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IX-X secolo

Una pagina del trattato anonimo Musica Enchiriadis (A-Wn, Cod. Vindob. 55, c. 168v) la cui prima redazione è databile intorno all'anno 900. La copia, con l'aggiunta di una mano guidaniana, è necessariamente posteriore.

NUOVE INVASIONI BARBARICHE
– La frammentazione del territorio imperiale agevolò da un lato nuove invasioni (saraceni a sud e normanni a nord poi in Italia), dall'altro incrementò il particolarismo feudale.
– La Chiesa, alleata dell'Impero, risentì dei soprusi dei feudatari: una forma di difesa fu la creazione di abbazie isolate sul modello di quella benedettina di Cluny (a nord di Lione, fondata nel 910) che promosse il movimento riformatore cluniacense.
– I normanni ottengono dalla Francia (911) il primo nucleo territoriale che sarà poi la Normandia.

900 d.C.
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LA MUSICA
– A seguito della sostituzione repentina del rito gallicano con quello romano, si diffondono i primi sistemi mnemonici per scrivere musica che saranno i prodromi della notazione musicale.
– La sistemazione teoretica del canto gregoriano produce una diffusa trattatistica il cui testo più noto è Musica enchiriadis, il primo che accenna a pratiche polifoniche.
– Ormai stabilizzato il repertorio gregoriano comincia a subire le prime forme di rielaborazione che prendono generalmente il nome di 'tropo' da cui scaturirà il dramma liturgico (strumento efficacissimo alla propaganda religiosa in epoca di rinnovate invasioni barbariche).

 

 

I secoli IX e X...

da: Giacomo Baroffio, Musicus et cantor, Seregno 1996, pp. 27-42.

I secoli IX e X sono particolarmente significativi nella storia del canto gregoriano e del monachesimo occidentale. Esaminiamo brevemente alcuni fatti che hanno segnato profondamente lo sviluppo del repertorio.

Per ragioni di chiarezza espositiva, i singoli episodi saranno raggruppati intorno a tre tematiche principali:
a) l'elaborazione di una scrittura musicale che fissa sulla pergamena le melodie;
b) le prime sistematizzazioni teoretiche del canto gregoriano in opere di pedagogia musicale e in sussidi pratici quali i tonari;
c) l'aggiornamento e l'ampliamento del repertorio grazie alla creazione di nuove forme di cui le principali sono i tropi e le sequenze.

L'elaborazione di una scrittura musicale

Nonostante che nell'antichità classica fosse praticato un sistema grafico al fine di fissare per iscritto la musica – i greci conoscevano addirittura due sistemi di notazione a seconda che si trattasse di musica vocale o di quella strumentale – sembra che nell'alto medioevo le melodie liturgiche cristiane fossero tramandate unicamente per tradizione orale, da maestro a discepolo.

Sant'Isidoro di Siviglia (†633), contemporaneo di papa Gregorio Magno, dice esplicitamente che la melodia non può essere scritta: «Nisi enim ab homine memoria teneantur soni, pereunt, quia scribi non possunt» (Etimologie III, 15).

È certo il fatto che sino al IX secolo manca qualsiasi traccia di scrittura musicale, mentre dopo l'800 si assiste a una progressiva espansione ed evoluzione della notazione nella cultura musicale dell'Europa latina. Appunto tra la fine del sec. IX e l'inizio di quello successivo si sviluppa un sistema grafico che in qualche modo aiuta il cantore nel suo compito di conoscere bene le melodie per cantare senza incertezze e inesattezze alcune migliaia di brani, tanti erano allora i pezzi musicali presenti nelle varie celebrazioni liturgiche dalla Messa alle esequie, dalle Ore canoniche ai complessi riti processionali e ad altre situazioni religiose pubbliche.

Dalle poche reliquie di testimonianze sopravvissute che risalgono ai secoli IX e X, si può ipotizzare quanto segue. In un primo tempo il cantore aveva a disposizione al massimo un repertorio con l'indicazione dei brani propri di ogni azione liturgica segnalati con l'inizio del solo testo. Doveva esserci qualcosa che ritroveremo alcuni secoli più tardi (sec. XIII e XIV) nei breviari primitivi della líturgia delle ore e nei libri ordinari. Per i brani musicali era tuttavia importante avere la segnalazione di ulteriori elementi, essenziali al canto,.quali, ad esempio, la modalità e la nota iniziale o la formula d'intonazione.

