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Sistema modale

Premesse | Modello bizantino: l'oktoichos | Teoria greca | Boezio e Tolomeo | Forme del canto liturgico | La sintesi teorica del IX secolo | Gli otto modi liturgici | I nove toni salmodici

 

 

Premesse

La teoria armonica medioevale è formulata tardi, verso il IX secolo, quando i franchi, a seguito della riforma carolingia avevano cominciato ad acquisire il rito romano, in un momento quindi in cui il repertorio liturgico è in gran parte definito (seppur non ancora notato, quindi non stabilizzato).

Non solo la svolta radicale imposta da Carlo Magno indurrà ben presto a fermare i canti su carta, ma obbligherà i teorici a formulare regole destinate a sistematizzare il vastissimo repertorio. I primi esperimenti in questo senso si collocano non a caso Oltralpe.

Tuttavia il sistema che si viene configurando, detto appunto modale, benché valido almeno fino a Bach (che chiama Dorica la fuga bwv 538), si rivela più un abito indossato a forza che la definizione teorica di una prassi (peraltro troppo eterogenea per essere rigidamente organizzata). Pretendendo conciliare elementi affatto diversi – l'octòichos bizantino (struttura liturgica orientale), il sistema classico greco (teoria speculativa), la natura del canto liturgico (prassi esecutiva) – presenta numerose incongruenze che è bene mettere in luce ripercorrendone la genesi, al fine di distinguere prerogative interne da altre solo terminologiche.

Due esempi

Per capire meglio la natura dei problemi da affrontare si confrontino questi due canti del communio.


Sono entrambi classificati in iv modo (quindi tenor: la, finalis: mi), ma se il primo è modalmente riconoscibile, il secondo offre pochi indizi persino per capire quale sia il tenor.

Altro esempio: benché rigidamente differenziate le formule per il ii, iii e viii tono salmodico sono di fatto identiche, o con varianti minime accomunabili in una casistica di differentiae (che il II tono salmodico abbia tenor in fa, invece che do è del tutto ininfluente essendo quello gregoriano un sistema a do mobile):

Di fronte a questi casi per interpretare il canto liturgico si potrebbe ritenere fuorviante la struttura modale, ma di fatto, una volta formulato, tale sistema divenne un abitus accettato dagli stessi musicisti che, in una prima fase, giunsero persino a modificare i canti per adeguarli al modo e in seguito ne crearono di nuovi sulla base di tale griglia modale.

Modello bizantino: l'oktòichos

Attestato fin dal v-vi sec., era diffuso nella liturgia orientale l'uso di formule sacre d'intonazione (echemata) su parole senza apparente significato che, verso l'VIII secolo, si stabilizzano in un ciclo di otto, così definito (cfr Bailey 1974):

formula nome [traduzione]
ananeanes
neanes
aneanes
hagia
aneanes
neanes
anes
nehagie
ìchos protos
ìchos deuteros
ìchos tritos
ìchos tetartos
ìchos plagios protos
ìchos plagios deuteros
ìchos barys
ìchos plagios tetartos
primo modo
secondo modo
terzo modo
quarto modo
primo modo plagale
secondo modo plagale
modo inferiore
quarto modo plagale

La serie fu alla base del libro liturgico detto oktòichos, una raccolta dei canti di otto domeniche successive. Ad ogni domenica corrispondeva un insieme di testi intonati tutti sullo stesso echema. L'oktòichos, reso prassi comune in oriente dal teologo Giovanni Damasceno (ca. 675-750), venne a costituire un ciclo liturgico che ricominciava ogni otto settimane.
'Ichos' si latinizza con 'modus' e, nella teoria orientale, identifica un carattere (un ethos) e insieme una specifica distribuzione di altezze all'interno dell'ottava. Non v'è però corrispondenza con il sistema occidentale: la scala bizantina non è diatonica e usa intervalli che possono variare da un sesto di tono a due toni.

Tuttavia i teorici carolingi riuscirono a trovare punti di contatto fra gli ìchoi e i modi greci (dorico, frigio, lidio etc.), o almeno ciò che ritennero esser tale.

