansons (# 54-55)
2 figure (#39-40) che introducono pochi versi e:
1 poemetto con 13 refrain (#56/1-13)
1 ballade (#57)
1 figura (#41) che introduce:
1 complainte di 17 strofe (senza musica)
1 figura (# 42) che introduce:
1 motet farci ( motet enté) con 12 inserti musicali che costituiscono un brano compiuto
1 figura (#43) che introduce:
1 poementto di 34 strofe (senza musica)
4 chansons (#58-62)

55. Providence la Senee

Virelai.

Fonti
Parigi, Fr. 146, f. 23v
Ediz. Harrison 1963: 219 — Tischler 1991: 86Pdf
Audio midi | Sequentia | Arborescenze (polifonico) | Labyrintus | Corina Marti | Anna Vasilyeva (voce sola)
Providence la Senee | A poinnes m’a encliné
A savoir que Destinee | M’a desques ci destiné
7'|7
7'|7
β
β
Provvidenza la Saggia | con fatica m'ha indotto
a capire che Destino | mi ha riservato questo destino
Fortune, par mon desroy | Si m’a enhaï 7 |5 α Fortuna per mia rovina | così mi ha in odio
Ne veult que soie mes roy | Fate m’a trahi 7 |5 α che non vuol più io sia re: | il Fato mi ha tradito
Vainne Gloire m’out donnee | Dont je voi que sui finé
Toute m’honneur est finee | Si hé l’heure que fui né
7'|7
7'|7
β
β
Vanagloria m'ha donato | per cui vedo che sono finito
Tutto l'onore è perduto | così odio l'ora in cui nacqui
Providence ...      
Forment me doi doulouser | De ce qu’envaÿ
Tele dame d’espouser | Des adonc chaÿ
Trop me vint fole pensee | Quant ce chemin cheminé
J’eusse fait meilleur journee | D’avoir mon clos rebiné
    Devo pentirmi amaramente | di quanto ho voluto:
[cioè] sposare una tale dama | Da allora la rovina
Troppo mi ha vinto un pensiero folle | quando ho intrapreso questa strada
Avrei passato meglio la giornata | zappando la mia terra
Providence ...      
C’est merveilles a conter | De ce qu’envaÿr
L’osai de trop haut monter | Doit l’en [bas] chaïr
Cele en est vers moi iree | De ce le chief enclin ai
Prest d’endurer tel hachiee | Com par li yert terminé
    Fa meraviglia raccontare | l'audacia della mia impresa
A voler salire troppo in alto | poi si cade in basso
Lei è arrabbiata con me | per questo ho il capo chino
pronto a sopportare i tormenti | che avrà concertato
Providence ...      

57. Se j'onques

Ballade.

Fonti
Parigi, Fr. 146, f. 26r
Ediz. Gennrich 1927: i.299 (#362) — Harrison 1963: 226 — Tischler 1991: 95Pdf
Bibl. refrain #C1264 (senza corrispondenze)
Audio (Sequentia) | (Tenet) | (midi)
Se j’onques a mon vivant
Oi d’amer au cuer pointure,
Tant en sent ore avivant
En moi l’amoureuse ardure,
Par remembrer que j’endure
Les dous mauls pour douce et gente,
Qu’en chant faire en met m’entente
a
b
a
b
b
c
c
7
7'
7
7'
7'
7'
7'
Se giammai nella mia vita
ho sentito nel cuore puntura d'amore
così sento tanto intensamente
in me l'amoroso fuoco
Per ricordare che ho sofferto
dolci mali per [essere] dolce e gentile
così a fare un canto mi metto d'impegno
Mes qu’en iroie estrivant
Quant du chant m’est cause pure
Cele qu’en li descrivant
Nommer puis sanz mesprenture
'Flour de beauté' j’ai droiture
Dont son cuer tant m’atalante
Qu’en chant faire en met m’entente
    Ma mi sforzerò di farlo
poiché del canto m'è unica causa
quella che, nel narrare,
posso chiamare senza esagerare
'fiore di bellezza' con ragione
perché il suo cuore tanto m'ispira
così a fare un canto mi metto d'impegno
Franc cuer qu’en voit eschivant
Touz mauls, cors tout tel d’erdure,
Quen le puet dire ensivant,
Vis d’angeline figure,
Mercy tant me plaist la cure
De vous amer, que qu’en sente,
Qu’en chant faire en met m’entente
    Cuore franco che sa schivare
tutti i mali, corpo simile nel fervore
al punto da essere comparabile,
volto di figura angelica,
abbiate pietà, tanto mi piace la cura
di amarvi con ogni senso,
così a fare un canto mi metto d'impegno

59. Douce et de tout noble afaire

Fonti
Parigi, Fr. 146, f. 28r
Ediz. Harrison 1963: 231 — Tischler 1991: 44
Bibl. Pastore 2014
Audio  
Douce et de tout noble afaire | N’assentez
Qu’en languissant mon cors s’uze en vous servir
    Gentile signora, nobile in tutte le cose | non acconsentite
che languendo il mio cuore s'abitui a servirvi
Lonc temps de cuer sanz meffaire
Ai servi, ne du retraire
Ne serai par douleur traire | Ja temptez
S’amant doit par ce nul jour bien deservir
    Per lungo tempo, di cuore e con sincerità
ho servito e non rinuncerò
né sarò per il dolore tentato | di ritirarmi:
un amante deve infatti sempre ben servire
Douce ...      
Onques ne vous daigna plaire
Moi oïr n’a vous atraire,
Et plus sui par tel contraire
Tourmentez | Quant vers vous me veul oncor plus asservir
    Non vi sei mai degnata affatto
di ascoltarmi o di chiamarmi
e sono ancora più per tal rifiuto
tormentato | mentre desidero ancora di più esserevi servitore
Douce ...      
De vous prier, debonnaire, Je vous prier
De secours ne me puis taire,
S’en priant, sanz faus tour faire
Ne sentez | Pour grace enquierre endurant sanz messervir
    Della vostra cura, gentile signora, vi chiedo
un aiuto perché non sia allontantao
se pregandovi senza nulla sbagliare
non ascoltate | di grazia l'impossibilità di vivere senza servirvi
Douce ...      

 