In base alle analisi comparative tra alcuni repertori che tramandano le medesime melodie – i repertori su cui si basano queste ricerche sono principalmente tre: quello romano, quello romano-franco e quello milanese – possiamo ipotizzare che, oltre all'inizio dei testi, i cantori disponessero di (piccoli) sussidi contenenti gli elementi ora ricordati. Non si esclude che si sia ricorso anche a segni stenografici per richiamare alla memoria non tanto le singole note di un brano, quanto piuttosto alcune formule con la funzione ben precisa d'intonazione, di ornamentazione, di conclusione o cadenza.

In un secondo periodo che probabilmente si avvicina all'anno '800 – utilizzando anche segni già in uso nell'insegnamento grammaticale e nella tradizione manoscritta dei testi letterari – si è arrivati a segnare per iscritto ogni singola nota e alcuni gruppi di poche note strettamente collegate tra di loro. Questi segni sono chiamati neumi.

È interessante notare che, a differenza dei testi letterari tramandati in tutta l'Europa con un unico sistema grafico, la minuscola carolina – ad eccezione della penisola iberica e dell'Italia meridionale, distinte dal resto del continente per ragioni politiche e culturali – la scrittura musicale ha presentato una fioritura di scuole grafiche tutte diverse l'una dall'altra. Praticamente ogni centro ecclesiale di un certo rilievo aveva la propria grafia neumatica. Questo fatto permette oggi di identificare l'origine dei manoscritti liturgici e musicali proprio in base ai neumi.

Così, ad esempio, un frammento di un antifonario del sec. XI con neumi nonantolani – palinsesto utilizzato successivamente nel Meridione per copiare testi greci: ms. Vat. gr. 642, cc. 57 e 60 – conferma le relazioni tra il Sud italico e l'importante abbazia dell'area modenese. Come si distinguono senza difficoltà i neumi di Nonantola, così dal solo esame della scrittura musicale si può risalire ad altri singoli monasteri (Novalesa, Bobbio, S. Gallo di Moggio [con i suoi manoscritti di origine germanica], S. Salvatore al Monte Amiata, S. Eutizio in Val Castoriana) o a particolari aree musicali quali la zona ravennate o la regione cassinese-beneventana con le sue propaggini nelle lontane dipendenze cassinesi, ad esempio, delle Marche di cui rimane una notevole testimonianza a Macerata (Archivio di Stato, Tabulario diplomatico, frammenti 567 e 568, reliquie di un graduale con tropi e sequenze unici).

La scrittura neumatica fino al sec. XI è estremamente duttile. Il tratto grafico si modifica con molte sfumature per cercare di 'rendere' nel modo meno inadeguato possibile la musica con la sua linea melodica e tutte le particolarità dinamiche. Quando i neumi non sono più sufficienti, si ricorre all'aiuto di segni supplementari costituiti dalle lettere dell'alfabeto:

a sta normalmente per altius e significa che ci si trova di fronte a un intervallo di una terza o ancora più ampio;
c abbrevia la parola celeriter e indica un'esecuzione snella e leggera;
e corrisponde ad aequaliter: avverte di solito che la nota seguente è alla medesima altezza di quella precedente.

Se non sono stati i monasteri a inventare il sistema di queste lettere, certamente essi hanno sviluppato il quadro delle litterae significativae il cui senso sarà descritto accuratamente da Notker il balbuziente († 912) in una lettera al monaco Lamberto.

Inoltre è interessante notare come le lettere differiscano da zona a zona, come si può verificare in un caso speciale che a tutt'oggi tramanda questo sistema: il canto del Passio nella settimana santa. Le parti del narratore sono precedute dalla c che, si è visto, significa celeriter e non «cronista», come spesso si scrive; le parti dei vari personaggi sono indicate dalla s che non vuole dire «sinagoga», ma semplicemente superius, cioè un'esecuzione all'acuto; questa particolarità la si ritrova anche nelle passioni polifoniche, come quelle di J. S. Bach. Infine le parole di Cristo sono introdotte da una +, che non è altro se non una t stilizzata e sta per trahere: un'esecuzione grave. Per accennare alla varietà delle lettere, basti pensare che le parti di Cristo nell'area cassinese e beneventana sono precedute da h(umiliter), che indica sempre un canto grave.

