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XIII-XIV secolo

Una pagina del trattato di Philippe de Vitry, intitolato Ars nova (1320), che ha dato il nome a tutta la polifonia trecentesca (I-Rvat, Barb. Lat. 307, f. 20r – altre due copie del trattato sono in F-Pn, Lat. 14741 e Lat. 7378A). Di fatto il sistema mensurale descritto da Vitry è solo un perfezionamento (ad esempio con l'uso del color) di quello, apparso l'anno prima ad opera di uno studente dell'Università di Parigi, Johannes de Muris.

LA CATTIVITA' AVIGNONESE
– Morto Federico II (1250), Urbano VI offre la Sicilia ai francesi (Carlo d'Angiò): dinastia angioina.
– Il popolo siciliano si ribella ai francesi (Vespri siciliani, 1282) per poi offrire lo scettro alla casa spagnola d'Aragona (1306). Napoli rimane angioina.
– Dante comincia a scrivere la Divina commedia nei mesi in cui il papato trasferisce la sua sede ad Avignone (la cosiddetta cattività avignonese durerà fino al 1377).
– Nel 1337 comincia la Guerra dei cent'anni (finirà nel 1453).
– Peste nera (1348).
   
1300
| La crisi politica (sgretolamento dell'Impero), religiosa (Cattività avignosese) e demografica (Peste nera) si accompagna ad un fiorire della produzione artistica (non più predominio della Chiesa). Il territorio italiano imperiale si frammenta in Signorie rivali, culturalmente molto attive.

LA MUSICA
– È il secolo dell'affermazione laica: la debolezza della chiesa si percepisce prima con la 'cattività avignonese' e poi con lo scisma d'occidente. E quello che è oggi considerato il più grande compositore dell'epoca, Guillame de Machaut scrive soprattutto musica profana.
– È il secolo che all'entusiasmo del passato sostituisce la crisi politica degli intrighi e quella demografica della Peste nera. La grande produzione artistica (Petrarca, Giotto) si occupa più dell'uomo che di Dio. Ma nell'uomo ricerca le capacità trascendentali della ragione: la musica si esprime per sè e per la sua capacità di elevarsi: si definisce un sistema notazionale totalmente svincolato dal testo: l'ars nova.
– È il secolo appunto dell'ars nova, teorizzata da Philippe de Vitry, il corrispettivo musicale della forma più raffinata di lirica cortese (che è ormai pura astrazione). I principali luoghi di produzione sono i grandi centri cittadini, universitari e signorili.
– La produzione francese di questo periodo oltre che con l'opera di Machaut, sopravvive in due codici (Ivrea e Chantilly) fatti compilare da Gaston de Foix verso il 1400.
– L'Ars nova italiana si discosta da quella francese: i più celebrati autori non scrivono la loro musica e gli altri (fra cui soprattutto Francesco Landini) usano una notazione diversa, quella teorizzata dal Pomerium (1326) di Marchetto da Padova, nonché una forma ibrida fra la notazione italiana e quella francese detta notazione mista.

 

Ars nova francese | Ars nova italiana

Cultura musicale nel Trecento italiano

L'ars nova

da: La musica nella storia, a cura di Petro Mioli, Bologna 1989, pp. 86-96.

Dopo la morte di Federico II, mentre i Comuni dell'Italia settentrionale evolvevano verso la signoria e s'affermavano i Comuni dell'Italia centrale (soprattutto quello di Firenze), si registrò l'ultima ambizione teocratica della Chiesa, stroncata non più dall'Impero ma dai regni nazionali ascesi in potenza: dal 1305 al 1377 i papi furono prigionieri del re di Francia (la cosiddetta cattività avignonese): intanto il pensiero politico affermava l'autonomia dello stato e l'economia recava all'ascesa della borghesia.