II/g. Ripresa di Fortuna

II/h. Interpolazione

64. Lai di Venere

Fonti
Parigi, Fr. 146, f. 28bis
Ediz. Harrison 1963: 235 — Tischler 1991: 48
Bibl. Meneghetti 1989 | Manzari 1995 | Lecco 2010 | Stones 2018: 1072 | Salzstein 2024: 127-30
Audio (Binkley 1972)
  i/a] Pour recouvrer alegiance | Des maus que je trai,
En tant que fais elloingnance | De celle en qui j’ai
Mis mon desir de cuer vrai | Ferai en sa remembrance | Piteus lay.
b] Amours m’a fait des m’enfance | Son amant tres gay,
Et par sa douce plesance | Plus que moi l’amai;
Toute autre amour en lessai | Las! de moi fait detenrance | J’en mourrai!
ab
ab
bab
? Per trovare sollievo | dai dolori che ho
mentre sono lontano | da colei che desidero
con un cuore vero | in suo ricordo scriverò | un’opera commovente
In giovinezza l’amore mi ha reso | il suo gioioso amante
e per la sua tenera bellezza | l’amavo più di me stesso
Ho lasciato ogn'altro amore | ma lei insiste a separarci: | ne morirò
15 ii/a] Certes, mourir bien me plairoit,
Quar lors mes cuers ne soufferroit | Plus la tres grief pensee
Par qui il languit orendroit,
Quant il pense au gent cors bel droit | De la tres bien amee,
b] Qui me guerpit, et sanz nul droit.
Se mon cuer aussi li faisoit | Tres pesme destinee,
Chascun de raison m’offerroit.
Amour proi pardonné li soit | Puis qu’a ma dame agree.
a
ab
a
ab
  In effetti sarei felice di morire
così il mio cuore non sopporterebbe | più il tanto grave peso
che ora lo fa soffrire
se pensa al cuor gentile e ben severo | della così tanto amata
che mi abbandona e senza alcun diritto
se il mio cuore la portasse | allo stesso terribile destino
tutti mi darebbero ragione
Amore ti chiedo di perdonarla | poiché così lei vuole
27 iii/a] Aussi me sont changie li ver | Com qui feroit d’esté l’iver
b] Bestes sui comme sunt li ver | Mort, pren moi, si m’aront li ver
aa   Così è mutatato davvero | come se l’estate sia inverno
Sono animale come i vermi | Morte prendimi, starò con i vermi
31 iv/a] Que je die voir, bien apert | S’amour me tenoit gay, apert.
b] Or sui com hons qui ce qu’a, pert | Pour ce a touz le moutre en apert
aa   Che dica il vero è ben chiaro: | il suo amore m'ha tenuto allegro e vigile.
Or sono uomo che perde ciò che ha | E lo mostro apertamente a tutti
35 v/a] Se je me plaing et dueil adés | Je n’en puis més!
C’estoit mes conforz et ma pes | Et mon dous mes
b] De desir et d’espoir après | Et loin et prés.
Las! or me lesse a touz jourz mes | Et ne la les.
aa
aa
  Se continuo a lamentarmi e soffrire | non sono capace di nulla
Lei era il mio conforto e la mia pace | e la mia dolce metà
Di desiderio e poi di speranza | sia lontano sia vicino.
Ahimè! Ora lei mi lascia per sempre | ma io non lascio lei.
43 vi/a] Je souloie amer pour s’amour | Roses et flour
Bois et verdour | Et temps paschour
Tout deduit, toute joie
b] Et compaingnie nuit et jour | De gens d’onour
En grant baudour | Et biau destour
Ou je la souhaidoie.
c] Ore en tristesce et en langour | Soupir et plour
Et me devour | En grief doulour
Riens ne me plait que voie!
d] Mar vi son gent cors de biau tour | Son bel atour
Plain de douçour | Et sa valour
Quant ainsi me guerroie.
aa
aa
b
  Per l’amore di lei amavo | rose e fiori
boschi e verde | e il tempo della primavera
tutto piacere e tutta gioia
E notte e giorno la compagnia | di persone onorevoli
e di gran buon umore | e una bella circostanza
per desiderarla
Ora nella tristezza e nel languore | sospiro e piango
e sono inghiottito | da un dolore atroce
nulla di ciò che vedo mi dà sollievo
Guai vedere il suo corpo ben fatto | i suoi bei modi
pieni di dolcezza | e la sua virtù
quando s'arma contro di me
63 vii/a] Amour, vous faites mesprison | Qui souffrez que pour l’achoison
D’amer, n’i sai autre raison | Sui refusez
De celle dont j’estoie amez | De fin cuer bon;
Par semblant a m’entencion | Vous en perdrez,
Certes, et a bon droit, assez | De vo bon non
b] Vous me rendez mau guerredon | Qui ai esté toute saison,
Et sui, en vo subjeccion | Pour bien grietez.
Desoremez enamourez | Ne serai, non!
A qui feroie de moi don | Las! quant pitez
N’est en ma dame ou maint biautez | A grant foison?
aa
ab
ba
ab
ba
  Amore, stai commettendo un errore | tu che tolleri che
l'ami e senza ragione | sia rifiutato
da colei che un tempo m'amava | con cuore vero e buono
Chiaramente a mio avviso | perderai
certo e con ragione, molto | del tuo buon nome
Mi rendi il guiderdone | perché fui gagliardo
E sono sotto il tuo dominio | per troppa devozione
D’ora in poi non più innamorato | dirò sempre no
A chi potrei dedicarmi | ahimè se non c’è pietà
nella mia signora che ha tanta bellezza | in grande quantità?
83 viii/a] Las! traÿ m’ont si riant ueil | Qui par leur gracïeus regart
Me furent de si bel acueil | Que tantoust d’un amoureus dart
b] Amours me navra a mon vueil | Or se sunt tourné d’autre part
Pour autre amer ou par orgueil | Dont mes cuers d’ardeur par mi part.
ab
ab
  Ah tradito dai suoi occhi sorridenti | che con grazioso sguardo
mi danno accoglienza così bella | come improvviso dardo d’amore
Amore mi ferì con grande soddisfazione | ora si rovolge altrove
Per un altro amore o per orgoglio | e il mio cuore d'ardore è lacerato
91 ix/a] Mar vi son vis plain de depors | Et ses crins sors | Crespés, retors
Luisans et clers com est fin ors | Quant ses confors | M’est desconfors
b] Las! li plait il que soie mors | En tels descors? | N’est droiz, mes tors!
Arivez sui; duel est mes pors | En soupirs fors | Ne sui a mors?
c] Quar a nullui ne me confors | Espoir est hors | De moi des lors
Que je vi faillir noz acors | Amours trop dors | Je m’en detors.
d] Douz pensers s’i s’est le col tors | Et desir mors | Livra au pors
Ainsi de rien ne me depors | A mort m’acors | Venez au cors
aaa
aaa
  Guai a vedere il suo volto pieno di gioia | e i capelli d’oro | arricciati, ondulati
lucenti e luminosi come puro oro | se la sua forza | mi priva della mia
Ah è suo piacere che io muoia | in questa disarmonia? | Non è giusto, per niente
SOno arrivato, il dolore è il mio porto | Con pesanti sospiri | Non sto per morte?
Perché nessuno mi conforta | la speranza se n’è andata | da me dal momento
in cui ho visto la nostra armonia finire | Amore troppo soffro | vado via
I dolci pensieri mi stringono al collo | e voglio morire | abbandonato ai porci
Nulla così mi dà speranza | Corro verso la morte: | prendi il corpo
115 x/a] Ma dame, il m’est avis | Puis qu’amours est delis
De touz le plus jolis | Et me voi escondire
b] Qu’autres est vos amis | Ou pou sui enrichis
Pou biaus ou pou faitis | Ou li mondes empire
aa
ab
  Mia signora, mi sembra | poiché l’amore è il diletto
più vivo di tutti | e mi vedo rifiutato
che un altro uomo sia il tuo amante | mentre io non divento ricco
non bello, non attraente | mentre il mondo si deteriora
123 xi/a] Ou mesdisant par ire | Si vous ont voulu dire
Ce qui me fait despire | J’en sui touz esbaïz
b] Car qui a bien s’atire | Joi d’amours desire
Qui fait jouer et rire | Qui n’aime, il en vaut pis
aa
ab
  Che i calunniatori per dispetto | abbiano deciso di dirti cose
che fanno sì che tu mi disprezzi | ne sono stupito
Perché chiunque cerchi il bene | desidera la beatitudine dell’amore
che porta piacere e risate | Chi non ama cerca il male
131 xii/a] Tres amoureuse creature,
Douce et de tres gente faiture | Pour Dieu, merci!
b] S’en mon lay ai dit mesprisure,
Ce vient de l’amoureuse ardure | Qui m’a saisi
c] Par vostre escondit sanz droiture.
Et pour quoi m’estes vous si dure | Quant vous ain si
d] Que de nulle autre amer n’ai cure?
Remetez m’en en envoiseüre | Je vous en pri
a
ab
  Creatura amabilissima
mite e di stampo nobilissimo | per amor di Dio abbi pietà
Se nel mio discorso ho detto qualcosa di offensivo
è dovuto all’amoroso ardore | che mi ha preso
A seguito del vostro ingiustificato rifiuto
e perché siete così crudele con me | quando io vi amo così tanto
Che non ho interesse ad amare nessun’altra donna?
Reintegrami dunque nella gioia | ti prego.
143 xiii/a] Frans cuer, en vostre ordenance | Du tout me mettrai
Et selonc vostre veillance | Bien ou mal arai.
S’il vous plait, je languiray | Mes s’Amours m’i fet aidance | N’ai esmai
b] Pour ce Amour sanz decevance | Proi au mius que sai,
Que de nous deus l’acordance | Face, et lors serai
Jolis plus qu’oisiaus en mai | Et vous en bonne esperance | Servirai.
ab
ab
aba
  Nobile cuore, sotto il tuo comando | mi metterò interamente
e secondo la tua volontà | sperimenterò il bene e il male
Se vuoi, io soffrirò | ma se Amore mi aiuta | non mi sgomento.
Perciò prego Amore onestamente | e come posso
di riunirci insieme | e allora sarò
più allegro di un uccello a maggio | e con piena fiducia | vi servirò

II/i. Replica e proposta di Fortuna

65. Vade retro Sathana

Strofa tratta da Aristippe quamvis sero, sequenza attribuita a Filippo Cancelliere sulla base di D.

Fonti
Fauv Parigi, Fr. 146, f. 29rF Firenze, Pluteus 29.1, f. 416r [alter] (musica diversa)
  solo testo: Cb München, Bayerischen Staatsbibl., Clm. 4660, f. 83vD Darmastadt, Landesbibl., 2777, f. 3rO Oxford, Bodleian Lib., Add. a 44, f. 63rM Madrid, Nacional, Q.iii, f. 178v
Ediz. testo: Flacius 1552: #25 (da Aristippe) | Schmeller 1847 | Dreves 1895 | — musica: Harrison 1963: 243 | Tischler 1991: 116 (#50)
Bibl. Ludwig 1923: 279 nota 2 | Falk 1981 | Anderson 1988: #K3 | Lecco 2010
Audio [tutti da F] (Pickett 1987) | (Diabolus in musica 1989) | (Obsidienne 2011) |
Vade retro Satana
tuas tolle fabulas
Quicquid enim consulas
falsitatis organa
Voces adulantium | devoveo
nulliusque foveo
blandiendo vitium
Sed palponis nomen cavi
cuius semper declinavi
fraudis artificium.
a
b
a
b
cd
d
c
e
e
c
5"
5"
5"
5"
5"|2"
5"
5"
7'
7'
5"
Indietro Satana
vattene con le tue menzogne
Qualsiasi cosa tu consigli
è strumento di falsità
Le voci adulatorie | maledico
e di nessuno alimento
i vizi con lusinghe
Anzi ho evitato la nomea di adulatore
di cui ho sempre rifiutato
i raggiri fraudolenti
tuum factum noxium
nosce dic erravi
c
e
5"
5'
La tua azione dannosa
riconosci: ammetti di sbagliare

III/a. Le nozze

III/b. Charivari

4791 Quant temps fu de leur repos prendre
Chascuns voult a coucher entendre
En attendant le jour prochain.
Mais, ençois que nous nous couchain,
Diré a dis de vous ou a vint
Un fait qui celle nuit avint,
Car de la jouste me vueil taire
Jusqu'à tant que le jour repaire.
625 Quando venne il momento del riposo
ognuno volle mettersi a dormire
in arresa del giorno seguente.
Ma, prima di addormentarci anche noi,
racconterò a dieci o venti di voi
un fatto che accadde quella notte,
perché voglio tacere del [lasciar da parte il] torneo
fino al riapparire del giorno.
#88 Respexit dominus humilitatem nostram | et deduxit nos
per vias rectas ad domum justi | qui nomine suo docet manus nostras
ad prelium et digitos nostros ad bellum | In necessitate nostra
memor fuit nostri | Benedictus idem Dominus in secula seculorum

[Il Signore ha guardato la nostra umiltà | e ci ha condotto per vie
diritte alla casa del giusto | il quale con il suo nome indirizza le nostre
mani alla battaglia e le nostre dita alla guerra | Si è preso cura di noi
nel nostro bisogno | Benedetto tale Signore nei secoli dei secoli]
  Lo charivari: prima notte      
4799 Fauvel a pensé sa malice
Dont au tour se tendra pour nice,
Puis a dit a la plus secree
Des damoiseles l’espousee
Qu’ele sa dame entrer face
En la chambre, et chascun
La place leur laira, si se coucheront
Et les autres qui a coucher ont
Facent vuidier, si enterra
La ou sa fame puis verra.
633 Fauvel ha pensato il tranello
per il quale, a sua volta, passerà per sciocco;
ha detto poi alla più intima
delle dame della sua sposa
di far entrare la sua signora
nella camera; dopo, tutti lasceranno
loro il posto, perché si possan coricare,
e facciano uscire gli altri
che devono dormire; così potrà recarsi
là dove poi vedrà sua moglie.
 