I due sistemi complementari di neumi con una dovizia di modifiche morfologíche e di litterae significativae è stato assai sviluppato soprattutto nei centri transalpini, ad esempio, l'abbazia svizzera di San Gallo. Questo fatto – come ha rilevato anni or sono Jacques Handschin – lascia in realtà trasparire ancora un certo impaccio dei cantori non italiani nell'esecuzione del repertorio che sin dalle origini ha avuto delle connotazioni marcatamente italiche. Anche oggi, chi conosce bene una strada che gli è familiare, non ha bisogno di tante indicazioni. Sa già in precedenza quando occorre rallentare in prossimítà di una curva, quando è possibile e bello correre un po' più forte... Lo stesso avviene nell'eseguire un canto. La sobrietà grafica delle fonti italiche non dice affatto che esse riflettono una tradizionedecadente, bensì possono testimoniare proprio il contrario.

Diversamente dallo spartito musicale moderno, il codice medievale presenta con i suoi neumi e le litterae non le note precise, fissate all'altezza giusta, ma unicamente – e in modo discontinuo – l'andamento della melodia: verso l'alto o verso il basso, più scorrevole o meno...

Ciò che colpisce la persona moderna è la capacità mnemonica delle generazioni medievali. I codici, infatti, potevano fornire indicazioni precise soltanto a chi già conosceva a memoria tutte le melodie nei minimi particolari. Di conseguenza gli stessi libri liturgici con musica non servivano molto nel momento della celebrazione, bensì prima e dopo, precipuamente come opere di consultazione e d'insegnamento.

Le prime sistematizzazioni teoretiche

[...] Nei secoli IX e X c'è una straordinaria fioritura di maestri e di testi. Analogamente ai diffusi trattati di pedagogia grammaticale dell'Ars minor e dell'Ars maior di Donato (sec. IV), sono stati scritti nel secolo IX due trattati musicali anonimi: Scholica enchiriadis e Musica enchiriadis.

Grande importanza per la musica pratica riveste l'anonima Commemoratio brevis nella quale è esposta nei dettagli la struttura della salmodia. Il trattato evidenzía la dignità del cantore liturgico attraverso la cui bocca passa lo stesso Verbum maiestatis; ma esprime anche una certa reazione all'imporsi della musica extra-liturgica e giunge persino a giustificare un'esecuzione liturgica negligente, inversamente proporzionata alla cura con cui i cantanti mondani e i suonatori di flauti e citare si preoccupano di piacere agli ascoltatori.

Vi sono inoltre maestri riconosciuti dei quali è doveroso ricordare qualche nome: Aureliano di Réôme (sec. IX) è l'autore della Musica Disciplina, il primo trattato di canto gregoriano.

Rabano Mauro († 856), abate di Fulda e maestro (praeceptor) dell'intera regione tedesca, riprende il principio fondamentale espresso da san Benedetto e ha precise indicazioni riguardanti i cantori: «Psalmistam autem et voce et arte praeclarum illustremque esse oportet ita, ut oblectamento dulcedinis animos incitet auditorum. Vox autem eius ... habens sonum et melodiam sanctae religioni congruentem ... quae christianam simplicitatem in ipsa modulatione demonstret ... quae compunetionem magis audientibus facít» (De clericorum institutione II, 48).

Reginone di Prün, abate a Treviri († 915), testimonia una tradizione gregoriana diversa da quella tramandata successivamente e convalida l'ipotesi che la redazione franca sia 1'elaborazíone di un primitivo proto-gregoriano di origine romana.

Ucbaldo di Saint-Amand († 930) è uno dei più profondi musicisti della sua epoca. Acuto nel teorizzare la tradizione liturgica che impianta su sistemi teorici di matrice greca, Ucbaldo è anche un grande compositore di cui si conoscono le ufficiature per alcuni santi (Andrea, Pietro e altri) e un tropo di Gloria.

Oltre agli scritti di teoria e pedagogia musicale, occorre ricordare un sussidio pratico costituito dai tonari. Essi sono essenzialmente degli elenchi di brani liturgici disposti secondo l'appartenenza ai diversi modi. Così, ad esempio, le antifone dell'ufficio sono disposte nelle varie categorie corrispondenti ai differenti modi, e all'interno di queste sezioni i brani sono ulteriormente raggruppati in base alla formula della cadenza finale (differentia).