Ars nova francese

Secolo di straordinarie risoluzioni artistiche, dalla poesia di Dante e Petrarca alla pittura di Giotto, il '300 svecchiò profondamente anche i ranghi della musica. Infatti con il termine ars nova si suole designare la musica polifonica del '300 in Francia e in Italia: esso, che comparve per la prima volta nel 1320 come titolo di un trattato del teorico, poeta e compositore parigino Philippe de Vitry (1291-1361), a quell'epoca non faceva riferimento a novità di carattere estetico o ideale, come più volte si è pensato nei tempi moderni, ma, in conformità alla concezione medievale dell'ars, indicava semplicemente le innovazioni che si andavano introducendo nella tecnica compositiva, soprattutto per quanto riguardava la notazione mensurale (e il periodo dell'arte polifonica francese precedente, esteso dalla scuola di Notre-Dame ai mottetti di Petrus de Cruce, fu subito definito ars antiqua).

Nel '300, epoca di transizione dal Medioevo al Rinascimento, durante la quale si assistette al tramonto dei punti di riferimento politici e culturali del Medioevo, la Chiesa perse progressivamente il monopolio della cultura e la polifonia trovò espressioni del tutto indipendenti dalla tradizione ecclesiastica, giungendo in tal modo a rivolgersi anche a quello stesso mondo cortese vicino al quale era vissuta la poesia trobadorica e trovierica: quindi con l'ars nova la musica polifonica conobbe un notevole ampliamento sia delle risorse ritmiche che della varietà di scrittura e per la prima volta accolse componimenti profani privi anche di quel tenue legame con la tradizione gregoriana che poteva essere costituito dal tenor dei mottetti.

Una scrittura particolarmente ricca e varia si era già notata nei mottetti di Petrus de Cruce; un carattere ancora più accentuato di transizione fra ars antiqua e nova presentano alcune delle composizioni che nel 1316 furono inserite nel Roman de Fauvel, un poema satirico scritto pochi anni prima (fra esse si trovano alcuni mottetti giovanili di Philippe de Vitry).

Le novità tecniche di rilievo dell'ars nova, esposte nel 1319 dal matematico dell'Università di Parigi Johannes de Muris (1298-1350) e perfezionate l'anno successivo nell'Ars Nova di Philippe de Vitry, consistono nel riconoscimento, accanto al metro ternario di derivazione modale e franconiana, anche del metro binario, cioè del metro in presenza del quale non potrà aversi un valore perfetto, ma solo un valore imperfetto.

Inoltre, i principi del mensuralismo franconiano vengono estesi a una scala di figure (ossia di forme grafiche rappresentanti determinate durate) assai più ampia: al di sopra della longa si aggiunge la maxima, che, a differenza della duplex longa, può esistere anche come maxima perfetta (di tre longae); trattamento analogo a quello accordato alle altre figure riceve la semibreve, ragion per cui anche la brevis può essere perfetta o imperfetta a seconda che contenga due o tre semibrevi; al di sotto della semibreve, sta la minima.

La possibilità di avere sia il metro binario sia quello ternario, poi, consente di non presentare lo stesso metro lungo tutta la scala di valori, nel senso che un determinato pezzo di musica può contemplare, ad esempio, una ternarietà nel rapporto fra longa e brevis, una binarietà nel rapporto fra brevis e semibreve e una ternarietà nel rapporto fra semibreve e minima [...].

Maximodus si chiamava il rapporto, ternario o binario, fra maxima e longa: perfetto se ternario, imperfetto se binario; modus era il rapporto fra longa e brevis, l'unico conosciuto dall'ars antiqua (infatti il termine modus si richiamava ai modi ritmici); tempus il rapporto fra brevis e semibreve; prolatio la relazione fra semibreve e minima, chiamata «maggiore» se ternaria «minore» se binaria.

Philippe de Vitry escogitò inoltre l'uso dell'inchiostro rosso al posto di quello nero per le note presenti in due al posto di tre, o in tre al posto di due, come le duine e le terzine degli odierni «gruppi irregolari».

Il mottetto arsnovistico

Le composizioni rimaste di Philippe de Vitry consistono solo in mottetti. Il mottetto del '300, sempre politestuale, in latino oppure in francese, aveva ridotto la presenza di contenuti liturgici o lirici che erano stati caratteristici dell'età precedente, per assumere una funzione celebrativa, pubblica, riconoscibile dalla presenza di argomenti politici, simili a quelli di certi conductus dell'inizio del '200.