4809 Fait fu, si a faite s’entree
Dedenz la chambre encortinee
La ou fu le lit bel et noble:
N’a tel jusqu'à Constantinoble,
Si parez, si riches, si cointes,
De couvreteur, de courtepointe
Et d’oreliers et de carpites,
Toutes pourtraites et escriptes
D’oisiaus, d’armes, de bestelettes.
Toutes choses y sont si nettes
Que merveiller s’en puet tout homme.
643 Così si fece, ed essa è entrata
nella camera parata di drappi,
là dove c'era il letto bello ed elegante:
non ce n'è sino a Costantinopoli
uno tanto adorno, ricco, splendido
per rivestimento, trapunta
e per cuscini e copriletti,
tutti ricamati ed istoriati
con uccelli, armi, bestiole.
Ogni cosa vi è così perfetta
che ognuno ne può provare meraviglia.
 
4820 Mes illec n’ot, c’est la somme,
N’en la sale n’en trestout l’estre
Religieus ne clerc ne prestre,
Yaue benoite ne breviaire
Pour la benïçon du lit faire
Mes trestouz mauves esperis
Illec sont serviz et chieriz
Et seront pres toute la nuit
De leur joie et de leur deduit.
654 Ma là non v'era, per dirla tutta,
né nella camera, né in tutto l'edificio,
religioso, o chierico, o prete,
acqua benedetta o breviario,
per fare la benedizione del talamo;
anzi tutti i malvagi spiriti
sono là serviti e tenuti cari,
e resteranno tutta la notte
vicini alla loro gioia e alloro diletto.
 
4829 Deus dames que je petit prise,
Loberie et Couvoitise,
Les mestresses des gardes robes,
Qui bien sevent servir de lobes,
L’espousee ont desvestue
Et couchiee trestoute nue
Dedenz le lit moult gentement.
Ne li couvint enseingnement
Comment se devra contenir
Quant avec li vourra venir
Fauvel qui espousee l’a :
Ne se traira ne ça ne la,
Ançois li sera debonaire
Et soufferra tout son affaire
Humblement et sanz contredire
Car elle le veult garder d’ire.
663 Due dame che poco stimo,
Adulazione e Bramosia,
le governanti degli appartamenti,
che ben conoscono l'arte delle ruffiane,
hanno svestito la sposa
e con delicatezza coricata
nel letto tutta nuda.
E non ci fu bisogno di insegnarle
come avrebbe dovuto comportarsi,
quando da lei vorrà venire
Fauvel che l'ha sposata:
non si getterà di qua e di là,
anzi sarà paziente
e sopporterà di buon grado la faccenda,
modestamente e senza contraddire,
perché essa vuole che non si adiri.
 
4845 Fauvel se pense qu’il est heure
D’aller coucher: tout sanz demeure
Saut eu lit pour gesir a li.
479 Fauvel pensa che è giunta l'ora
di andare a coricarsi: senza più aspettare,
salta nel letto per giacere con lei.
#89 Generacio eorum perversa et infideles filii
et erit hoc in obbrobrium ipsis
[La loro discendenza sarà
perversa, i figlii senza fede, e questo gli farà orrore]
  Mes onques tel chalivali
Ne fu fait de ribaus de fours
Com l’en fait par les quarrefours
De la ville par mi les rues.
N’a pas homme dessouz les nues
Qui deviser pas le seüst
Pour nul engin qu’il eüst.
Cil qui le font par tout se boutent:
Fauvel et sa gent point ne doutent;
Il sont en bonne garde mis,
N’ont garde de leur anemis.
De la maniere et de la guise
De ce chalivali devise
Un petitet iceste estoire
Qui ci est faite pour memoire.
  Ma mai un tale charivari
fu fatto dai ribaldi dei forni
come si fa per i crocicchi
della città, in mezzo alle strade.
Non c'è uomo sotto il cielo
che potrebbe farne descrizione,
per quanta immaginazione possieda.
Quelli che lo conducono, si spargono dovunque,
senza temere Fauvel e i suoi.
Sono ben avvertiti
e non danno peso ai loro nemici.
Di come avvenne
questo charivari racconta
un poco la storia
che si fa qui per ricordare.
 
4863 Desguisez sont de grant maniere.
Li uns ont ce devant darriere
Vestuz et mis leur garnemenz:
Li autre ont fait leur paremenz
De gros saz et de froz a moinnes.
L’en en congneüst un a poinnes,
Tant estoient tains et deffais;
Il n’entendoient qu’a meffais.
Li uns tenoit une grant poelle,
L’un le havet, le greil et le
Pesteil, et l’autre un pot de cuivre,
Et tuit contrefesoient l’ivre,
L’autre un bacin, et sus feroient
Si fort que trestout estonnoient.
Li uns avoit tantins a vaches
Cousuz sus cuisses et sus naches,
Et au dessus grosses sonnetes,
Au sonner et hochier claretes;
Li autres tabours et cimbales,
Et granz estrumenz orz et sales,
Et clicquetes et macequotes,
Dont si haus brais et hautes notes
Fesoient que nul ne puet dire.
L’un boute avant et l’autre tire,
697 Son mascherati in maniera molto ardita:
alcuni hanno girato abiti
e guarnizioni a rovescio;
altri hanno indossato
vesti di sacco e sai monacali:
a malapena se ne sarebbe riconosciuto uno,
tanto eran tinti e contraffatti:
erano pronti a qualunque follia.
Uno teneva una grande padella,
un altro una griglia, un uncino ed un
pestello, e un altro ancora un vaso di rame,
e tutti facevano i gesti degli ubriachi;
altri avevano un catino, e vi battevan sopra
tanto forre da stordire tutti.
Uno aveva campanacci da mucca
cuciti sulle cosce e sulle natiche,
e sopra grandi sonagli
dal suono acuto e penetrante,
altri tamburi e cimbali
e grandi strumenti laidi e orribili,
e castagnole e martelletti,
dai quali traevano si alte strida
e note da non porersi dire.
Uno spinge avanti e un altro tira
Fig. 61 Lo charivari: corteo di musici e maschere
con n alto la prima notte di Fauvel e Vanagloria

[Rubrica:] Ci s’ensivent sottes chansons, que ceus
qui font le chalivali chantent parmi les rues.
Et puis apres trouvra on le lay des Hellequines.

[Seguono canzoni sciocche che coloro che inscenano lo charivari
cantano per le strade, e dopo vi sarà il Lai delle Arlecchine]
#89/a-b
#89/1-7:
4887 Puis menoient un chariot ;
Dedens le chariot si ot
Un engin de roes de charetes,
Fors, reddes et moult tres bien faites
Et au tourner qu’eles fesoient
Sis bastons de fer encontroient
Dedens les moieux bien cloez
Et boen atachiez ; or m’oez:
Si grant son et si variable,
Si let et si espoentable
A l’encontrer fesoient donner
Que l’en n’oïst pas Dieu tonner.
Puis fesoient une crierie,
Onques tele ne fu oÿe:
Li un moutret son cul au vent,
Li autre rompet un auvent,
L’un cassoit fenestre et huis,
L’autre getoit le sel ou puis,
L’un getoit le bren aus visages:
Trop estoient les et sauvages!
Es testes orent barboeres;
Avec eus portoient deus bieres
Ou il avoit gent trop avable
Pour chanter la chanson au deable!
L’un crie corbeilles et venz,
L’autre de quel part vient li vent.
721 e cosi trascinavano un carretto,
dentro il quale c'era
un congegno fatto con ruote di carretta,
robuste, rigide e molto ben fatte;
quando giravano,
incontravano sei sbarre di ferro,
ben inchiodate e attaccate
all'interno dei mozzi. Ora ascoltatemi:
un suono così forte e inconsueto,
così alto e spaventoso
producevano nell'incontrarsi,
che non si sarebbe sentito Dio mandare i tuoni.
Poi lanciavano alti urli,
dei quali mai si udì l'eguale;
uno mostra il culo al vento
l'altro fracassa uno spiovente,
un altro rompe finestre e pone,
un altro ancora getta sale nei pozzi,
ed un altro sporcizia in faccia.
Erano davvero orribili e selvaggi,
e sulla testa portavano maschere barbute.
Con loro trascinavano due bare,
dove c'era gente troppo adatta
a cantare la canzone del diavolo.
Uno grida "ceste e setacci",
l'altro da che pane viene il vento.
Fig. 62: Hellequin e il carro
4913 Il y ravoit un grant jaiant
Qui aloit trop forment braiant;
Vestu ert de bon broissequin;
Je croi que c’estoit Hellequin,
Et tuit li autre de sa mesnie
Qui le suivent toute enragie.
Montez ert sus un roncin haut,
Si tres gras que, par saint Quinaut,
L’en li peust les costes conter
Et sus com sus lates monter
Pour couvrir de tuille ou d’escil
Aussi com si venist d’essil.
C’estoit espoentable chose
A regarder, bien dire l’ose.
747 C'era con loro un gran gigante,
che s'avanzava imprecando;
era vestito di buona lana davvero;
credo che fosse Hellequin,
e tutti gli altri del suo esercito,
che lo segue pieno di furia.
Era montato su un alto ronzino,
così grasso che, per san Quinault,
gli si sarebbero potute contare le costole
e salirvi come fossero pioli,
da coprire di tegole o assi:
sembrava che tornasse dall'esilio.
Era davvero una cosa spaventosa
da guardare, posso veramente dirlo.
Fig. 63: Hellequin e i morti
4927 Avec eus avoit Hellequines
Qui avoient cointises fines,
Et se deduis(oi)ent en ce
Lay chanter qui ci se commence:
[—] Con lui v'erano le 'Arlecchine'
che a vevano belle acconciature
e si divertirono a
cantar il lai che ora comincia:
 
  [...]     #90: Lai des Hallequines
4931 Onc chalivali si parfaiz
Par desguiser, par diz, par faiz
Ne fu com cil en toutes choses:
N’avoient pas les bouches closes
De bien crier et de fort braire;
A qui qu’il en deüst desplaire,
Semblant n’en fist onques Fauveaus:
Plus assez li fu des aviaus
Qu’il ot eü avec sa fame
Qu’il honora comme sa dame.
761 Non c'è mai stato una charivari tanto perfetto,
per travestimenti, per detti, per fatti,
come fu quello sotto ogni aspetto;
non avevano certo le bocche chiuse
per gridare e sbraitare.
Dispiacesse o meno a qualcuno,
Fauvel non lo diede certo a vedere:
ben di più gli importarono i primi
che avrebbe avuti con la sua sposa,
che onorò come sua amata.
Fig. 64: Charivari
90/a
90/1-2

89/a-b. An Dieus | En non Dieus

Si tratta di due fatras (guazzabuglio) il cui nome si trova per la prima volta in un teorico anonimo (Le régles de la seconde rhétorique, ca 1420, pubbl. in Langlois 1902: 11-103, in part. p. 59) che usa la formula fatras enté (guazzabuglio farcito).

