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X-XI secolo

Miniatura di Guido d'Arezzo da un ms. dell'XI sec.contenente il Micrologus (Wolfenbüttel, Herzog-August-Bibliothek, Guelf. 334 Gud. lat., f. 4r).

IL SACRO ROMANO IMPERO DI OTTONE
– La maggior stabilità della parte orientale dell'ex impero di Carlo Magno, permette ai territori ereditati da Ludivico il Germanico di espandersi. Ottone I di Sassonia diventa re d'Italia nel 951 e si fa incoronare a Roma imperatore (962) del Sacro Romano Impero Germanico.
– I Normanni, già stanziali in Normandia, dopo essersi insediati sulla costa atlantica della penisola Iberica, entrano nel Mediterraneo e occupano l'Italia del sud (1030).

1000 d.C.
| A seguito di una politica di espansione cominciata agli inizi del X secolo, Ottone I, col favore del papato, ricostituisce il Sacro Romano Impero (962). Seppur dai confini meno estesi dell'impero di Carlo Magno (ma con giurisdizione su Borgogna e Provenza a ovest e Boemia a est), l'Impero Germanico avrà vita secolare, e ricoprirà, nel XV sec. quasi l'intera Europa.

LA MUSICA
– L'unità dell'impero, che di fatto tiene insieme solo formalmente il particolarismo di miriadi di nuclei feudali, spinge la chiesa a creare una coerenza culturale dell'Europa, incrementando il suo ruolo didattico (anche attraverso il sempre più diffuso dramma latino).
– In Aquitania, regione occidentale della Francia, si diffonde un sistema di notazione ormai perfettamente diastematico.
– Fra i vari personaggi che contribuirono a educare il popolo (dove predominavano i barbari neoconversi) si segnala, per il fondamentale contributo musicale, Guido d'Arezzo, a cui, fra l'altro, si deve il nome delle note.

 

Guido d'Arezzo, la vita, le opere

di Angelo Rusconi © 2002

Guido e Teodaldo, vescovo di Arezzo, da una miniatura in un cod. del XII sec. (Wien, Österreichische Nationalbibliothek, Cod. 51, f. 35v).

Non è possibile fissare con precisione l'anno di nascita di Guido e nemmeno il luogo in cui ebbe i natali. Sappiamo soltanto che la sua attività musicale si svolse nella prima metà del 1000: nelle sue opere vi sono infatti riferimenti a persone e fatti che si collocano negli anni fra il 1023 e il 1036 circa, cioè il tempo in cui fu vescovo di Arezzo il suo protettore Teodaldo. Quanto alla biografia, le uniche notizie certe sono quelle che egli stesso racconta in una lettera inviata al monaco Michele, già suo confratello a Pomposa, la celebre abbazia situata sul delta del Po, presso Codigoro (Ferrara) ... A Pomposa, Guido percorse la trafila degli studi monastici, che comprendeva anche l'apprendimento dei canti da eseguire durante le celebrazioni liturgiche (la Messa e le Ore canoniche, cioè quei momenti di preghiera che si alternavano con lo studio e il lavoro nella giornata del monaco).

A quell'epoca i canti dovevano essere imparati a memoria: venivano insegnati oralmente da maestro a discepolo e non era possibile apprendere da sé una melodia sconosciuta, se non per imitazione da qualcuno che la cantasse. Esisteva infatti la notazione musicale, ma, nelle forme più diffuse, non era abbastanza precisa: poteva essere un aiuto alla memoria del cantore, ma non sostituirla. Questo tipo di notazione, detta ‘notazione neumatica', in alcuni luoghi aveva raggiunto una certa esattezza nell'indicare gli intervalli musicali; talvolta era già stata elaborata anche qualche forma di rigo musicale, ma di applicazione macchinosa e poco pratica.

Didattica

Guido, nel monastero, si rende conto in prima persona della grande difficoltà di studiare a memoria centinaia di canti e tenta di trovare una soluzione al problema. In un primo momento si serve di due mezzi: la notazione alfabetica e il monocordo. La notazione alfabetica fa corrispondere a ciascuna nota una lettera dell'alfabeto: in questo modo, si può esprimere con esattezza l'altezza dei suoni. Il monocordo, come dice il nome, è uno strumento a una sola corda, molto semplice: sotto la corda si trovano scritte, in notazione alfabetica le note della scala musicale; pizzicando la corda in corrispondenza delle lettere, si ottengono le varie note. Aiutandosi col monocordo, lo studente poteva imparare correttamente un canto, anche senza l'aiuto di un maestro che lo conoscesse preventivamente. Certamente anche questo non era un metodo semplicissimo, ma almeno non era fondato solo sulla memoria e con l'esercizio dava ottimi risultati.

