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VI-VII secolo

Questa è l'ultima delle tre raffigurazione di San Gregorio Magno dipinte da Francisco Goya (1746-1828). Fu realizzata a Sevilla nel 1798 e fa parte di una serie intitolata I quattro padri della chiesa che comprende anche i santi Ambrogio, Agostino e Girolamo. Oggi si conserva al Museo Romantico di Madrid. L'elemnto intellettuale è quello che più interessa Goya che nella serie dei "Padri" seleziona proprio i quattro dottori, tutti raffigurati appunto con un libro in mano.

L'ITALIA LONGOBARDA (primo periodo)
– Liberata la penisola dai goti, l'Impero non è in grado di fermare la calata ariana dei longobardi di Alboino (568).
– Sotto Agilulfo (591-616) e sua moglie, la cattolica Teodolinda, migliorano i rapporti col papato e in particolare con Gregorio I (590-604), primo papa monaco, poi detto Magno.
Maometto emigra (egira) dalla Mecca a Medina (622) dove fonda la prima cominità islamica. Questo diventerà l'anno zero del calendario musulmano.
– Rotari (636-652) con l'editto che porta il suo nome (644) emana il primo codice legislativo longobardo.

600 d.C.
| L'Impero ha, almeno apparentemente, riconquistato la parte occidentale, ma la sua debolezza s'individua proprio nell'incapacità di fermare i Longobardi che s'instaurano nell'Italia del Nord (capitale Pavia) per poi, superato il cordone imperiale Roma-Ravenna, acquisire i ducati di Spoleto e Benevento.

LA MUSICA
– Si conclude, con Gregorio I, la fase di assestamento del repertorio romano (cominciato con Leone I e proseguito da Gelasio I), cosa che ha indotto l'immaginario storiografico ad attribuire al papa la composizione dei canti dell'intero anno liturgico (da cui il nome "gregoriano" dato al canto piano liturgico).
– Muore Cassiodoro (ca 490-583), le cui Institutiones si sono occupate di musica (lib. II, cap. V).
Isidoro di Siviglia scrive le Etimologie (ca 600) che trattano diffusamente di musica (cap. xv-xxiii).

 

Gregorio Magno

da: Giulio Cattin, Il Medioevo I, Torino 1987 (Storia della musica, 1/2), pp. 59-63.

Vangelo di Matteo (XII sec.), Laon, Biblioteca municipale, Ms. 70, f. 57r.

Rivestito dei paramenti pontificali, con lo stilo e il volumen tra le mani, mentre la colomba (simbolo della divina ispirazione) gli suggerisce i testi e le melodie liturgiche: lo schema iconografico di papa Gregorio I (590-604) trasmesso dalle miniature d'innumerevoli fonti liturgiche medioevali riassume la secolare convinzione che attribuiva a Gregorio un ruolo diretto ed essenziale nella creazione del patrimonio liturgico dell'Occidente, al punto da imporre la denominazione di «gregoriano» al canto della chiesa di Roma.

L'autenticità di questa tradizione fu per la prima volta posta in dubbio nel secolo XVII (Pierre Goussainville); poi, a partire dal secolo scorso, il problema emerse in modo sempre più radicale e impellente, costringendo gli storici a scegliere tra posizioni contrapposte. Neppure oggi la querelle ha trovato completa e definitiva soluzione, ma le ricerche condotte per suffragare storicamente le rispettive tesi consentono un giudizio più equilibrato e rispondente a verità.

La formazione

Nato nel 540 da nobile famiglia romana (probabilmente la gens Anicia), Gregorio ricevette l'educazione più accurata che si potesse dare nel suo tempo e nel suo ambiente: uno dei periodi più oscuri della storia di Roma, quando la città, presa e ripresa da ostrogoti e bizantini durante la guerra gotica, rischiò d'essere distrutta dal re Totila.

Ricomposto l'assetto amministrativo e scolastico dalla Prammatica sanzione di Giustiniano (554), Gregorio poté intraprendere la carriera di pubblico funzionario, cui il padre l'aveva destinato, fino a diventare praefectus urbis. Alla morte del padre decise di ritirarsi dalle occupazioni secolari per abbracciare la vita ascetica; per questo trasformò in monastero la casa ereditata dal padre sul Celio e vi instaurò, assai probabilmente, la regola benedettina.