In effetti la lirica è costruita a partire da un distico che viene a costituire il refrain e una strofa derivate dalla 'farcitura' (tropatura) del distico. Il distico infatti si pone a cornice di una strofa di 11 versi che riutilizza i due temi (αβ, corrispondenti alle due rime), secondo questa forma:

I 9 versi della strofa formano una Barform che si alterna all'intero distico ed è alla fine inconrniciata dal refrain.

I due esempi del Roman de Fauvel presentano in entrambi i casi 11 versi ma con indicazione musicale e distribuzione delle rime non corrispondente (in grassetto i versi con musica):

89/a: aabaabbabab
89/b: ababaabbaba

Dovranno pertanto essere integradi in questo modo:

89/a: ab aab|aab|bab|ab
89/b: ab aab|aab|bab|ab

Il primo caso omette la ripresa, il secondo, avendo già presentato la ripresa, omette i versi corrispondenti della strofa.

  89/a     89/b  
a
b

    En non Dieu, agace, agace
Vous n’i ferez plus vos ni
In nome di Dio – gazza, gazza –
non farai più lì il tuo nido
a
a
b
An Dieus ou pourrai je trover
L’ome qui offri a prouver
Que Dieu n’a riens eu firmament
Ah, mio Dio, troverò mai
l'uomo che pretende di provare
che Dio non possiede nulla nel firmamento
 
Il n’est nul qui ne vous hace
Pour ce qu’uns balais toussi

Non c'è nessuno che non ti odi
perché una scopa ha tossito
a
a
b
Ainz dist qu’il le fist estorer
Pour ses oes mettre couver
Si le tient Dieus mavesement
Dice invece che lo ha creato
per far covare le sue oche
e che Dio le governa ma le
  Quant on li dit 'Sanz foace'
Pour ce qu’il mit en sa nace
La granche Rumegni
quado gli hanno detto "Sento odore di pane"
per quello che ha messo nella sua rete
il granaio Rumegny
b
a
b
Sur ce jure que s’il ne li rent
Qu’il le fera tel atourner
A un cog qui a non Climent
Di ciò giura che se non si scuserà
lo farà trattare come si deve
da un gallo di nome Clemente
  Mes pour ce qu’il s’endormi
A l'issir d’une crevace
Li dist le fours de Gaigni
Ma poiché si addormentò
uscendo da una fessura
il forno di Gaigny gli disse:
a
b
Que nus ne li pourra donner
Confors, secours n’alegement
e nessuno gli potrà dare
conforto aiuto o sollievo
  Se n’ai trois cops de hache
"Se non ricevo tre colpi d'ascia"

Il distico di 89/a, è tratto dal motetus di un brano a 3 parti (di cui il #21, l'unico quadruplum di Fauv, è un contrafactum).

89/1-7. [sottes chansons]

Seguono sette brevi melodie (f. 34v), dette sottes chanson, che suggerisono trattarsi di incipit di canzoni di scherno. Solo la prima, che ha 3 versi e non chiude con etc., sembra essere conclusa:

89/1
L’autrier dehors Pinquigni | Vi un chat enseveli | Dit que espousera lundi [Ieri, fuori Pinquigni | vidi un gatto sepolto | disse che si sposerà lunedì]

89/2
En Hellequin le quin n’ele en hel... [In Hellequin la coda non va in...]

89/3
Elles ont peux ou cul, nos dames... [Quelle hanno peli sul culo, le nostre dame...]

89/4
Trente quatre pez moysis, etc. [Trentaquattro peti puzzolenti, etc.]

89/5
Vostre bele bouche besera mon cul [La vostra bella bocca bacerà il mio culo...]

89/6
Je vi les peus de mon cul en etc. [Ho visto i peli del mio culo in etc.]

89/7
Dame, se vos fours est chaut, etc. [Signora, se il vostro formo è caldo...]