Vitry non proseguì lungo la strada additata da Petrus de Cruce, della prevalenza della voce superiore, preferendo invece far dialogare il motetus e il triplum in modo paritario: al di sotto stavano una o due voci con carattere di tenor (il secondo tenor, quando c'era, era chiamato contratenor), che approfittavano dell'ampia scala di valori e di rapporti dell'ars nova per adoperare note più lunghe di quelle delle voci superiori (ad esempio, se queste ultime erano scritte con semibrevi e minime, e di conseguenza il loro rapporto era costituito dalla prolatio – maggiore o minore – il tenor e il contratenor usavano longae e breves, e quindi per loro era rilevante il modus – perfetto o imperfetto); in tal modo, il metro e il ritmo della composizione erano come stratificati in più piani diversi e contrastanti.

Tipica di questi mottetti è l'isoritmia, cioè un certo tipo di organizzazione del ritmo e della melodia del tenor, secondo cui da un lato i valori delle note erano disposti ripetendo sempre una certa successione di valori, detta tàlea, e dall'altro la melodia, non molto lunga, veniva ripetuta più volte; ogni ripetizione della melodia era detta color, e l'ultimo color spesso si presentava con i valori diminuiti secondo una certa proporzione, ad esempio dimezzati; costruito con criteri di matematica razionalità, il tenor era l'impalcatura che reggeva tutta la composizione e prevedeva un'esecuzione strumentale.

Ars nova italiana

È solo a partire dal '300 che l'Italia presenta una produzione polifonica apprezzabile per quantità e qualità: dell'epoca precedente, durante la quale in Francia già fioriva la civiltà musicale del mensuralismo, fecondata dalla speculazione universitaria parigina, restano poche testimonianze polifoniche, strettamente circoscritte all'ambito liturgico e mostranti uno stile assai più arcaico. Tuttavia nel '200 non erano mancati contatti tra la cultura universitaria parigina e quella delle università dell'Italia settentrionale, soprattutto per quanto riguarda l'università di Padova, grazie ai viaggi che gli studenti usavano compiere fra un'università e l'altra; inoltre, influenze culturali francesi, anche nel campo delle arti figurative, si erano fatte sentire a Napoli, dove regnava la dinastia degli Angioini (si ricordino Adam de la Halle, e anche Philippe de Vitry che dedicò un mottetto celebrativo al re di Napoli).

Un episodio importante è rappresentato dall'apparizione, in una data imprecisata fra il 1318 e il 1326, di un trattato del teorico e compositore Marchetto da Padova («maestro di canto» del Duomo di quella città, vissuto tra la fine del '200 e l'inizio del '300), intitolato Pomerium (Frutteto, titolo metaforico derivato da pomus, che significa 'melo'); che espone un sistema di notazione mensurale diverso da quello francese, più elaborato di quello franconiano ma meno progredito di quello di Philippe de Vitry.

Rispetto a quest'ultimo il sistema di Marchetto, che rimarrà in uso nella polifonia italiana per i primi due terzi del secolo, si mostra meno razionale e organico, ispirato a criteri più pratici. Invece di estendere i principi del mensuralismo franconiano ai rapporti fra brevis e semibreve e fra semibreve e minima, come faceva l'ars nova francese, Marchetto considerò direttamente il rapporto fra brevis e minima, articolandolo in varie divisiones corrispondenti ognuna al numero di minime che una breve poteva contenere. Si potevano così avere la divisio quaternaria (quando la brevis conteneva quattro minime), la senaria imperfecta (quando conteneva sei minime raggruppate in tre semibrevi, ciascuna comprendente due minime), la senaria perfecta (sei minime raggruppate in due semibrevi, ciascuna comprendente tre minime), la novenaria (nove minime). Fin qui si trattava soltanto di dare nomi diversi a rapporti già presenti nel sistema francese, che li definisce coi concetti di tempus e di prolatio, ma tipicamente italiane erano la divisio octonaria (otto minime, quindi metro binario) e la duodenaria (dodici, quindi metro ternario).

Nel corso del pezzo poi dei punti separavano i gruppi di note di valore totale equivalente a una breve, similmente ai punti di Petrus de Cruce (dalla cui notazione questa sembra derivare direttamente, senza la mediazione di Philippe de Vitry); la semibreve aveva un valore fluttuante, potendo comprendere un numero variabile di minime, e quando era necessario attribuirle un valore particolarmente grande, si usava una semibrevis maior, distinta dalla minima per il gambo discendente anziché ascendente.