Terminologia

Se con dorico, frigio etc. i greci antichi indicavano il carattere di certe melodie (l'ethos), nella terminologia della teoria musicale quegli stessi termini erano usati anche per altri due aspetti: la distribuzione degli intervalli all'interno dell'ottava e il grado di trasposizione del sistema perfetto.

Per evitare ulteriori fraintendimenti qui ci si riferirà all'espressività di un canto (ethos) col termine 'carattere'; alla distribuzione degli intervalli con 'specie' (termine usato in questo senso anche dagli antichi); e al grado di trasposizione con 'tonalità' (la parola è moderna ma il significato coincide ed è preferibile al più diffuso 'tono' il cui senso può essere ambiguo).

Poiché tali due accezioni di modo possono anche influire sul carattere della musica, non deve stupire se i nomi latini per indicare tutti e tre gli aspetti (carattere, specie e tonalità) siano usati senza distinzione e con sinonimi che spesso hanno lo stesso significato (modo, tono, tropo, specie etc.).

Un punto fermo è che i teorici medioevali per rinominare gli ìchoi bizantini si sono rifatti agli «otto modi» di Boezio descritti nel De institutione musica (ca. 520). Ma cosa intendeva Boezio con i suoi «otto modi»?

Teoria greca: ethos, specie e tono

Boezio affrontò tutti e tre casi in cui gli antichi usavano il termine modus (carattere, tonalità e specie).

1. Carattere

Con il significato di 'carattere' lo si trova per esempio nel primo capitolo del De institutione musica (I.1):

anche i modi musicali sono stati designati con il nome proprio dei popoli, come lidio e frigio. Infatti l'espressione caratteristica di ciascun popolo corrisponde più o meno al modo musicale designato con lo stesso nome.

In questo caso, il fatto che una melodia sia lidia o frigia non significa necessariamente che usi una scala lidia o frigia, o comunque non esclusivamente. Significa che tale musica aveva caratteristiche (melodiche, musicali, ritmiche, di strumentazione, di esecuzione, etc.) che gli antichi riconoscevano con quel nome.

2. Specie

Per trattare delle varie 'specie' Boezio adotta spiegazioni più tecniche. Per meglio comprendere il suo discorso è utile riferirsi al sistema perfetto greco (systema teleion) che organizzava su una doppia ottava i nomi greci delle altezze delle note, derivati dalla giustapposizione di tetracordi di genere diatonico (qui esemplificato su base la per evitare le alterazioni).

Boezio scrive (IV.14):

Nel genere diatonico, se disponiamo il tetracordo diezeugmenon tra l'hyperbolaion e la mese, previa eliminazione del tetracordo synemmenon, avremo un complesso di 15 corde; eliminando anche la proslambanomene, ne resteranno 14
Disponiamole dunque in questo modo: A hypate hypaton, B parhypate hypaton, C lichanòs hypaton, D hypate meson, E parhypate meson, F lichanòs meson, G mese, H paramese, I trite diezeugmenon, K paranete diezeugmenon; L nete diezeugmenon, M trite hyperboleon, N paranete hyperboleon, O nete hyperboleon
Vediamo ora le sette specie di ottava: la prima da O a G; la seconda da N a F; la terza da M a E; la quarta da L a D; la quinta da K a C; la sesta da I a B; la settima da H ad A

In nessun caso Boezio chiama modi le specie d'ottava, né gli attribuisce alcun nome.

3. Tonalità

Infine Boezio parla degli «otto modi» che identificano altrettanti gradi di trasposizione (tonalità), facendoli derivare proprio dalle specie di ottava (I.15):

Dalle varie specie d'ottava hanno origine i modi o, come altri li chiamano, i tropi o toni. I tropi sono disposizioni fisse dello schema sonoro, varianti solo per gravità e acutezza … Ora, se si trasportano queste disposizioni schematiche verso l'acuto o verso il grave, si avranno sette modi secondo le varie specie di ottava che abbiamo esaminato.