Gli sforzi di Guido, tuttavia, non sono premiati, anzi incontrano a Pomposa una fortissima opposizione. A quel tempo, abate del monastero era un grande personaggio, omonimo di Guido, poi venerato come santo: san Guido, appunto, grazie al quale Pomposa, come ci dirà lo stesso musico, era divenuta una delle più importanti abbazie d'Italia. Ma il partito contrario a Guido influenzò anche l'abate. L'atmosfera si fa talmente pesante che il musico deve andarsene, non sappiamo se costretto o di sua volontà. In seguito egli avrà parole molto dure contro i suoi confratelli, accusandoli di essere invidiosi e ottusi. Oggi possiamo spiegare la loro reazione con il fatto che le innovazioni di Guido andavano a modificare abitudini consolidate da secoli; forse anche il suo carattere – molto deciso e sicuro di sé, a giudicare dal tono dei suoi scritti – contribuì a esasperare i toni della polemica.

Lasciata Pomposa, Guido si trasferisce ad Arezzo, accolto dal vescovo Teodaldo. Poiché l'episcopato di Teodaldo, come abbiamo detto, si svolge fra il 1023 e il 1036, è in questi anni che si colloca il momento più importante dell'attività del musico; sempre in questi anni scrive i suoi trattati sulla musica. Nella città toscana Guido abitò probabilmente presso il palazzo vescovile, non in un monastero; forse fece parte dei canonici della cattedrale. Tanto il vescovado quanto la cattedrale a quell'epoca non si trovavano nella posizione odierna, ma fuori dalle mura, sul colle di Pionta: oggi ne rimangono soltanto le rovine.

Teodaldo era un vescovo vivamente interessato alla riforma della Chiesa, una vera e propria emergenza di quel secolo: si chiedeva a gran voce il ritorno a una Chiesa più attenta ai valori morali e spirituali e meno apertamente coinvolta negli interessi politici ed economici. Uno dei cardini dell'azione riformistica era la miglior divulgazione al popolo della Sacra Scrittura: Guido, come egli stesso racconta, fu tra gli ecclesiastici che cooperavano con Teodaldo nello studio della Bibbia per predicare ai fedeli e ammaestrarli. Particolarmente accesa era ovunque la polemica contro la simonia (cioè la compravendita delle cariche ecclesiastiche): gli studiosi tendono ad attribuire al musico uno scritto divulgato nel Medioevo sotto il nome di papa Pascasio, la Epistola Paschasii papae ad Mediolanensem ecclesiam (‘Lettera di papa Pascasio alla Chiesa milanese'), dura requisitoria contro coloro che, praticando la simonia, devono essere considerati eretici.

Il 'Micrologus'

Nello stesso tempo, Guido continua ad impegnarsi in campo musicale, istruendo i pueri cantores della cattedrale. I risultati sono eccezionali e destano meraviglia negli ascoltatori. Il vescovo lo esorta a dar forma scritta ai suoi studi ed egli scrive la sua opera più impegnativa, intitolata Micrologus, ossia breve trattato sulle regole dell'arte musicale (micrologus è la latinizzazione di una parola greca che significa appunto ‘breve discorso'), al quale seguiranno altri testi meno ampi, ma di grande importanza.

Con il Micrologus, Guido dichiara di staccarsi dalla tradizione. A suo giudizio, fino ad allora la teoria musicale era rimasta cosa per pochi perché la materia, già difficile in sé, era stata spiegata in maniera poco chiara. Inoltre, conoscere la teoria doveva servire a cantare meglio, perché si aveva la consapevolezza di ciò che si faceva, anziché limitarsi ad imparare a memoria come pappagalli; invece i suoi predecessori avevano scritto testi più adatti ad essere studiati dai filosofi che dai cantori. Si sforza così di esporre in maniera chiara e razionale i concetti di base che ciascun musicista deve conoscere per affrontare lo studio e l'esecuzione dei canti. Un grosso problema ancora da risolvere in maniera soddisfacente è il suo rapporto con alcuni testi di teoria scritti nella prima metà dell'XI secolo, probabilmente in un'area coincidente o vicina a quella in cui egli ha operato: in particolare va ricordato il Dialogus de musica, nel quale compaiono già alcuni tratti fondamentali della teoria musicale e della prima pedagogia musicale dell'Aretino.

Accanto allo studio teorico, Guido cerca di migliorare anche i suoi strumenti didattici. All'epoca del Micrologus, il metodo con cui istruisce i fanciulli non sembra diverso da quello che usava a Pomposa: notazione alfabetica e monocordo. In seguito introduce delle innovazioni che hanno cambiato il modo di scrivere e di insegnare la musica, fino ai nostri giorni. Nel campo della notazione, Guido ha saputo sintetizzare idee in parte già esistenti in un nuovo sistema di geniale semplicità.