A Padova, oltre a Marchetto, visse Antonio da Tempo, che nel 1332 scrisse e dedicò ad Alberto della Scala Delle rime volgari, un trattato di metrica che codificò le principali forme poetiche del tempo, comprese quelle destinate ad essere musicate, ed acquistò grande autorità presso i poeti e i compositori.

Una vera fioritura artistica della polifonia italiana è documentata solo a partire circa dal 1340. Nonostante il gran numero di musiche pervenute e ascritte a vari compositori, si trattò comunque di un'arte assai meno diffusa nella società di quanto non fosse quella francese, che, partita dalle università, aveva conquistato gli ambienti cortesi: l'ars nova italiana, praticata per lo più da ecclesiastici e da pubblici funzionari, limitò la sua circolazione a ristretti cenacoli di intenditori, mentre la musica preferita dagli ambienti mondani, quella delle «allegre brigate» della società cittadina italiana, a cui per esempio accenna Boccaccio nel Decameron, era monodica e consisteva in ballate, canzoni e danze strumentali, la cui musica è pervenuta in misura assai scarsa, giacché di norma la monodia non si metteva per iscritto.

La prima zona di diffusione della polifonia italiana trecentesca è rappresentata da alcune città dell'Italia settentrionale, dove la nuova musica fu apprezzata dai rispettivi signori: Mastino II della Scala, di Verona, suo fratello Alberto, di Padova, e Luchino Visconti di Milano. E' fra queste città che si colloca l'attività dei primi arsnovisti: Jacopo da Bologna e Giovanni da Cascia (detto anche Iohannes de Florentia; Cascia è un villaggio presso Firenze), che fioriti verso la metà del secolo, disputarono a Verona gare musicali componendo musiche sugli stessi testi.

Madrigale

Durante questa prima fase dell'ars nova la forma più in uso fu il madrigale. L'etimologia della parola è incerta: forse deriva da «matricale» , che significa «nella lingua madre»; meno probabilmente da «mandria» (quest'ultima etimologia, accreditata già nel '300, fa pensare a un genere di origine agreste e trova un riscontro nel carattere un po' rudimentale dello stile poetico e dello svolgimento polifonico dei più antichi madrigali, anonimi, risalenti ai primi decenni del secolo). Il madrigale era una forme fixe: a una serie di strofe di numero variabile (da due a quattro), formate da tre versi ciascuna, sulle quali si ripeteva la prima sezione musicale, seguiva il cosiddetto ritornello, formato da uno o due versi, su cui si cantava la seconda sezione musicale, piuttosto breve, spesso contrastante metricamente con la prima, perché si presentava con una diversa «divisio».

I madrigali di Giovanni da Cascia e di Iacopo da Bologna hanno un carattere assai diverso dalla contemporanea musica francese: nei testi, lontani dai motivi lirici di tradizione cortese (che in Italia invece si ritrovano nella poesia del «dolce stil novo» e nelle ballate monodiche) e tendenti alla sentenziosità, talvolta alla satira, oppure alla descrizione naturalistica; e nella musica, che con la sua fluida e spontanea cantabilità, priva di complicazioni ritmiche e svolta attraverso un limpido fraseggio ben delineato dalle cadenze armoniche, trova nell'agile sistema ritmico-notazionale di Marchetto un interprete assai adatto; in particolare all'inizio e alla fine di ogni verso, vi sono melismi assai ricchi, tipici dell'ars nova italiana, mentre al centro, soprattutto in Giovanni da Cascia ci si avvicina allo stile sillabico (così il testo viene messo in particolare evidenza, diversamente da quanto avviene in Machaut).

Il madrigale era solitamente a 2 voci; la voce inferiore, meno melismatica, tendeva ad assumere una funzione di sostegno armonico; la presenza di imitazioni fra le voci fa però supporre un'esecuzione totalmente cantata.

Caccia

Un altro rappresentante della prima generazione di musicisti dell'ars nova italiana è un certo Piero, probabilmente di origine veneta; se nei suoi madrigali si nota la progressiva applicazione di procedimenti canonici, coronamento della sua produzione appaiono le due cacce, con cui si inaugura questa forma, assai tipica del '300 italiano.