Ovvero – qui Boezio non è chiarissimo – il trasporto del systema tèleion produrrà sette 'tonalità' diverse caratterizzati da una distribuzione intervallare corrispondente alle sette specie di ottava. Di seguito nomina le 'tonalità' e mostra come operare il trasporto:

Eccone i nomi: ipodorico, ipofrigio, ipolidio, dorico, frigio lidio, missolidio. Ed ecco il loro ordine tonale: il modo ipodorico è dato, nel genere diatonico, dalla scala dei suoni procedenti dal proslambanomenos alla nete hyperboleon. Se si eleva di un tono il proslambanomenos, e dopo quello anche l'hypate hypaton con tutti gli altri suoni, si otterrà, alzando il sistema di un tono, una scala di modo ipofrigio. A intervallo più acuto di un tono trarrà origine la modulazione dell'ipolidio, mentre per il dorico basterà salire di un semitono. Lo stesso procedimento vale anche per gli altri.

In pratica:

Boezio aggiunge l'ipermissolidio (di fatto identico all'ipodorico) al solo scopo di completare il ciclo:

Sette, dunque, avevamo detto essere i modi; ma non sembri incongruenza il vederne aggiunto un ottavo … Poniamo la doppia ottava:
Tra A e H si ha consonanza d'ottava, comprensiva appunto di otto suoni. Già abbiamo detto che la prima specie di ottava è AH; la seconda è BI; la terza CK; quarta DL; quinta EM; sesta FN; settima GO. Resta dunque esclusa HP, che fu aggiunta a completare tutto l'ambito di doppia ottava. Questo ottavo modo fu aggiunto da Tolomeo.

Boezio, in questo caso, inverte l'ordine delle note. Non c'è bisogno di dire che Boezio non usa mai il pentagramma ma solo linee segmentate, e molti hanno letto la serie di lettere come una scala ascendente: da qui l'opinione, ancora diffusa che Boezio confonda le 'specie' con la 'tonalità'.

Il riferimento a Tolomeo permette di capire da dove ha origine questo complicato sistema di trasporto che ha alcuni elementi oscuri: p.e. perché l'ipodorico deve coincidere con il systema teleion? perché la distanza fra le varie trasposizioni è quella e non un'altra? perché queste tonalità vengono correlate alle specie di ottava?

Boezio e Tolomeo: i toni negli Harmonika

Tolomeo (ca. 83-161), matematico, geografo e astronomo, scrisse un importante trattato musicale, gli Harmonika (Armonia), in cui si ritrova il modello di riferimento di Boezio. Per Tolomeo l'esigenza di trasporto non si pone a partire dal systema teleion, ma dal modo dorico che era per i greci il punto di partenza di ogni melodia, e nella sua forma aurea occupava l'ottava costituita dai tetracordi meson e diezeugmenon, ovvero l'ottava di mi (sempre intendendo il systema teleion su base la). Il motivo di questa predilezione è dovuto al fatto che il tetracordo base della musica greca (su cui si basa anche il systema teleion) era quello con il semitono al grave, e l'ottava dorica quella che disponeva due di questi tetracordi a distanza di tono (tetracordi disgiunti) per avere fra mese e paramese e gli estremi dell'ottava intervalli di quarta o quinta.

L'ottava aurea era quella che caratterizzava l'estensione della maggior parte degli strumenti (oltre ad essere vocalmente comoda) e quella in cui modo e specie, entrambi detti 'dorici', coincidevano.

La necessità di modificare la distribuzione intervallare non nasceva dall'esigenza di eseguire una melodia in modo diverso dal dorico, ma dall'accogliere una melodia dorica distribuita p.e. sui tetracordi meson e hypaton. Ciò avrebbe implicato di far slittare tutto il systema teleion su di una quarta, pur mantenendo fissi gli estremi dell'ottava mi-mi.

Tolomeo propone di spostare la posizione di mese e paramese sugli altri gradi dell'ottava sia sopra che sotto, mantenedo fissi gli estremi. In questo modo si esauriscono tutte e sette le specie.

Tolomeo dice che aggiungendo un ottavo tono si riproporrebbe una specie già realizzata (implicitamente negando l'utilità di tale operazione) e Boezio usa questa frase per giustificare l'aggiunte dell'ipermissolidio.