Il più antico tonario conosciuto risale a prima dell'800 ed è stato composto per l'abbazia di Saint-Riquier (ms. Paris, Bibl. Nationale, lat. 13159). Esso – nel suo stato attuale di mutilazione – elenca i canti della Messa secondo gli otto modi gregoriani, ma non è escluso che il codice originale integro fornisse anche l'elenco dei canti della liturgia delle ore. Il contenuto specifico di questi repertori, l'attribuzione modale dei brani, l'articolazione del tonario sono gli elementi principali che permettono di individuare tipiche tradizioni di questo libro e di cogliere ulteriori relazioni culturali tra i centri monastici. Un tonario di Nonantola (Roma, Bíbl. Casanatense 54) evidenzia stretti rapporti con l'abbazia di Reichenau, mentre lo stesso codice nonantolano contiene anche alcune antifone, parte dei canti composti dall'abate Odo di Cluny (t 942) per la festa di san Martino.

Tropi · sequenze · historiae

La liturgia romana si è costantemente evoluta grazie anche all'arricchimento di nuove celebrazioni e di nuovi riti creati appositamente o assunti dalle culture con le quali il cristianesimo man mano si confrontava nell'opera di evangelizzazione. Una conseguenza di tale sviluppo è stato l'ampliamento del repertorio musicale che fino al sec. IX si è limitato ad aggiungere nuovi brani a quelli tradizionali rispettandone le connotazioni peculiari. Il senso della tradizione si manifesta nell'omogeneità dei testi, quasi esclusivamente biblici e salmici, e degli stili musicali propri di ciascun genere di canto.

Nell'impatto tra la cultura italica e quella transalpina nel sec. VIII è emersa l'esigenza di integrare le diverse sensibilità, di arricchirsi vicendevolmente con letture differenti, ma complementari di un'unica esperienza liturgica. La sobria e rigorosa parola biblica dei testi liturgici è stata pertanto animata dall'interpretazione personalizzata e appassionata delle nuove generazioni di poeti e musici tutti protesi a coinvolgere sempre più la comunità di fede nell'azione liturgica da sempre soggetta al rischio di atrofizzarsi in riti anonimi e astratti.

Alla fine del sec. VIII e soprattutto nel secolo successivo sboccia e si propaga a macchia d'olio questo nuovo e affascinante linguaggio. Esso non sostituisce i testi tramandati dal passato e accolti sempre con estrema venerazione, ma li integra in un'attualizzazione personalízzata sulla misura delle singole comunità, ognuna delle quali ha ora l'occasione di esprimere se stessa e la propria cultura spirituale e poetica.

Così nascono i tropi: in essi confluisce tutta la vitalità di un popolo in preghiera, ricco di fantasia e di audacia espressiva; grazie ai tropi si scolpisce e si plasma in profondità la liturgia e la vita cristiana del medioevo latino. I tropi sono normalmente ampliamenti di un brano liturgico già dato. Tali arricchimenti possono essere di tre tipi:

a) ci sono tropí puramente musicali; si tratta di vocalízzi che si aggiungono in alcuni punti delle melodie tradizionali;

b) altri tropi sono costituiti da nuovi testi che si inseriscono in un brano utilizzando in un percorso sillabico un melisma già presente nel medesimo pezzo (si pone una nota di un vocalizzo precedentemente cantato su ciascuna sillaba di un nuovo testo);

c) un terzo tipo di tropatura consiste nell'inserire nel brano originale un nuovo testo con una nuova musica. Va detto pure che ci sono tropi d'introduzione che sono cantati quale premessa ai brani liturgici, tropi di conclusione che costituiscono un nuovo finale. Infine, i tropi intercalari sono vari segmenti che si inseriscono tra gli incisi o le strofe del canto liturgico tradizionale.

Il successo dei tropi lo si verifica nella loro applicazione: praticamente tutti i canti della Messa – sia del proprio che dell'ordinario – e i grandi responsori delle Ore sono stati tropati.

Le sequenze sono il secondo genere musicale che ha avuto fortuna a partire dall'epoca carolingia e che non si esaurirà se non dopo il divieto emesso dal concilio di Trento di usare tropi e sequenze nella liturgia, ad eccezione di poche reliquie sopravvissute sino al momento presente.

Al contrario dei tropi,. la sequenza è vincolata originariamente a un unico tipo di canto: l'Alleluia della Messa. La sequenza ne prolunga lo jubilus, il lungo vocalizzo che conclude la parola 'alleluia' e che quasi sempre è ripetuto alla fine del versetto alleluiatico.

Mentre nei secoli successivi – in particolare nel XIII e nel XIV – la sequenza sembra godere di particolare attenzione nelle chiese secolari e presso altre famiglie religiose quali i domenicani o i canonici vittorini di Parigi, nel sec. X sono stati i monasteri i centri propulsori che diffondono questo canto.