Il ritiro claustrale non durò a lungo: troppo preziosa era la sua esperienza della situazione romana e dei rapporti con il governo bizantino perché il papa Pelagio II lo potesse lasciare nel silenzio del monastero. Fu scelto e inviato come apocrisario (ambasciatore) del pontefice a Costantinopoli, ove rimase dal 579 al 585-86. Egli non conosceva il greco (il particolare va sottolineato anche in vista delle sue riforme liturgiche), ma si guadagnò a corte la stima di tutti.

Richiamato a Roma e scelto dal papa come suo segretario, conobbe lo struggente dissidio tra la vocazione contemplativa e le assidue incombenze del suo ufficio, che preludevano a quelle ben più gravi cui egli fu costretto quando, sia pur riluttante, fu eletto pontefice.

Il pontificato

La sua operosità divenne allora inesausta. Si rivolse dapprima a Roma devastata dalle armi e dalla pestilenza che vi infieriva. Per ottenere la cessazione del contagio organizzò la litania septiformis, ossia volle che i fedeli raccolti in sette cortei processionali confluissero verso la basilica di S. Maria Maggiore. Contro l'incombente minaccia della fame sollecitò spedizioni di grano dalla Sicilia e, frattanto, si adoperò per riaccendere in Roma la vita religiosa e restaurare la disciplina del clero.

Il suo epistolario documenta la vastità della sua azione presso varie chiese d'Italia (le metropoli erano Ravenna, Milano, Aquileia e Cagliari) per dirimere controversie, incoraggiare al bene, incitare e correggere. Con la sua azione politica mirò soprattutto a risolvere il problema dei longobardi in Italia. Anche le chiese dell'Africa, dell'Illirico e dei regni barbarici costituiti in Occidente (visigoti in Spagna, franchi nelle Gallie, ecc.) conobbero la sua sollecitudine.

Volle la prima spedizione missionaria che la chiesa di Roma ricordi, inviando il monaco Agostino con una quarantina di compagni ad evangelizzare l'Inghilterra.

Di fronte alle chiese orientali, pur affermando il principati della sua sede, si comportò in modo da non far pesare sui patriarchi la sua autorità. Al riordinamento delle proprietà terriere della chiesa Gregorio rivolse speciale attenzione, cosciente che allora era questo uno dei compiti che spettavano al vescovo.

Finalmente, la sua attività letteraria (omelie, commentari biblici, dialoghi, ecc.), soprattutto se comparata con gli innumerevoli impegni del suo ministero, fu molto feconda e, com'è comprensibile, intonata prevalentemente a un carattere pratico, esegetico e morale. Se si aggiunge la malferma salute, della quale ci dànno notizia le fonti, l'operosità di Gregorio ha quasi del prodigioso. Ed è in questo contesto che va inserita l'attività liturgica dell'unico papa del Medioevo cui i posteri riconobbero il titolo di Magno.

Il Sacramentario gregoriano

La sua esperienza monastica non poteva lasciarlo insensibile ai problemi della liturgia. Sulla traccia di alcuni papi suoi predecessori (specialmente Gelasio), Gregorio compilò un Sacramentario, ossia la raccolta delle preghiere che il celebrante recitava durante la messa. È quel tipo di Sacramentario, chiamato appunto gregoriano, che è possibile ricostruire attraverso copie posteriori a noi pervenute (una delle più antiche riproduce il modello inviato a Carlo Magno dal papa Adriano I verso il 785-86 ) e che si apre generalmente con la scritta: Incipit liber Sacramentorum de circulo anni expositus, a S. Gregorio papa Romano editus.

Esso conteneva i formulari usati dal papa nelle messe delle grandi solennità dell'anno, di alcune domeniche e di poche festività dei santi, in special modo romani, con esplicito riferimento alle cosiddette stationes, cioè alle chiese romane ove il pontefice celebrava.