Resta ora da capire come i teorici medioevali abbiano rielaborato l'insegnamento di Boezio e lo abbiano applicato al canto liturgico.

Forme del canto liturgico

1. Cantillazione

Il canto liturgico romano, sebbene preveda anche alcuni canti strofici (come gli inni), è soprattutto intonazione di un testo in prosa, privo cioè di strutture metriche.

Il canto in quanto tale è un'evoluzione del modo originario di leggere i testi sacri, derivato dalla tradizione ebraica, detto cantillazione, che su una corda di recita fissa adotta piccole oscillazioni dell'intonazione utili a restituire il senso del testo. Fermate, sospensioni attese, enfatizzazioni – che oggi sulla carta si riducano ai segni d'interpunzione – erano per l'oratore occasione per modificare provvisoriamente l'intonazione.

Residuo di questa pratica, ormai formalizzata all'interno di un sistema diatonico, è l'intonazione delle letture evangeliche che propone questo esempio (si osservi qui come il punto interrogativo sia reso sempre dalla stessa formula melodica).

Lectio sancti Evangelii secundum Mattheum

In illo tempore, dixit Iesus discipulis suis: «Auditis quia dictum est: "Diliges proximum tuum,
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Avete udito che fu detto: "Amerai il prossimo tuo
et odio habebis inimicum tuum"».
e odierai il tuo nemico"».
Ego autem dico vobis: Diligite inimicos vestros, benefacite his qui oderunt vos, et orate pro persequentibus et calumniantibus vos; ut sitis filii Patris vestri, qui in caelis est,
Io, però, vi dico: Amate i vostri nemici, fate del bene a chi vi odia e pregate per quelli che vi perseguitano e vi calunniano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli.
qui solem suum oriri facit super bonos et malos et pluit super iustos et iniustos.
Egli fa levare il suo sole sui buoni e sui malvagi e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti.
Si enim diligitis eos qui vos diligunt, quam mercedem habebitis?
Se, infatti, amate quelli che vi amano quale ricompensa avrete?
Nonne et publicani hoc faciunt?
Forse non fanno così anche i pubblicani?
Et si salutaveritis fratres vestros tantum, quid amplius facitis?
E se salutate soltanto i vostri fratelli che cosa fate di straordinario?
Nonne et ethnici hoc faciunt?
Non fanno lo stesso anche i pagani?
Estote ergo vos perfecti,
Voi, dunque, siate perfetti
sicut et Pater vester caelestis perfectus est.
com'è perfetto il vostro Padre celeste.
Lectio — Kantores 96 | solista Maurizio Verde | Cd Amadeus-Darp, 1996

2. Tono salmodico

Il tono salmodico è un po' più strutturato e codifica alcuni momenti chiave dell'intonazione della corda di recita (tenor):

– l'inizio (intonatio)
– la fine del primo emistichio (mediatio)
– la fine del versetto (terminatio)
– una breve sospensione per gli emistichi più lunghi (flexa).

Come in questo esempio [Dixit Dominus, salmo 109 (110) per i Vespri della domenica (tonus peregrinus)]:

Dixit Dominus — Consortium vocale Oslo | dir. Alexander M. Schweitzer | Cd Gaudeamus, 2002

Tale movimento melodico restituisce la tensione espressiva dell'oratore. Per questo la terminatio, intesa quale esaurimento dell'energia discorsiva, chiude sempre su un grado più basso del tenor. E per lo stesso motivo l'intonatio ha andamento contrario. Si delinea così la tipica struttura ad arco della melodia liturgica. Sia del versetto di un salmo (sempre il Dixit Dominus ma intonato in VIII tono):

Sia delle singole frasi di un canto un intero canto (qui dall'Alleluia I del Commune matyrum extra T.P.):

3. Canto

L'arricchimento melodico e l'ampliamento dell'estensione propria del canto non altera infatti la struttura ad arco di fondo della melodia medioevale. Tuttavia l'arco più ampio aumenta la distanza fra il piano del tenor (tensione) e il punto di partenza/conclusione del canto (riposo), rappresentato per convenzione dall'ultima nota del brano, detta finalis. Si crea così un bipolarismo, tipico della melodia gregoriana, che insiste preferibilmente sull'intervallo di quinta o, nei casi in cui l'estensione vocale è più contenuta, di terza.