90. Lay des Hellequines

Lai in alessandrini

i/a. En ce dous temps d’esté | tout droit ou mois de may
Qu’amours met par pensé | maint cuer en grant esmay,
Firent les herlequines | ce descort dous et gay.
Je, la Blanche Princesse | de cuer les em priai
Et vous qu’em le faisant | y deïssent leur penser,
Se c’est sens ou folie | de faire tel essay
Com de mettre son cuer | en par amours amer.
i/b. Je qui sui leur mestresse | avant le commençai,
Et en le faisant, non | de descort li donnay,
Quar selon la matere | ce non si li est vrai.
Puis leur dis: «Mes pucelles | moult tres grant desir ai
Qu’en fesant ce descort | puissons tant bien parler
Qu’on n’i truist que reprendre | que pour verité sai
Que pluseurs le voudront | et oïr et chanter».
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In questo mite periodo estivo | proprio nel mese di maggio,
quando il pensiero dell'amore | porta sgomento in molti cuori,
le Arlecchine hanno composto | questo dolce e allegro contrasto.
Io, la principessa Bianca, | le ho invitate a farlo
e ho voluto che facendolo | esprimessero il loro parere
se sia sensato o sciocco | tentare una cosa del genere:
come d'indurre il proprio cuore | ad amare per amore.
Io, che sono la loro padrona | ho cominciato la composizione
e nel farlo le ho dato | il nome di contrasto,
perché per l'argomento | quel nome era appropriato.
Poi dissi loro: "Ragazze mie | desidero fortemente
che nel comporre questo contrasto | riusciamo a parlare così bene
che nessuno possa trovarvi un difetto | perché so per certo
che molte persone vorranno | ascoltarlo e cantarlo".
ii. «Je qui sui la duchesse | Orgueilleuse d’Amours,
Si di qu’il m’est avis | que ce soit grant folours
De commencier les choses | pour s’en tost repentir;
Et pour ce le di je | qu’ai veü avenir
Que cil qui en amer | se tiennent pour meilleurs
Si y ont pou de joie | et souvent grant douleurs!»
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"Io che sono la duchessa | Orgoglio d'Amore,
dico che mi sembra | una grande follia
iniziare le cose | e poi cambiare subito idea;
e lo dico perché | ho visto accadere
che anche coloro che in amore | si considerano i più abili
vi trovano poca gioia | e spesso grande sofferenza".
iii/a. La tres noble marquise | si a doucement ris,
Amoureuse la Belle | puis dist: «Il m’est avis
Que vous avez, duchesse | un petitet mespris,
b. Qui bonne amour avez | si tres forment blasmee;
Si en avez ouvré | comme desavisee,
Qu’on ne doit blasmer chose | qui ne l’a esprouvee;
c. Mais j’en doi bien parler | quar g’i ai mon cuer mis
A touz jours sanz retraire | si sai bien que les dis
Qu’avez aucune foiz | en ces chançons oïs,
d. Vous ont par grant folour | a ce dire menee
Que la joie d’amours | c’est verité prouvee,
Est plus grant que nulle autre | mes chier est achetee!»
[in levare] Ridendo dolcemente | la nobilissima marchesa
Amorosa la Bella | disse: "Mi sembra
duchessa, che abbiate | commesso un piccolo errore
avendo il dolce amore | condannato così duramente
avete operato | imprudentemente
perché non si deve condannare cose | che non si sono provate.
Ma parlo con coscienza | perché gli ho dedicato il mio cuore
da sempre, senza indugio | e so bene che le parole
che avete sentito a volte | in queste canzoni
vi hanno portato scioccamente | a parlare in questo modo,
perché la gioia dell'amore | è una verità provata
ed è più grande di ogni altra | ma ha un prezzo elevato".
iv. La parole amoureuse | fu de bon cuer oïe
De toutes les compaignes | et loëe et prisie.
La tres plaisant Pensive | li dist: «Ma douce amie,
Ains n’amai par amours | a nul jour de ma vie,
Si m’en est plus estrange | assez ceste matire!»
Et quant elle ot ce dit | un pou basset soupire,
Et puis en haut parla | et dist: «Quoi que nuls die,
Amours est si puissant | et noble et seingneurie,
Mais la paour que j’ai | (d)’en estrë enginie
Si m’a tolue a | de la soue mestrie.
Ensi com des eschés | en puis par raison dire:
Qui ne donne ce qu’aimme | ne prent ce que desirre.
Et pour ce que bien sai | qu’a painne est acomplie
L’amour bien egaument | entre amis et amie,
Ne vous onques amer | quar dame qui otrie
S’amour doit moult vouloir | que bien soit emploïe».
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La dichiarazione sull'amore | fu ascoltata di buon grado
da tutte le compagne | e lodata e apprezzata.
La molto affascinante Pensierosa | rispose: "Mia cara amica
mai stata innamorata | per nulla in vita mia,
quindi questo argomento | mi è del tutto estraneo".
Dopo aver detto questo | emise un piccolo sospiro
e poi parlò a voce alta | e disse: "Qualunque cosa si dica,
l'amore è davvero potente | nobile e signorile,
ma la paura che ho | di essere ingannata da lui
mi ha tenuta lontana | dalla sua influenza.
Come per gli scacchi | posso dire con ragione:
Chi non offre ciò che ama, non prende ciò che desidera.
E poiché so bene | che raramente capita
che un amore sia equilibrato | tra due amanti,
non ho mai desiderato amare | perché una donna che concede
il suo amore deve sforzarsi | di trattarlo bene".
v/a. Biau sot parler Faitisce | et gracïeusement;
Dame est de la fontaine | que l’en dit de Jouvent.
Elle a dit a Pensive | moult amiablement:
«Pour Dieu, ne vous veillez | dame, ainsi decevoir
De penser qu’Amours lait | les siens en nonchaloir,
b. Mais amez par amours | quar je vous di pour voir
Que c’est la greigneur joie | que nus hons puist avoir
Que de joïr d’amours | et nuls n’i va faillant
Qui la veult obaïr | et servir loiaument;
Et pour ce vous lo je | que soiez de sa gent».
  Bella Forma sapeva parlare | con eloquenza e grazia.
È la dama della Fontana | chiamata della Giovinezza
e disse a Pensierosa | in modo molto amichevole:
"Per l'amor di Dio | signora, non si illuda
di pensare che l'amore | le sia indifferente
ma ami per amore | perché le dico sinceramente
che la gioia più grande | che si possa avere
è gioire d'amore | e non v'è chi non la raggiunga
purché sia disposto a obbedire | e a servire lealmente.
Per questo motivo le dico | di unirsi al suo seguito".
vi. Jolie sanz Amour | si a dit: «Par ma foy,
Fetice, il m’est avis | que trop grant tort avez,
Qui par beles paroles| faire croire voulez
Que c’est joie d’amer | et le contraire en voi!
Quar ceus qui sont loiaus | n’i trueuvent fors qu’anoy
Et en chantant le dïent | comme desesperez.
Et quant li bon en sont | si crüelment menés,
L’en doit donc bien haïr | l’amer et prisier poi!»
α [forse in
β levare]
γ
α
δ
γ
β
δ
Vivace senza Amore disse: "Sulla mia parola,
Bella Forma , mi sembra | che tu stia sbagliando di grosso
nel tentare con belle parole | di farci credere
che amare è una beatitudine | mentre io vedo il contrario
perché coloro che sono fedeli | non incontrano altro che problemi
e nelle loro canzoni | esprimono la disperazione.
E poiché le persone buone sono | trattate in modo così crudele,
bisogna proprio odiare l'amore | e averne poca considerazione".
vii/a. Fierete si a dit | la noble chastelainne
Du Chastel Amoureus | par moult tres grant irour:
«Jolie, je vous tieng | certes, pour trop vilainne,
Qui dites qu’il n’a pas | loiauté en amour!
b. Et certes s’i a plus | qu’en chose terrïenne,
Car elle fait aus bons | avoir joie et honneur
Et aus mauvais souffrir | annui, travail et peinne.
Ainsi rent a chascun | selon soi son labour».
  Ebbe a dire Altera, la nobile castellana
del Castello dell'Amore, con grande rabbia:
"In effetti, Vivace, ti considero | molto grossolana
per aver detto che non c'è | lealtà in amore;
anzi, c'è di più | che in altra cosa terrena
perché l'amore ai buoni | porta gioia e onore
e fa soffrire i malvagi | con disagi, tormenti e pene.
In questo modo premia ognuno | secondo il suo impegno".
viii. Celle de l’Ille Blanche | qu’on appele Simplete,
Si a dit en riant: | «Damoisele Fierete,
D’Amour loër vous voi | un petit trop asprete!
C’est a tort, ce m’est vis | que nus qui s’entremete
De la servir ne faut | a la trouver durete;
Pour ce tieng a folie | que nul son cuer i mete!»
ogni verso
su un tono
più alto
(esacordo)
Quella dell'Isola Bianca | chiamata Modestia,
disse ridendo: | "Signora Altera,
nel lodare l'amore vi trovo | un po' troppo sicura.
È sbagliato, mi sembra | che chi s'impegna
a servire l'amore | ne abbia durezze
Per questo considero una follia | che nessuno ci metta il cuore".
ix. «Bien doi parler d’amours | ce a dit la daufine,
Quar j’ai non Bien Amer | et ce non me destine
Que je doie savoir | auques de son couvine.
Si fais je, par ma foy | pour ce ne me tenroie
Pour riens, que ne deïsse | les grans biens qu’ele otroie:
A ceus qui cuer et cors | metent en sa saisine
Et qui veulent user | de sa sage doctrine,
Leur honneur et leur bien | acroist et monteploie
Et de leur desirrer | acomplir les avoie,
Qui est de tout ce mont | la souverainne joie».
α


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β

α
"Devo parlare d'amore | – disse la delfina –
perché il mio nome è Benamare | e il nome m'obbliga
a sapere qualcosa | sugli affari dell'amore.
E sulla mia parola, lo so | e quindi mi riterrei
inutile se non dicessi | dei grandi benefici che conferisce.
Per coloro che il cuore e il corpo | cedono al suo potere
e che vogliono attenersi | ai suoi saggi insegnamenti
onore e benessere | migliora e accresce
e li porta a raggiungere | ciò che desiderano,
che è di tutto il mondo | la più alta gioia".
x. «Je, la Blanche Princesse | voi bien que d’un acort
N’estes pas, mes pucelles | en faisant ce descort:
L’une si loë amours | l’autre le blasme fort;
Pour ce vuel que vous quatre | qui encor n’avez dit
De ce vostre pensé | me jugiez sanz respit
Lesquelles em parlent | d’amours ou droit ou tort!
Or le faites tres bien | quar le vostre recort
Tendrons entre nous toutes | sanz faire nul ressort!
α


β

α
"Io, principessa Bianca | vedo chiaramente che d'accordo
non siete, ragazze mie | nel fare questo contrasto
Una loda l'amore | un'altra lo rimprovera severamente.
Per questo voglio che le quattro | che ancora non hanno espresse
il loro pensiero | giudichino senza indugio
quali signore parlano | di amore a ragione e quali a torto.
Ora fatelo molto bene | perché la vostra decisione
accetteremo tutti noi | senza fare appello.
xi. Jupiter la contesse | je vueil et si me plest
Qu’entre vous et Noblete | de la Faée Forest
Faites le jugement | du debat qui ci est:
Eüreuse la fee | de cest conseil sera
Et la Belle Gaiande | ou mout de raison a;
Or le faites vous quatre | tel comme il vous plaira!»
  "Contessa Giove, è mio piacere e mio desiderio
che voi e Nobiltà della Foresta Incantata
emettiate una sentenza nella presente disputa.
Fata Felice farà parte di questa giuria,
insieme alla Bella Gigantessa, che è molto sensibile.
Ora, voi quattro, procedete come volete".
xii/a. «Nous quatre, en affinant | ce descort, si y veon
Qu’amours si est tant noble | et de si bon renon
Que de la blasmer n’a | nulli bon achoison,
Si com par nos paroles | clerement mousterron!
Il est bien verité | que mesdisant felon
Si tiennent a folie | par leur grant fauseté
L’amer, pour ce qu’il veulent | tollir le guerredon
A ceus qui loiaument | l’ont touz jours desirré.
b. Se d’estre amé fesoit | amours a chascun don,
Trop petit d’avantage | y aroient li bon;
Mais certes ce n’est pas | la seue entencion
Qu’elle doint a nulli | confort ne garison,
S’en li n’a attemprance | loiauté et raison;
Et s’elle fait aus siens | souffrir peinne ou grieté,
C’est pour tant seulement | qu’el puist sanz mesprison
Acomplir leur desir | em plus grant seürté».
α

α

β

β
"Noi quattro, ponendo fine | al contrasto, riteniamo
che l'amore è così nobile | e di così buona reputazione
che per condannarlo | nessuno ha buoni motivi
come le nostre parole | chiaramente dimostreranno.
È infatti vero | che i criminali felloni ,
nella loro grande disonestà | considerano una follia
l'amore, perché vogliono | privare della ricompensa
coloro che lealmente | l'hanno sempre desiderato.
Se d'essere amati facesse | l'amore dono a tutti
ben poco vantaggio | ne avrebbero i buoni
ma in effetti non è | sua intenzione
concedere a nessuno | conforto o rimedio
senza temperanza | lealtà e ragionevolezza
e se l'amore fa soffrire i suoi | con disagi o difficoltà
è solo perché possa | senza errore
concedere loro il desiderio | con maggiore sicurezza".