La caccia è un pezzo a 3 voci, di cui le 2 superiori si svolgono a canone, mentre quella inferiore, chiamata tenor, ha carattere strumentale di sostegno; il termine è dovuto al fatto che i testi, a carattere descrittivo e onomatopeico, descrivono scene di movimento, come giochi all'aperto, mercati o, appunto, scene di caccia; straordinari risultano così gli effetti prodotti dal vivace rincorrersi delle due voci che si imitano e dalla varietà e dall'incisività dei ritmi, spesso frazionati in hoquetus (proprio in omaggio al suo scopo descrittivo, la caccia non è una forme fixe, ma si concede un andamento sempre libero e asimmetrico).

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Cessato il regno di Luchino Visconti e di Mastino II della Scala, la fortuna dell'ars nova sembra interrompersi a Milano e a Verona, mentre a Firenze, poco dopo la metà del secolo, si assiste a un'abbondante fioritura di musica polifonica profana (tanto da avere indotto gli studiosi a ritenere, fino a poco tempo fa, che l'ars nova fosse un fenomeno tipicamente fiorentino, da riconnettere al «dolce stil novo»). Caratteristica precipua dell'ars nova fiorentina, intesa quasi come un trattenimento per pochi appassionati (fra l'altro fuori di Firenze essa ebbe scarsissima notorietà), era la riservatezza dovuta anche al fatto che in Italia quella musica costituiva ancora un fenomeno d'avanguardia, ed è interessante, a questo proposito, notare che i musicisti fiorentini, pur essendo quasi tutti degli ecclesiastici, si cimentarono assai raramente nella composizione polifonica di brani dell'Ordinario della Messa.

Nel primo periodo dell'ars nova fiorentina la forma più usata era il madrigale, che si presenta con ancora più ricche efflorescenze melismatiche; non molto numerose, ma assai pregevoli, erano le cacce, spesso su testi di poeti di rilievo come Franco Sacchetti e Nicolò Soldanieri; monodica, invece, era a quell'epoca la ballata (vi si cimentò come poeta anche Boccaccio), di cui comunque è pervenuto qualche esempio.

Ballata

La ballata una forma poetico musicale risalente al '200, destinata ad accompagnarsi a una danza collettiva con un canto alternato fra un solista e un coro (le più antiche testimonianze musicali che restano della ballata sono costituite dalle laude duecentesche, che di essa presero in prestito la forma). Questa è la forme fixe come si cristallizzò nel '300: In precedenza, le strofe erano spesso più d'una, similmente al virelai francese. I principali musicisti furono Gherardello da Firenze (morto nel 1362), Lorenzo Masini da Firenze (morto nel 1372), Vincenzo da Rimini, poco più tardi Donato da Cascia e Nicolò del Preposto da Perugia, autore di cacce.

Mottetto

Quanto al mottetto, si conoscono pochissimi esempi di compositori italiani: tre mottetti sono opera di Marchetto da Padova (uno fu scritto per la dedicazione della Cappella degli Scrovegni, nel 1305); uno è di Jacopo da Bologna, e si discosta dalla tradizione francese per l'uso di un tenor di nuova invenzione e senza isoritmia; altri sono poi frammenti di mottetti composti in onore dei dogi veneziani, anch'essi indipendenti dallo stile francese (onde si può supporre che l'Italia settentrionale abbia conosciuto nel '300 una fioritura di mottetti con caratteristiche tipiche, oggi perduti).

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In seguito al ritorno dei papi da Avignone a Roma, avvenuto nel 1377, vi furono intensi contatti tra la cultura francese e quella italiana: la fresca e spontanea semplicità che fino a questo momento aveva distinto l'ars nova italiana cedette il posto a un gusto per sottili raffinatezze d'impronta cortese; si formò il cosiddetto «stile misto», nel quale si ravvisano aspetti tipici sia dell'arte francese sia di quella italiana; la stessa notazione musicale diventa una notazione mista, perché nel sistema delle divisiones di Marchetto si inserirono i «tempi» e le « prolazioni» di Vitry, con i meccanismi propri del sistema mensurale di Francone; la ballata cominciò a essere stesa polifonicamente e diventò la forma di gran lunga più diffusa, giungendo quasi a soppiantare il madrigale.