Non c'è bisogno di dire che tale schematizzazione è contraddetta in numerosi casi, ma ha una sua verità, non da ultimo a motivo che, una volta riconosciuta tale dai teorici, si è fatto in modo di adeguarsi.

La sintesi teorica del IX secolo

Dopo il lungo silenzio che seguì a Boezio apparvero verso il IX secolo i primi trattati di teoria musicale:

De octo tonis [pubbl. come De musica di Alcuino] (inizio IX sec.)
Aureliano di Réôme, Musica disciplina (ca. 850)
Alia musica [di tre autori anonimi] (IX sec.)
Hucbald di Saint-Amand, De harmonica institutione (fine IX sec.)

Qui si posero le basi per la sintesi fra gli otto ìchoi bizantini e le otto 'tonalità' di Boezio, ovvero quel poco a cui i teorici potevano riferirsi per classificare un repertorio la cui prerogativa ritenuta più evidente era il rapporto di quinta o di terza fra tenor e finalis.

Numerato dal grave all'acuto la successione dei 'toni' proposto da Boezio, le specie di ottava furono calcolate secondo lo stesso ordine ma a partire dal systema teleion, senza il corrispettivo trasporto:

Il risultato fu di ottenere uno schema diverso da quello greco in cui il nome del 'tono' greco diventava il nome della specie (al centro la distribuzione di toni e semitoni dal grave all'acuto):

  teoria greca
(toni)
  teoria medievale
(modi)
[sol]
[fa]
[mi]
[re]
[do]
[si]
[la]
II
III
IV
V
VI
VII
I
ipofrigio
ipolidio
dorico
frigio
lidio
missolidio
ipodorico
T T s T T s T
T T T s T T s
s T T T s T T
T s T T T s T
T T s T T T s
s T T s T T T
T s T T s T T
VII
VI
V
IV
III
II
I
missolidio
lidio
frigio
dorico
ipolidio
ipofrigio
ipodorico

Non è dato sapere se l'errore fu consapevole o meno, certo in questo modo era possibile far coincidere i primi quattro ìchoi bizantini con i quattro toni greci privi del prefisso 'ipo'. Associando il dorico, tono base, al primo ìchos (protos), e di seguito gli altri, si aveva perfetta corrispondenza delle finalis, nell'ordine: re, mi, fa e sol (ormai il systema teleion era consapevolmente riferito a la).

4. ìchos tetartos
3. ìchos tritos
2. ìchos deuteros
1. ìchos protos
missolidio
lidio
frigio
dorico
[sol]
[fa]
[mi]
[re]

Tali quattro modi vennero chiamati 'autentici' per distinguerli dagli altri quattro plagali (plagios). Qualche difficoltà in più produsse l'integrazione dei restanti ìchoi che terminavano sempre sulle stesse finali (re, mi, fa e sol). L'avere però due volte la stessa finalis permetteva di distinguere i canti con tenor alla quinta da quelli con tenor alla terza. Così, con qualche forzatura, si trasformò l'ipermissolidio di Boezio in 'ipomissolidio' che come gli altri modi 'ipo' si sarebbe collocato una quarta sotto al suo relativo (ovvero al missolidio).

A tale sistema, così faticosamente formulato, si adattarono tutti i canti del repertorio cristiano. La notazione, che si diffuse nei decenni successivi, sancì la fortuna successiva del sistema modale.

Gli otto modi liturgici

Da questo momento in poi sparisce ogni forma di cromatismo (che forse la prassi aveva conservato), proprio perché né il sistema modale né la notazione contemplano l'uso di alterazioni. Unica eccezione, derivata dal systema teleion, è il si bemolle, che ha la funzione di evitare il tritono col fa. La sua instabilità fa sì che il tenor preferisca evitare tal nota, slittando a do. Un ulteriore riordino dei modi liturgici stabilì un raggruppamento per finalis e la nuova definitiva numerazione.