Notker il balbuziente, monaco di S. Gallo, dice esplicitamente all'inizio del suo Liber hymnorum (= raccolta di sequenze) che le origini di questo canto vanno ricercate nella prassi musicale dei monasteri francesi occidentali. Da Jumièges, infatti, sono giunti profughi a S. Gallo alcuni monaci che hanno insegnato ai fratelli del luogo un modo per ricordare alcune lunghissime melodie senza testo: bastava mettere sotto ogni nota una sillaba di un testo (poetico) composto appositamente. Così le melodiae longissimae potevano essere meglio ritenute. Notker si entusiasma di fronte a quella proposta. Prende alcune melodie che avevano già avuto una particolare articolazione del testo – strofe appaiate, con eventualmente una prima e un'ultima isolate: a bb cc dd ee... z – e sulla musica d'origine franco-occidentale compone nuovi e magnifici testi poetici che lo consacrano tra i più grandi cantori della liturgia medievale.

Sono le sequenze e i tropi che, tra gli altri elementi, permettono di seguire nei dettagli le varie correnti culturali che hanno portato nuova ispirazione e nutrito l'animo delle diverse comunità. Un monastero – probabilmente marchigiano, di certo dipendente da Montecassino – rivelerà nel frammento già ricordato di Macerata (metà del sec. XII) un indubbio legame con la Francia (Fleury) e con la tradizione dell'Italia centrale (Pistoia). Montecassino stessa, attraverso il suo nutrito repertorio di sequenze, mostra quanto varia sia la sua collezione. Lance W. Brunner ha analizzato il repertorio cassinese e ha individuato nel secondo tonario del codice 318 l'origine di 116 testi sulle 118 sequenze segnalate nel codice. A proposito della loro origine, essa va ricercata in 40 casi nell'Italia meridionale, in 23 casi nell'area occidentale dell'impero carolingio, in 21 casi in Italia, in 17 casi nell'area franca orientale, in 15 casi nell'area romanza. Lo stesso studioso afferma inoltre che «Nel repertorio di Nonantola più della metà dei testi delle sequenze sono tratti dall'arca franca orientale (più che altro da S. Gallo), mentre alla Novalesa – come si vede dal codice Oxford, Bodleían Library, Douce 222 – almeno il 60% dei testi proviene dalle aree franca occidentale o romanza». Che la produzione e il canto delle sequenze abbia registrato nel tempo una costante crescita nelle comunità monastiche, si può desumerlo dal contenuto di tre codici bobbiesi di tre secoli successivi. I manoscritti - tutti della Biblioteca nazionale universítaria di Torino – contengono nel sec. XI 27 sequenze (ms. G.V. 20), nel sec. XII 34 canti (ms. F.IV. 18) e nel secolo successivo 53 brani (F.III. 17).

A partire dall'epoca carolingia si diffonde un'altra forma liturgica che prende il nome di historia. Il termine designa una raccolta omogenea di testi relativamente brevi che compendiano nei tratti essenziali una 'storia' della salvezza: dalle epopee dei patriarchi biblici ai santi cristiani in onore dei quali compongono le ufficiature.

Di fatto i testi delle historiae costituiscono il materiale dei responsori e delle antifone della liturgia delle ore. Spesso i singoli canti sono disposti secondo la successione modale in modo tale che il I responsorio sia in I modo, il II responsorio in II modo e così via.

Un altro artifizio che prenderà sempre più consistenza e verrà infine praticato in modo sistematico è la creazione di testi poetici in rima con strutture metriche ben articolate: sono gli uffici ritmici che saranno diffusi soprattutto dopo quel capolavoro poetico e musicale che è l'ufficio ritmico composto da Giuliano da Spira († 1250) in onore di san Francesco d'Assisi.

La tradizione liturgico-musicale – fedele al passato e sempre aperta a nuove suggestioni armoniosamente integrate – cresce notevolmente in quantità e qualità secondo tre traiettorie che divengono i capisaldi della cultura musicale dei monasteri: la creatività fedele agli schemi tradizionali, l'aggíornamento dei formulari per le nuove festività, lo sviluppo di nuove forme sempre più aderenti allo spirito di ciascun momento e luogo storico. Tutta questa vivacità è tenuta insieme da una forte consapevolezza religiosa e culturale che permette di stabilire alle soglie dell'anno 1000 un forte vincolo che abbraccia, attraverso i monasteri più lontani e diversi, le genti di tutta l'Europa latina in un'unica grande famiglia.