In un primo tempo si ebbero ballate a 2 voci di carattere comico, una delle quali dialogata, opera di Donato da Cascia. Francesco Landini (1325-1397), trasferì poi i contenuti lirici della ballata monodica nella ballata polifonica e successivamente passò, da 2, a 3 voci per accogliere là subtilitas e la complessità tecnica tipicamente francesi, pur rimanendo al di qua delle arditezze di Machaut.

Nella sua produzione si nota la schiacciante prevalenza di questa forma: 140 ballate contro 10 madrigali. Quelle a 2 voci, ancora vicine all'ars nova italiana tradizionale, sono moderatamente melismatiche e prevedono l'intervento della voce umana anche per la voce inferiore, che talvolta imita quella superiore; quelle a 3 voci, più tarde, accentrano l'interesse melodico nella voce superiore (stile «a cantilena»), e come le opere di Machaut scritte nelle formes fixes presentano l'ouvert e il clos nelle terminazioni dei «piedi» e sono ricche di ricercatezze contrappuntistiche.

Altri atteggiamenti tipicamente francesi sono l'uso di testi diversi per le varie voci di uno stesso pezzo (in una ballata e in un madrigale a tre voci), e l'isoritmia (in un madrigale).

Si nota nelle ballate, in confronto ai madrigali dello stesso Landino, una certa preferenza per gli intervalli armonici di terza e di sesta, in luogo della quarta e della quinta, che cominciavano a essere sentite come un poco dure e asciutte. Allo stesso gusto per una vaga dolcezza sonora, tinta di atmosfera elegiaca, corrisponde la celebre cadenza chiamata alla Landino perché egli fu il primo a usarla molto frequentemente: essa consiste nell'ornare il movimento cadenzante, comune nella polifonia medievale, della sesta che risolve sull'ottava, interponendo la quinta; come risultato si ha un settimo grado che prima di salire al primo scende al sesto, formando in quel momento col basso un intervallo di quinta, consonanza perfetta.

La «cadenza alla Landino» sarà comunissima presso i maestri borgognoni del '400. Landino fu il più celebre musicista dell'ars nova italiana e fra i «fiarentini» l'unico ben conosciuto fuori di Firenze; cieco dalla nascita, più degli altri compositori sembra essersi dedicato alla musica come a una professione: fu valente organista, consulente per la costruzione e il collaudo di nuovi organi, poeta (nella tradizione fiorentina dello «stil novo», di Dante, di Petrarca) ed ebbe interessi filosofici (si sa di un suo soggiorno a Venezia, dove probabilmente scrisse mottetti).

Gli ultimi rappresentanti dell'ars nova fiorentina furono Andrea dei Servi (o Andreas de Florentia, morto nel 1415) e Paolo Tenorista da Firenze (morto nel 1419): nella loro produzione i caratteri del moderno «stile misto» si affiancano a persistenze stilistiche dell'ars nova italiana più tradizionale. Nell'Italia settentrionale la seconda metà del '300 è dominata da Bartolino da Padova (forse vissuto a Firenze), la cui musica, pur rimanendo fedele alla notazione di Marchetto, presenta ritmi sincopati d'impronta francese.

Cultura musicale nel Trecento italiano

da: Galliano Ciliberti, Produzione, consumo e diffusione della musica in Italia nel tardo Medioevo, «Studia musicologica Academiae scientiarum Hungaricae» 32, 1990, pp. 23-39.

Testo in Pdf

Di seguito alcuni elementi iconografici citati nell'articolo (segnalati nel testo dal rimando):

Ambrogio Lorenzetti, La città ideale: il buon governo | | part.

Andrea da Firenze, Giardino d'amore | | part.

Giotto, Banchetto d'Erode |

Maestro del Cassone Adimari, Matrimonio Adimari–Ricasoli |

Simone Martini, San Martino armato cavaliere | | part.

Paolo Uccello, La battaglia di San Romano | 1. | 2. | 3.

Giotto, Presepe di Greggio |

Simone Martini, Pala di San Ludovico (predella) |

Simone Martini, S. Martino ai funerali di S. Liborio |