La notazione

La notazione alfabetica aveva un difetto: richiedeva molto tempo per essere scritta e non era espressiva; gli antichi segni, i neumi, al contrario, non erano precisi nell'indicare le note, ma sapevano tratteggiare l'andamento della melodia, le sue sfumature, il modo in cui dovevano raggrupparsi i suoni. Guido ha saputo combinare i vantaggi dell'una e degli altri. Ha collocato i neumi entro un sistema di righe e spazi; una lettera alfabetica, posta all'inizio di una riga, indica a quale suono tale riga corrisponde. Così sarà possibile intonare con esattezza tutti i neumi, opportunamente collocati sulle righe e negli spazi tra una riga e l'altra. Queste lettere hanno la funzione delle nostre chiavi (di violino, di basso ecc.), che infatti derivano da esse. Per maggior chiarezza, la riga del fa e quella del do sono evidenziate mediante colori, rosso la prima, giallo o verde la seconda: fa e do sono note molto importanti nel repertorio gregoriano e inoltre sotto di loro c'è il semitono, l'intervallo più piccolo, al quale il cantore deve stare particolarmente attento.

Guido compila dei nuovi Antifonari (libri che contengono i canti), nei quali le melodie gregoriane sono scritte con il nuovo sistema; per spiegarlo, scrive due brevi trattati, che dovranno fare da introduzione a questi Antifonari. Il primo è stato tramandato con il titolo Prologus in Antiphonarium (‘Prologo all'Antifonario') ed è dedicato alla descrizione della notazione con righe e lettere-chiave. Il secondo è in poesia e inoltre riassume, con poche varianti, la teoria musicale già esposta nel Micrologus; è conosciuto con il titolo Regulae Rhythmicae (‘Regole in versi').

I nomi delle note

Dopo aver trovato la soluzione al problema della notazione, Guido elabora un nuovo metodo per insegnare in maniera rapida il canto ai fanciulli: lo scopo è di poter fare a meno non solo del maestro che conosce a memoria le melodie, ma anche del monocordo. Egli si è accorto di un pericolo: il monocordo è adatto per i principianti, ma si rischia di rimanerne schiavi, incapaci di intonare una nota senza il suo aiuto. Il cantore, invece, deve saper intonare un canto a prima vista, leggendolo da un Antifonario scritto con il nuovo sistema e deve saper mettere per scritto a orecchio una melodia che sente cantare per la prima volta. Ecco nascere il famoso metodo pedagogico che si serve della cantilena Ut queant laxis, dalla quale hanno preso nome le nostre note. Il testo di Ut queant laxis è costituito da un inno liturgico a s. Giovanni il Battista, forse composto da Paolo Diacono. La melodia è stata quasi certamente ricomposta da Guido stesso e ha una peculiarità: ciascuna frase musicale inizia su un grado più acuto della precedente. Quando il cantore identifica una nota o un gruppo di note sull'Antifonario, richiamando alla memoria la corrispondente frase della cantilena potrà intonare a prima vista un canto mai prima udito, senza ricorrere all'aiuto né di un maestro né del monocordo. Questo stadio finale del suo metodo pedagogico, Guido lo descrive in una lettera scritta al monaco Michele, già suo compagno a Pomposa, che contiene inoltre un ulteriore riassunto della teoria musicale.

Solmisazione e Mano guidoniana

Da idee di Guido deriva anche la cosiddetta 'solmisazione', una sorta di solfeggio cantato; non sappiamo se Guido possa esserne considerato l'inventore, anche se alcuni aspetti di questo metodo sono stati probabilmente usati da lui. Certamente è posteriore la forma che ci hanno tramandato gli autori tardomedioevali e rinascimentali. Tuttavia, l'attestazione dei suoi elementi di base risale, in Italia, alla seconda metà dell'XI secolo: era pertanto già diffusa in un'epoca molto vicina a quella in cui operò il musico. Un altro espediente attribuito a Guido è la ‘mano guidoniana': si usava associare le note della scala alle dita di una mano e alle loro articolazioni, probabilmente come aiuto alla memorizzazione. Ma non troviamo il minimo accenno a questa pratica nei suoi scritti.

La fama di Guido si diffonde sempre più ampiamente, al punto che, probabilmente dopo il 1030, è chiamato a Roma dal papa Giovanni XIX, dal quale riceve l'approvazione dell'Antifonario scritto con il nuovo sistema. Il papa lo invita a tornare nell'inverno successivo, per illustrarlo al clero romano. A Roma, o altrove tornando da Roma, avviene un altro incontro importante: quello con s. Guido, già suo abate a Pomposa, che riconosce di aver a torto dato ascolto in passato ai suoi oppositori. Al tempo stesso, lo richiama alla sua antica professione monastica, esortandolo a tornare a Pomposa. Ritornato ad Arezzo, Guido scrive a Michele, informandolo degli eventi e dichiarando il suo desiderio di rientrare nell'abbazia; ma – dice - non gli è possibile farlo subito. Da questo momento, la sua vita sprofonda per noi nell'oscurità. [...]