III/c. Torneo

93. Virgines egregie

Inno/cantico

Fonti
Fauv Parigi, Fr. 146, f. 37r Br Bruxelles, 3823, f. 176rOr Orleans, 129, f. 170rP Paris, Lat. 10513, f. 102r — P1086 Paris, Lat. 1086, f. 120vP1139 Paris, Lat. 1139, f. 14v — P904 Paris, Lat. 1139, f. 14vHu Las Huelgas, f. 67
Ediz. Harrison 1963: 277 | Tischler 1991: 143
Bibl. Caldwell 2014 | Ruini 2014
Audio (Schellmerÿ 2019) — Las Huelgas: | (Feminae vox, 2008) | (Anonymus 4, 2011) | (Schola cantorum, 2012) | (Ensemble Peregrina, 2012) | (Hildegard singer, 2015) | (Cantilena Antiqua, 2020) | (Savall 2022) | (Armonioso incanto, 2023) | (Mille Fleurs, 2023)
Virgines egregie | Virgines sacrate
Coram vestri facie | Sponsi coronate
In eterna requie | Sursum sublimate
Canticum leticie | Domino cantate
ab
ab
ab
ab
5"|5' O vergini eccellenti | o vergini consacrate
di fronte alla vista | del vostro sposo
in eterna pace | elevate in alto
un canto di gioia | cantante al Signore
Castitatis lilium | Olim custodistis
Propter Dei filium | Cui placuistis
Templum sancti Spiritus | Esse voluistis
Tactus et concubitus | Ideo fugistis
    Il fiore della castità | un tempo serbato
grazie al figlio di Dio | cui siete gradite
tempio del Santo Spirito | avete voluto essere
il senso e il letto | perciò avete fuggito
Flore pudicicie | Vestre reservato
Carnalis lascivie | Motu refrenato
Debito mundicie | Premio donato
Assidetis socie | Virginali nato
    Il fiore della pudicizia | da voi serbato
la lascivia carnale | tenuta a freno
in cambio alla purezza | donato un premio
Siete diventate compagne | al nato dalla Vergine
Non estis de fatuis
Que cum vasis vacuis
Sponsum prestolantur
c
c
d
5"
5"
5'
Non siete tra le stolte
che con i vasi vuoti
attendono lo sposo
Immo de prudentibus
Que plenis lampadibus
Bene preparantur
    invece siete fra le sagge
che con le lampade piene
si sono ben preparate
Fatuis virginibus
Oleo carentibus
Sponsus est dicturus
    Alle vergini stolte
cui manca l’olio
lo Sposo dovrà dire:
Vobis non apperiama
Prudentes recipiam
Premium daturus
    "A voi non aprirò
accoglierò invece le sagge
cui darò un premio"

 

III/d. Persistenza di Fauvel

III/e. Implorazione finale

122. Celi Domina

Mottetto

Fonti
Parigi, Fr. 146, f. 42v — Bamberg, Msc. Lit. 115, f. 3r — Darmstadt, Hs 3471 [Wimpfener Fragmente]
Ediz. Schrade 1956: 57 [Comm 94]
Bibl. Anderson 1971: 40-41 | Avery 1981: 106-107 | Regalado 1999: 119-126 | Bolduc 2000: 217-221 | Everist 2007: 369-372 | Caldwell 2014: 42-47
Audio (Binkley 1972) | (Clemencic 1978) | (Alia Musica 1994) | (Boston Camerata 1995) | (I Ciarlatani, 1998)
Triplum      
Celi Domina
quam sanctorum agmina
Venerantur omnia
in celesti curia
Tuum roga filium
redemptorem omnium
Ut sua clemencia
nobis tollat Falvium
gaudereque faciat
nos eius sequacium
absencia
a
a
a
a
b
b
a
b
a
b
a
3"
5"








4"
Signora del cielo
che tutta la schiera dei santi
venerano tutti
nella curia celeste
prega tuo figlio
nostro Salvatore
affinché con la sua clemenza
ci liberi da Fauvel
e faccia di nuovo gioire
a noi dei suoi seguaci
l'assenza
Motetus      
Maria, virgo virginum,
Mater patris et filia,
Pro nobis roga Dominum,
Ut solita prece pia
Nos virtutum presencia
Et seductoris hominum,
Falvelli, ducis criminum,
Glorificet absencia.
a
b
a
b
a
b
b
a
6" O Maria vergine delle vergini
madre e figlia del Padre
prega il Signore per noi
affinché con la consueta pia preghiera
con la presenza delle virtù
e del seduttore degli uomini
Fauvel signore dei crimini
ci rendi gloria con la sua negazione
Tenor      
Porchier mieus estre ameroie
Que Fauvel torcher
Escorcher ains me feroie
Porchier miex estre ameroie
N’ai cure de sa monnoie
Ne n’ai son or chier
Porchier miex estre ameroie
Que Fauvel torcher.
a
b
a
a
a
b
a
b
7'
5
Meglio amerei allevare maiali
che pettinare Fauvel
scuoiare anzi mi farei
meglio amerei allevare maiali
non mi curo del suo denaro
né ho cura del suo oro
meglio amerei allevare maiali
che pettinare Fauvel

124. Firmissime

Mottetto isoritmico politestuale a 3 voci attribuito dubitativamente a Philippe de Vitry. Il tema della trinità è reso anche dal doppio color in proporzione 3:1.
Tenor: melodia da Alleluia Benedictus, LU 904 [] utilizzato dopo la quanta lettura dei Quattro tempora.
Duplum: testo: tropatura della prima strofa dell'inno liturgico De sanctissima Trinitate (solitamente cantato con diversa musica)
Triplum: Décasyllabes con cesura in un latino pronunciato alla francese.

Fonti
m Fauv Paris, Bibl. Nat., Fr. 146, f. 43rBr Bruxelles, Bibl. Royale, 19606 [sez.] — intavolatura: La London, Br. Lib., Add. 28550, f. 43v (cod. Robertsbridge) [info] []
  tx Darmstadt, Hessische Landesbibl., 521, f. 228 (solo Firmissime) [info]
Ediz. m Wolf 1899 [La, Fauv] — Schrade 1956: 60 [Comm 95] [Fauv]
  tx Dreves 1808/51: 142 (Adesto, liturgico)
Citaz.   Vitry-322

Comp-340 [Wolf 1908: 37]:
— Exemplum de tribus [= modo perfetto] in uno moteto Praesidentes in tronis seculi [#4], exemplum secundi scilicet de duobus [modo imperfetto] in Adsto sancta Trinitas [#124]
— Exemplum de tempore imperfecta majori in moteto Adesto sancta Trinitas [in realtà la prolatio è minor: forse confusione con #4]
Bibl.   Robertson 1997Zayaruznaya 2015
Audio   Sequentia 1990 | Peréz 2022
    Organo: Rassam 2010 | Beilschmidt 2017
    (edizione dipl. e sinottica di Fauv + La)

Il tenor di Fauv non corrisponde propriamente alla versione moderna, perché mutuato da quella più antica (per esempio in F-Pn, Lat. 909, f. 175v):

            

  Firmissime | fidem teneamus
Trinitatis | patrem diligamus
Qui nos tanto | amore dilexit
Morti datos | ad vitam erexit
Ut proprio | nato non parceret
Sed pro nobis | hunc morti traderet
4|6
décasyllabe
Con fermezza conserviamo la fede
della Trinità | Amiamo il Padre
che ci ha amati con tanto amore
che ha ridato alla vita chi cconsiderato morto
che non ha risparmiato il suo unico Figlio
ma lo ha consegnato alla morte per noi
  Diligamus | ejusdem filium
Nobis natum | nobis propicium
Qui in forma | Dei cum fuisset
Atque formam | servi accepisset
Hic factus est | patri obediens
Et in cruce | fixus ac moriens
  Amiamo suo Figlio
nato per noi, benevolo con noi,
che pur essendo in forma di Dio
ha assunto anche la forma di servo
Questo ha fatto obbediente al Padre
è stato messo in croce ed è morto
  Diligamus | sanctum paraclitum
Patris summi | natique spiritum
Cujus sumus | gracia renati
Unctione | cujus et signati
  Amiamo lo Spirito Santo
spirito del Padre e del Figlio altissimo
per la cui grazia siamo rinati
e con la cui unzione siamo segnati.
  Nunc igitur | sanctam trinitatem
Veneremur | atque unitatem
Exoremus | ut eius gracia
Valeamus | perfrui gloria
  Ora dunque adoriamo la Santa Trinità
e lodiamo la sua unità
per essere forti nella sua grazia
e godere della sua gloria
       
[I str. dell'inno liturgico]      
Adesto Sancta Trinitas

Par splendor una Deitas

Qui extas rerum omnium

Sine fine principium
Adesto Sancta Trinitas
Musice modulantibus
Par splendor una deitas
Simplex in personis tribus
Qui extas rerum omnium
Tua omnipotencia
Sine fine principium
Duc nos ad celi gaudia
6" Sii vicina Santa Trinità
mentre cantiamo la nostra musica
Uguale splendore, una sola divinità
tre persone in una
che sta al di sopra di tutte le cose
a motivo della tua onnipotenza
inizio senza fine
guidaci alle gioie del Cielo.