Non è da escludere che, parallelamente alla compilazione del Sacramentario, Gregorio abbia riordinato anche l'Antifonario della messa, cioè il libro che allora conteneva i soli testi dei canti. Ma è proprio nell'attribuire un significato a questo suo intervento che gli storici si sono schierati in contrastanti posizioni. Per non esprimere valutazioni soltanto preconcette, è opportuno analizzare brevemente le antiche testimonianze.

Il canto e la schola

La Vita, che in modo esplicito assegna a Gregorio Magno la creazione o la riforma dei canti dell'Antifonario (...antiphonarium centonem, cantorum studiosissimus, nimis utiliter compilavit. Scholam quoque cantorum... constituit), fu redatta da Giovanni Diacono (Johannes Hymmonides) negli anni 872-75 ed è perciò posteriore a Gregorio di quasi tre secoli: trecento anni nella Roma medioevale sconvolta da devastazioni e disordini!

Al contrario, i documenti più vicini all'epoca di Gregorio nulla affermano del canto né della schola: tacciono sia una Vita quasi contemporanea al santo, sia il Liber pontificalis (638); un malsicuro riferimento recano l'epitaffio composto da papa Onorio (625-38) e un testo di Beda (m. 735); solo dall'epoca di Adriano I (772-95) cominciano ad apparire codici (Antifonari) preceduti da un proemio in versi che celebra Gregorio come compositore del repertorio liturgico: Gregorius praesul... composuit hunc libellum musicae artis scholae cantorum anni circuli... Analoga attribuzione si legge in una fonte coeva a questo proemio (Ordo Romanus XIX, nell'edizione di M. Andrieu); ma Paolo Diacono, che scrive verso il 780, pur ricordando molte tradizioni giunte fino a lui, non ha una parola sul canto né sulla schola.

Alcuni interventi strettamente liturgici del grande papa ci sono noti dalle sue opere; così è per la tendenza a semplificare riti e preghiere: pose più rigorosi limiti alla prece litanica; ridusse a una decina i prefazi propri; spostò il Pater noster a conclusione del canone; privò dell'alleluia anche le tre settimane precedenti la quaresima; nel riordinare il Lezionario consentì l'uso di due letture in luogo delle tre tradizionali; ecc. Si ha dunque una serie di prescrizioni che giustifica la sua fama di riformatore in campo liturgico.

In rapporto all'organizzazione della schola cantorum, alcuni hanno voluto scorgervi cenno in un famoso canone del Sinodo romano celebrato nel 595; ma questo testo prescrive soltanto che chierici e monaci siano introdotti, in luogo dei laici, nel palazzo pontificale allo scopo di reciproca edificazione. Che vi sia sottinteso il desiderio d'una più accurata formazione ascetica e forse liturgica, è assai probabile; ma in nessun modo si può fondare su questo passo l'apertura della schola cantorum. Neppure l'altro testo – in cui Gregorio condanna l'abuso invalso a Roma di conferire il diaconato a persone dotate di bella voce ma di condotta poco esemplare – è indizio d'un gruppo di cantori permanentemente costituito. Semmai le parole di Gregorio provano il contrario, tant'è vero che, nello stesso testo, egli riserva ai diaconi il solo canto del Vangelo, demandando il canto dei salmi e delle altre letture ai suddiaconi e, in caso di necessità, ai chierici degli ordini minori.

Si deve tuttavia riconoscere che, se i due passi accennati non offrono una sicura prova per l'esistenza della schola cantorum, alcuni reperti archeologici (basilica di S. Marco papa e chiesa inferiore di S. Clemente a Roma e altre chiese fuori Roma, come ad Alvignano di Caserta e a Castelfusano presso l'antica Laurentum, ecc.) documentano che gruppi di cantori (psallentes) esistevano nel V secolo ed erano collocati in uno spazio recintato davanti al presbiterio; inoltre alcune testimonianze letterarie indirette confermerebbero gli indizi dell'archeologia.

In conclusione: per quanto riguarda Gregorio, nessun testo che gli appartenga, né altre fonti a lui cronologicamente vicine, provano diretti interventi del pontefice in relazione alla musica; se qualche influsso egli esercitò, ciò avvenne mediatamente, attraverso le iniziative di carattere liturgico.