Per la verità i canti poi si adegueranno solo in parte a questo sistema e non è difficile trovare un iv modo con tenor a sol, né tenor di iii e vii modo che mantengono il si, soprattutto nelle forme melodiche di redazione più antica.

Lo slittamento del tenor al do in ragione dell'instabilità del si non spiega perché anche il iv modo si sposta. Sono state avanzate varie ipotesi: per riproporre la funzione dell'antico tetracordo greco; per conservare il rapporto di quinta con la finalis, seppur invertendo le funzioni; per imitazione al relativo autentico conservando il rapporto di terza fra i due tenor (benché così non si comportino il vii e viii).

In realtà una risposta possibile si lega al tenor che è posto sempre in seconda posizione all'interno di una quarta:

La prima soluzione è adottata dai modi ii, iii, v, viii; la seconda di modi i, iv, vi, vii. Lasciare il tenor del iv sul sol avrebbe scardinato questo criterio.

Le ragioni per cui viene adottato un range di quarta attorno al tenor si legano all'importanza del tenor/repercussio rispetto alla finalis. È il movimento melodico attorno alla repercussio che determina il carattere dell'intonazione, ecco perché tutti i modi la collocano al centro di una quarta (consonanza canonica), preferibilmente in seconda posizione per poter essere fondamentale della terza (maggiore o minore), quarto armonico.

Non è possibile aggiungere un suono al grave perché si entra nella regione della finalis, e all'acuto un suono ulteriore sarebbe superfluo.

Il sistema stabilisce insomma che se il tenor poggia su un semitono, esso è alla base di una terza maggiore (primo tipo), se su un tono di una terza minore (secondo tipo). L'uso del bemolle permette di avere anche una terza minore con semitono al grave (terzo tipo, su fondino perché derivato):

A questo punto il sistema permette di gestire la finalis sottostante potendola posizionare a distanza di terza, quarta, quinta e sesta (minore):

 

I nove toni salmodici

L'intonazione salmodica non gode di una finalis fissa e pertanto si adegua al sistema modale solo in riferimento alla repercussio (il tenor dei modi) e alla distribuzione intervallare che ruota attorno ad esso. Otto sono le formule salmodiche, più una aggiunta, detta modus peregrinus, che adotta una doppia corda di recita, prima su la e poi su sol. Si tratta preseumibilmente del residuo di una forma arcaica concepita quando il sistema non era ancora codificato.

In realtà i toni, forse all'origine del sistema tonale, si comprendono meglio se pensati secondo il sistema sopra proposto, cioè immaginando la repercussio sul secondo grado di una quarta:

— 4 sono i toni la cui repercussio dista un semitono dalla nota inferiore [primo tipo], e prendono la stessa numerazione dei modi: ii, iii, v, viii (repercussio: fa, do)
— 4 i toni la cui repercussio dista un tono di cui; 2 con terza minore con semitono acuto [secondo tipo], toni iv e vii (repercussio: re); 2 con terza minore con semitono grave [terzo tipo], toni i e vi (repercussio: la).

I toni sono pertanto solo tre, tanti quanti sono i tipi. Un buon sistema mnemonico per associare gli 8 toni ai tipi è quello di considerarli sempre pari (2, 4, 6, 8), ricordando che per i primi tre il tipo corrisponde alla metà (2 = I tipo; 4 = II tipo, 6 = III tipo) e che 8 = 2. I toni dispari corrispondono al numero pari che si ottiene sottraendo 3, cioè: 7 (–3) = 4, 5 (–3) = 2, 3 (–3) = 8, 1 (–3) = 6.

Le formule salmodiche rivelano movimenti melodici tipici: la perdita di tensione (flexa o terminatio) è in genere di terza, mentre l'innalzamento della voce (nella mediatio) è più ristretto: tono o semitono.

Questo il formulario che propone il Liber usualis:

I TONO

II TONO

III TONO

IV TONO

V TONO

VI TONO

VII TONO

VIII TONO

TONO PEREGRINO