129. Garrit gallus | In nova fert

Fonti
Fauv Paris, Bibl. Nat., Fr. 146, f. 44v — Paris, Bibl. Nat., Coll. de Picardie, 67, f. 67
Ediz. Ficker 1933/76 | Schrade 1956: 68 [Comm 98]
Bibl. La Trobe
Audio Binkley 1972 | Sequentia 1990 (+ ed.) | Boston Camerata 1995 (+ ed.) | Lumina 2014 | Pasotti 2017 | Cantate 2020 (strum.) | Blue Heron 2020
Triplum      
Garrit Gallus flendo dolorose
Luget quippe gallorum concio
Que satrape traditur dolose
Excubito cedens officio
Et quam vulpes tamquam vispillo
In Belial vigens astucia
De leonis consensu proprio
Monarchisat artat angaria
Rursus, ecce Jacob familia
Pharaone altero fugatur
Non ut olim Jude vestigia
Subintrare potens, lacrimatur
In deserto fame flagellatur
Adjutoris carens armatura
Quamquam clamat tamen spoliatur
Continuo forsan moritura
Miserorum exulum vox dura
O Gallorum garritus doloris
Cum leonis cecitas obscura
Fraudi paret vulpis proditoris
Ejus fastus sustinens erroris
Insurgito: alias labitur
Et labetur quod habes honoris
Quod mox in facinus tardis
ultoribus itur
    Il gallo garrisce con pianto amaro
anzi tutta l'assemblea dei galli piange,
perché il governatore fu tradito con inganno
mentre svolge il suo incarico.
E la volpe, come un ladro di tombe,
prosperando con l'astuzia di Satana,
con il pieno consenso del leone
regna e vessa con richieste.
Di nuovo, ecco la famiglia di Giacobbe
che fugge da un altro Faraone
ma non più le orme dei giudei
potendo seguire piange.
Nel deserto è torturata dalla fame
le difese mancando di aiuto
anche se grida viene saccheggiata
Vicino alla morte
la voce dei miseri esuli è affaticata
O doloroso garrire dei galli
quando la ceca oscurità del leone
subisce l'inganno della volpe traditrice
la cui arroganza incoraggia il peccato
ribellatevi altrimenti svanisce
e svanirà il vostro onore
Perché subito diventa infamia se tardi
si va con i vendicatori
Motetus      
In nova fert animus mutatas dicere formas
Draco nequam quem olim penitus
Mirabili crucis potencia
Debellavit Michael inclitus
Mox Absalon munitus gracia
Mox Ulixis gaudens facundia
Mox lupinis dentibus armatus
Sub Tersitis miles milicia
Rursus vivit in vulpem mutatus
Caude cujus lumine privatus
Leo vulpe imperante, paret
Oves suggit pullis saciatus
Heu suggere non cessat et aret
Ad nupcias canibus non caret
Ve pullis mox, ve ceco leoni
Coram Christo tandem ve draconi
    L'animo [mi] conduce a dire cose mutate in novità [a]
Il drago malvagio [b] che un tempo distrusse
la mirabile potenza della croce
che il forte Michele aveva debellato.
ora fortificato con la grazia di Assalonne, [c]
e con l'eloquenza di Ulisse,
armato con i denti di un lupo
come un soldato dell'esercito di Tersite [d]
è tornato a vivere mutato in volpe
Privato della vista con l'inganno
il leone è soggetto al potere della volpe [e]
ed egli [il drago] depreda gli agnelli, sazio di polli
ahimè non smette di succhiare assetato
non manca mai al banchetto con i suoi cani.
Guai ai polli e guai al leone cieco
ma davani a Cristo alla fine guai al drago
a. Incipit delle Metamorfosi di Ovidio
b. In origine la fede musulmana, nel Roman il male e quindi Fauvel.
c. Figlio di Davide, si ribellò al padre.
d. Personaggio spregevole dell'Iliade che spodesto lo zio.
e. Riferimento alla celebre favola di Esopo.

Orderico Vitale

[traduzione di Massimo Oldoni (in La famiglia di Arlecchino, 2021) da Orderico Vitale (1075-1142), Historia ecclesiastica, lib. viii, 17 (Mirificus casus)

Io credo che non si debba tralasciare né passare sotto silenzio quello che, all'inizio di gennaio, accadde ad un prete nella diocesi di Lisieux. Nel villaggio che si chiama Bonneval c'era un sacerdote di nome Gualchelino che serviva la chiesa di Saint-Aubin il confessore, vescovo di Angers e precedentemente monaco. Questi, nell'anno 1091 dell'incarnazione del Signore, all'inizio di gennaio, chiamato come esige il suo ufficio, visitò di notte un malato nei confini più lontani della sua parrocchia. E mentre ritornava da là, camminando a lungo da solo tenendosi lontano dai luoghi abitati, cominciò a sentire un gran frastuono come di un grandissimo esercito, e pensò potesse trattarsi della masnada di Roberto di Bellème che si affrettava ad assediare Courcy. L'ottava Luna, in quel tempo, risplendeva di chiara luce nel segno dell'Ariete, e rischiarava la strada a quelli che avanzavano. Il prete era giovane, coraggioso e forte, robusto di corpo e agile. Ma, udito il tumulto di quelli che si avvicinavano in disordine, ebbe paura e fra sé e sé prese a meditare parecchio: se fuggire, per non essere assalito da quegli infami profittatori e rapinato con violenza, oppure se prepararsi a difendersi con forza nel caso fosse aggredito da qualcuno di loro. Alla fine, in un campo un po' discosto dal sentiero scorse quattro nespoli verso i quali decise subito di dirigersi per nascondersi finché fosse passata la truppa a cavallo. Ma un essere di gigantesca statura, che aveva in mano una grossa mazza, precedette il prete che si affrettava e, levata la clava sul capo di lui, disse: "Fermati, non fare un passo di più". Il prete subito s'irrigidì e, appoggiato al bastone che portava, rimase immobile. Il gigante con la mazza stava vicino a lui e, senza fargli alcun male, aspettava che l'esercito sfilasse.

Ecco passare un'immensa moltitudine di gente a piedi che portava in collo e in spalla animali, vesti, suppellettili di vario tipo e diversi utensili che i ladri sono soliti rubare. Si lamentavano tutti, e si incitavano l'un l'altro a procedere più in fretta. Tra quelli il prete riconobbe anche molti dei suoi vicini che erano morti da poco, e li udì lamentarsi per i grandi tormenti dai quali erano afflitti a causa dei loro misfatti. Poi seguì una torma di becchini, e il gigante subito si unì a questa. Portavano una cinquantina di bare e ognuna era sorretta da due becchini. Sopra le bare stavano seduti uomini piccoli come nani, ma avevano teste grandi come botti. C'erano anche due Etiopi che portavano un grosso tronco, e sopra il tronco era legato e brutalmente torturato un povero sventurato che gridava e mandava urla straziate fra i tormenti. Infatti un orribile demonio, che stava sullo stesso tronco, lo martoriava crudelmente con speroni infuocati nei fianchi e nella schiena facendolo sanguinare. Gualchelino riconobbe che quell'uomo era sicuramente l'assassino del prete Stefano e vide che lui pativa quell'insopportabile supplizio a causa del sangue di un innocente che aveva versato due anni prima, e poi era morto senza aver espiato la penitenza di un così grave delitto.

Poi seguiva uno stuolo di donne, la cui quantità sembrò al prete innumerevole: cavalcavano secondo l'uso femminile e sedevano su selle
da donna nelle quali erano stati conficcati perni arroventati. Il vento le sollevava continuamente di quasi un cubito e le lasciava subito ricadere sui pioli. E quelle venivano ferite nelle natiche dai perni incandescenti e, orribilmente torturate dalle penetrazioni e dalle ustioni, urlavano:"Ahi! Ahi!", e confessavano apertamente le colpe vergognose per le quali scontavano quei supplizi. E dunque, a causa delle lusinghe e degli osceni piaceri che godevano senza ritegno fra i mortali, adesso patiscono crudelmente fiamme, fetori e altre torture più di quante possano essere qui riferite, e urlando manifestano con voce miserevole le loro sofferenze. In questa schiera il sacerdote riconobbe alcune nobildonne, e di molte, che erano ancora in vita, egli vide i puledri e le mule con le selle da donna.

Il prete, pur rimanendo fermo, alla vista di tali cose si mise a tremare e cominciò a riflettere profondamente fra sé. Non molto dietro vide una fitta schiera di chierici e di monaci e riconobbe anche i loro rettori, vescovi e abati con i bastoni pastorali. I chierici e i vescovi erano vestiti con cappe nere; e anche i monaci e gli abati erano avvolti allo stesso modo in nere cocolle. Gemevano e si lamentavano, e alcuni chiamavano Gualchelino, e chiedevano che pregasse per loro in nome dell'antica amicizia. Il prete riferì di aver visto là molti, veramente degni di grande stima, che l'opinione degli uomini ha già innalzato al cielo uniti ai santi. Vide, infatti, Ugo, vescovo di Lisieux, e gli autorevolissimi abati Mainerio di Saint-Evroult, e Gerbert di Saint-Wandrille de Fontenelle, e molti altri che non posso ricordare per nome ad uno ad uno e non cerco d'indicare per iscritto. Il più delle volte lo sguardo degli uomini sbaglia, ma l'occhio di Dio osserva fin nel midollo. Perché l'uomo vede la faccia, ma Dio conosce il cuore. Una perpetua chiarezza illumina tutte le cose nel regno dell'eterna beatitudine e colà, raggiunta ogni delizia, una perfetta santità esulta nei figli del regno. Colà nulla avviene nel disordine, niente d'impuro vi s'insinua. Colà nulla si trova di spregevole e di contrario alla bellezza. Perciò qualsiasi cosa di non conveniente abbia
commesso la feccia della carne è consumato nel fuoco purificatore, ed è emendato con varie purgazioni secondo quanto dispone il giudice eterno. E come un vaso, mondato dalla ruggine sciolta sulla fiamma e lucidato in ogni parte, viene riposto nel tesoro, così l'anima, mondata dal contagio di tutti i vizi, viene accolta in paradiso, e là viene allietata senza timore né affanno abbondando di ogni letizia.

Il prete, davanti alla visione di queste terribili cose, tremava tutto e, appoggiato al bastone, aspettava cose ancora più terribili. Ecco che seguiva un grande esercito di cavalieri, e fra loro si distinguevano solo il colore nero e un fuoco scintillante. Tutti montavano cavalli giganteschi e, provvisti di tutte le armi, si affrettavano come a una guerra e agitavano vessilli completamente neri. Si videro là Riccardo e Baldovino [Riccardo di Bienfaite e Baldovino di Meules], figli del conte Gisleberto, che erano morti da poco; e molti altri che non posso elencare. Tra gli altri Landrico di Orbec, che era stato ucciso in quello stesso anno, cominciò a parlare al prete e, urlando in modo orribile, gli comunicò i suoi messaggi e soprattutto gli chiese di riferire a sua moglie le sue richieste. Ma quelli che nel gruppo lo seguivano e lo precedevano, interrompendolo gli impedivano di parlare e dicevano al prete: "Non credere a Landrico, perché è un bugiardo!". Questi era stato visconte di Orbec e avvocato, e grazie all'intelligenza e alle sue qualità si era elevato molto al di sopra delle proprie origini. Negli affari e nelle sentenze giudicava a capriccio, e dietro compenso di denaro ribaltava i verdetti e serviva più la cupidigia e la falsità che la giustizia. Perciò a ragione fu svergognato turpemente nei supplizi e definito apertamente un bugiardo dai suoi compagni. In questa schiera nessuno lo adulava e nessuno lo pregava in virtù della sua ingegnosa loquacità. Ma poiché, quando poteva, Landrico fu solito turarsi le orecchie alle richieste della povera gente, adesso era giudicato fra i tormenti come un maledetto assolutamente indegno d'essere ascoltato.

