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Missa Hercules dux Ferrarie

Josquin Desprez (1505?)

 

da: Raffaele Mellace, Guida all'ascolto, allegata al Cd Amadeus-Darp, 2005 (rist. Stradivarius 2004).

Josquin – lo indicheremo more antiquo col nome di battesimo ... – occupa, anche cronologicamente, il cuore di quel fenomeno ultrasecolare che ha visto schiere di musicisti franco-fiamminghi mettere al servizio delle raffinati corti italiane un magistero compositivo straordinario, spesso peregrinando da un signore all'altro, e diffondendo in tal modo nell'intera Penisola una sofisticata cultura polifonica. [...]

Protagonista di un regno singolarmente duraturo (1471-1505), dopo aver già stabilito contatti col compositore, il duca [di Ferrara, Ercole I d'Este] riuscì finalmente ad aggiudicarsene i servigi a lungo agognati, benché per un anno soltanto, nell'aprile 1503 («de hora in hora lo expectamo cum desiderio», scriveva Ercole I nell'imminenza dell'arrivo di Josquin, nominato «maestro de cappella»). L'aprile successivo, spinto probabilmente dal diffondersi della peste, Josquin riparava nella natia Francia, mentre il duca si sarebbe spento l'anno dopo. [...]

Amante della musica e impegnato attivamente nella riqualificazione della sua città (si pensi anche soltanto all'ampliamento urbano noto come «Addizione erculea») Ercole era andato costituendo una cappella musicale di notevole livello. Lo muoveva, specialmente nei suoi ultimi anni, una religiosità intensa, assai sensibile alla predicazione di Girolamo Savonarola. [...]

Tanto è indubbio [chi sia] il dedicatario della Missa Hercules Dux Ferrariae, altrettanto problematica ne è la datazione. In assenza di fonti antecedenti l'edizione a stampa, realizzata precocemente da Ottaviano Petrucci nel giugno 1505, e nonostante l'esistenza di ben undici testimoni manoscritti, occorrerà procedere per congetture. Si confrontano fra gli studiosi due pareri: il primo che considera la messa un lavoro giovanile, attribuendola agli anni '80, forse in occasione di una visita di Josquin a Ferrara nel 1480-81, o di una del duca a Roma, dove il compositore si trovava al servizio del cardinale Ascanio Sforza, nel 1487; il secondo che la colloca piuttosto nella fase conclusiva del principato di Ercole I, ai primi anni del nuovo secolo, nei pressi del servizio del compositore come maestro di cappella del duca.

L'intento encomiastico si realizza, come mai avvenuto prima in una messa, nella scelta del materiale tematico che risuonerà nell'intera composizione, ovvero nell'adozione di un cantus firmus che non consiste, eccezionalmente a quell'altezza cronologica, in una melodia preesistente. Questa si basa infatti, per usare la terminologia del teorico Zarlino, su un «soggetto cavato dalle vocali» di nome e titolo del duca, a ciascuna delle quali Josquin fa corrispondere una nota musicale, secondo la nomenclatura della solmisazione coeva:

HER CU LES DUX FER RA RI AE
re ut re ut re fa mi re

Queste otto note, che disegnano prevalentemente per grado congiunto un ambito intervallare molto ristretto (Josquin non si comporterà diversamente nelle messe La sol fa re mi e Faisant regretz), sono incardinate nel I modo (dorico), sulla cui finalis il soggetto inizia e si chiude. Adottato dunque questo soggetto ostinato (la tecnica era già nota a Ockeghem, che l'impiega in un mottetto), Josquin lo assume sempre come entità autosufficiente, riproponendolo sempre in forma completa.

Anzi, il modulo cui il compositore si attiene prevede una triplice esposizione del motto (al tono originale, alla quinta e all'ottava) a distanza regolare e fissa (otto misure per ciascuna esposizione del motto, seguite da otto misure di pausa). Tali triplici esposizioni sono in numero di 12, al quale è plausibile associare una simbologia erculea (le 12 fatiche dell'Alcide) ben intonata alla rete di allusioni simboliche che popolano le opere artistiche e letterarie fiorite alla corte del duca estense.

La rigidità dell'applicazione del motto, che non viene mai neppure trasposto, determina una tendenziale estraneità tra il tenor (titolare quasi esclusivo del motto, come avviene anche nelle messe L'ami Baudichon e L'homme armé super voces musicales) e le altre voci. Inoltre, la riproposta continua del motto garantisce la profonda unitarietà di tutti i movimenti di questa messa ciclica, e ne organizza perfino l'estensione temporale, vista la citata regolarità delle ricorrenze del motto.

E proprio quest'ultimo pone al contempo un problema esecutivo non secondario: non essendo chiaro quali parole occorra cantare sulle otto note del soggetto cavato, si sono proposte le soluzioni più varie, dall'adozione del testo della messa di volta in volta corrispondente, al nome delle note stesse, a un'esecuzione puramente strumentale della parte del tenor.

Nella presente registrazione si è deciso d'intonare il nome e titolo del duca, seguendo l'esempio di alcuni adattamenti storici di questa stessa messa, in cui a Ercole d'Este si sono sostituiti ora «Philippus Rex Castiliae», ora «Fredericus Dux Saxsonie» (indipendentemente dalla corrispondenza delle sillabe; altri compositori hanno seguito l'esempio di Josquin, deducendo soggetti dai nomi dell'imperatore Carlo V e del duca Ercole II d'Este).

Come avviene appunto nella musica, anche nell'enunciazione del testo la figura del duca viene così a stagliarsi sullo sfondo del testo liturgico dell'ordinarium missae, analogamente a quanto accadeva nell'arte figurativa coeva, quando i pittori effigiavano il profilo orante dei committenti accanto al le figure sacre nelle pale d'altare spesso raffiguranti una sacra conversazione.

All'ombra dell'onnipresente motto erculeo, che scandisce rigorosamente e implacabilmente il divenire del tempo, la messa, dalla scrittura arcaicizzante dovuta alla tecnica del cantus firmus, si articola attraverso la concatenazione di brevi episodi, il più delle volte imitativi, su materiale tematico continuamente rinnovato, corrispondente a ciascun nucleo semantico del testo. A loro volta tali episodi sono articolati in sezioni più vaste, che strutturano ciascun movimento secondo una logica spesso tripartita: di tre ante si compongono infatti Kyrie, Credo, Sanctus, Benedictus e Agnus Dei. Puntualmente articolato in questi termini, il testo liturgico viene offerto all'ascolto nel segno di una costante cordialità espressiva, declinata ora nell'intimità dei frequenti duetti, ora nella quieta grandezza del conclusivo Agnus Dei III, che dilata «scenograficamente» l'organico vocale da quattro a sei voci.

 

 [2'50"] Kyrie |  [4'00"] Gloria |  [6'40"] Credo |  [6'30"] Sanctus |  [7'10"] Agnus Dei
De Labyrintho, dir. Walter Testolin | ©2004 Stradivarius

 

 [1'49"] Introitus |  [5'16"] Kyrie |  [4'03"] Gloria |  [6'51"] Credo |  [6'44"] Sanctus |  [6'22"] Agnus Dei
A sei voci, Bernard Fabre-Garrus, dir. | 1993 © Astrée | info
 
edizioni

– da:Werken van Josquin des Prés, edizione in 55 voll. a cura di Albert Smijers, Leipzig: Kistner & Siegel, 1937, xxxvii [lastra 29146].

 
editio princeps

La messa Hercules dux Ferrarie fu pubblicata per la prima volta nel 1505, nel Secondo libro di messe di Josquin. Nella tavola che segue compaiono solo le pagine relative alla messa (oltre al frontespizio e al colofon) visibili cliccando su ciascun riquadro.

Superius | Superius | Superius | Superius – Missarum Josquin liber secundus, Venetijs: per Octavianum Petrutium, 1505