Allora, una volta passata quella grande armata di molte migliaia, Gualchelino cominciò a pensare fra sé:"Questa è senza dubbio la famiglia di Arlecchino [familia Herlechini]. Ho sentito che un tempo era stata vista da molti ma, incredulo, ho deriso quelli che lo raccontavano, perché non avevo mai visto prove certe di queste cose. Ora però vedo davvero le anime dei morti; ma, quando avrò riferito le cose viste, nessuno mi crederà se non avrò mostrato ai nati dalla terra una prova certa. Dunque fra i cavalli non occupati [vacui
equi
] che seguono la schiera ne catturerò uno, vi salirò subito sopra e lo condurrò a casa, e lo mostrerò ai vicini perché mi prestino fede".

Immediatamente afferrò le redini di un destriero nerissimo, quello, però, si scosse con forza dalla mano di chi voleva prenderlo e con una corsa come volando tenne dietro alla schiera degli Etiopi. Il prete, tuttavia, non si dolse di non aver raggiunto il suo intento. Era infatti giovane d'età, d'animo ardito e pronto, ed anche agile di corpo e forte. Dunque si piazzò deciso in mezzo alla strada e fattosi incontro ad un cavallo che arrivava a tutta velocità allungò la mano. Il cavallo si bloccò per far montare il prete e soffiando dalle froge emise una nuvola grande come un'altissima quercia. Allora il sacerdote mise il piede sinistro nella staffa e, afferrate le briglie, pose una mano sulla sella: subito avvertì sotto il piede un calore intenso come un fuoco ardente, e attraverso la mano che reggeva le redini un gelo indicibile gli penetrò fino al cuore.

Mentre accade questo sopraggiungono quattro orrendi cavalieri e, urlando in modo terribile, gli dicono: "Perché t'impadronisci dei nostri cavalli? Verrai con noi. Nessuno di noi ti ha fatto male, e tu adesso cerchi di rubare le nostre cose!". Il prete, completamente terrorizzato, lasciò andare il cavallo e mentre tre cavalieri stavano per prenderlo, il quarto disse: "Lasciatelo, e lasciate che parli con me, perché tramite lui io possa mandare le mie richieste a mia moglie e ai miei figli". Poi disse al prete ancora spaventatissimo: "Ascoltami, ti prego, e riferisci a mia moglie quello che ti chiedo". Il prete rispose: "Io non so chi sei, e non
conosco tua moglie". Il cavaliere disse: "Io sono Guglielmo di Glos, figlio di Barnone, che fu famoso un tempo come scudiero di Guglielmo di Breteuil e di suo padre Guglielmo, il conte di Hereford. Tra i mortali ho perpetrato ingiustizie e rapine, e ho peccato per molti delitti più di quanti si possa dire. Fra tutti mi affligge soprattutto quello dell'usura. Infatti ho prestato il mio denaro ad un povero e ho ricevuto in pegno un suo mulino, e poiché quello non riuscì a rendere la somma ho trattenuto il pegno per tutta la vita e, diseredato l'erede legittimo, l'ho lasciato ai miei. Ecco, adesso io porto in bocca il ferro incandescente di quel mulino, che senza dubbio mi sembra più pesante da portare della torre di Rouen. Di' quindi a mia moglie Beatrice e a mio figlio Ruggero che mi vengano in soccorso, e restituiscano in fretta all'erede il pegno dal quale hanno ottenuto molto più guadagno di quanto io prestai". Il prete rispose: "Guglielmo di Glos è morto già da tempo, e un'ambasciata di questo tono non è credibile per nessuno che mi senta. Io non so chi sei, né so chi sono i tuoi eredi. Se oserò raccontare queste cose a Ruggero di Glos, o ai suoi fratelli o alla loro madre, riderebbero di me come fossi pazzo". Guglielmo, di contro, chiedeva ostinato e insisteva, ripetendo con precisione moltissime e notissime prove. Il prete, pur comprendendo le cose che udiva, fingeva tuttavia di non sapere nulla. Infine, vinto dalle molte preghiere, acconsentì, e promise che sarebbe andato a fare quello che gli era stato richiesto. Allora Guglielmo di Glos ricapitolò tutto, e in un lungo colloquio gli ripeté molte delle cose già dette. Intanto il sacerdote cominciò a riflettere che non avrebbe osato riferire a chicchessia le richieste di un esecrabile biotanato. "Non conviene – disse – diffondere queste cose. Non riferirò mai a nessuno quello che tu pretendi". Allora l'altro allungò subito la mano furibondo e afferrò il prete per la gola, e trascinandolo con sé in terra cominciò a sopraffarlo. Il prete prigioniero avvertì bruciante come il fuoco la mano che lo teneva, e in quella situazione disperata all'improvviso esclamò:"Santa Maria, gloriosa madre di Cristo, aiutami!". Ed ecco che, all'invocazione della piissima madre del figlio di Dio, subito si palesò l'aiuto richiesto disposto per volontà dell'Onnipotente. Infatti sopraggiunse un cavaliere che brandiva nella destra una spada sguainata, e vi brandola come se volesse colpire disse: "Maledetti, perché uccidete mio fratello? Lasciatelo e andatevene!". Immediatamente quelli volarono via, e seguirono la schiera degli Etiopi.

Andati via tutti il cavaliere resta sulla strada con Gualchelino e gli chiede: "Mi riconosci?". Il prete rispose: "No". Il cavaliere disse: "Io sono Roberto, figlio di Rodolfo detto il Biondo, e sono tuo fratello". E poiché il prete era molto meravigliato per un fatto così inaspettato, e anche molto angosciato per le cose che, come si è detto, aveva visto e sentito, il cavaliere prese a raccontargli molte cose dell'infanzia di entrambi e a precisare notizie assai note. Il sacerdote ricordava benissimo le cose che ascoltava ma, non osando ammetterlo, negava tutto. Infine il cavaliere disse: «Rimango sbalordito davanti alla tua durezza, alla tua ostinazione. Dopo la morte dei nostri genitori io ti ho allevato e ti ho amato più di ogni altro. Ti ho mandato nelle scuole di Gallia, e ti ho procurato vestiti e denaro in quantità, e ho cercato di esserti utile in molti altri modi. Ora tu ti dimostri immemore di tutto questo, e rifiuti perfino di riconoscermi». Allora il prete, ascoltate quelle parole assolutamente vere, fu persuaso da queste prove sicure, e in lacrime concordò apertamente con le affermazioni del fratello. Allora il cavaliere gli disse: "Poiché hai tentato con perversa temerarietà d'impadronirti delle nostre cose, giustamente saresti dovuto morire ed essere adesso trascinato con noi a condividere i nostri tormenti. Nessun altro mai ha osato far questo; ma la messa che oggi hai recitato ti ha salvato, cosicché tu non perirai. E ora mi è stato anche concesso di apparirti e manifestare a te che io sono in una misera condizione. Dopo che ebbi parlato con te in Normandia e dopo essermi congedato da te io sono andato in Anglia, e là per volontà del Creatore ho trovato la fine della vita e, a causa dei troppi peccati dei quali mi ero macchiato, ho sopportato immani supplizi. Le armi che portiamo sono di fuoco, e ci ammorbano con un fetore tremendo, e ci opprimono moltissimo con la loro insostenibile pesantezza e ci bruciano con un ardore inestinguibile. Così fino ad ora sono stato afflitto da questi castighi in modo insopportabile. Ma quando tu sei stato ordinato prete in Anglia e hai detto la prima messa per i fedeli defunti, tuo padre Rodolfo è stato liberato dai supplizi, e il mio scudo, dal quale ero pesantemente aggravato, è scomparso. Come vedi porto questa spada, ma aspetto con fiducia entro un anno la liberazione da questo peso".

Mentre il cavaliere diceva queste cose e altre simili, il prete lo ascoltava con attenzione e intorno agli speroni sui talloni di lui vide una vescica di sangue grande come una testa d'uomo; meravigliandosi chiese: "Da dove viene il grumo di sangue così grande che grava sui tuoi calcagni?". E quello rispose: "Non è sangue ma fuoco; e mi sembra che sia di un peso maggiore che se reggessi su di me Mont Saint-Michel. Poiché adottavo speroni preziosi e appuntiti per affrettarmi in giro a spargere sangue, giustamente ora sopporto su questi tale enorme fardello, e ne sono afflitto in modo così intollerabile che non riesco a spiegare a nessuno l'intensità di tale sofferenza. I mortali dovrebbero meditare continuamente su queste cose e temerle, anzi evitarle per non scontare pene così orribili a causa delle proprie colpe. Fratello, non mi è consentito dirti di più, perché sono costretto a correre dietro a questa miserabile schiera. Ti supplico, ricordati di me e aiutami con preghiere devote e con le elemosine. Infatti dalla Domenica delle Palme fino ad un anno io spero di essere salvato e liberato da tutti i parimenti grazie alla clemenza del Creatore. Intanto tu abbi cura di te e correggi attentamente la tua vita che s'immiserisce in moltissimi vizi, e sappi che non sarà lunga. Per il momento taci. Mantieni il silenzio sulle cose che adesso inaspettatamente hai visto e udito; e non osare raccontarle a nessuno per almeno tre giorni".

Detto questo, il cavaliere se ne andò via veloce; il prete, invece, rimase gravemente malato per tutta la settimana. Poi, appena cominciò a guarire, si recò a Lisieux, raccontò in ordine tutte le cose al vescovo Gisleberto, e da lui ottenne le cure che gli erano necessarie. In seguito visse sano per circa quindici anni, ed io ho tramandato per iscritto le cose che udii dalla sua bocca, e moltissime altre che sono state perdute per dimenticanza, e ho visto la sua faccia piagata dal colpo di quell'orribile cavaliere. Ho scritto queste cose per l'edificazione di coloro che leggono: affinché i giusti si rafforzino nelle opere buone e i malvagi si ravvedano dalle azioni cattive.