TSM | Cronologia | Onomastico | Glossario | Thesaurus

Notazione I
La fase premensurale: i primi quattro secoli (800-1200)

Esteso fra Carlo Magno e la Scuola di Notre Dame è il periodo che corrisponde grosso modo allo sviluppo della scrittura carolina (che nell'ultimo secolo darà segnali di stilizzazione gotica).

Caratteristiche:
– assestamento del repertorio liturgico (su cui prolifererà la pratica del tropo)
– definizione del sistema teorico sistema modale
– formazione di una notazione in grado di identificare le altezze su una scala diatonica

Premesse

La notazione di questi quattro secoli, detta neumatica, permette di fermare sulla carta il canto monodico, sacro e poi profano, ma non è ancora in grado di annotarne il tempo (premensurale). Parallelamente si sviluppano altre forme sperimentali di notazione con finalità didattica (una decina di casi) che permettono la resa di pratiche polifoniche.

Polifonia: I primi accenni alla polifonia e l'organum (IX sec.) | Musica enchiriadis (IX sec.) | I trattati derivati (IX sec.)

Il grosso del corpus notazionale di questi secoli è però quello neumatico, prodotto in centri scrittorii a volte molto distanti e con peculiarità proprie. La storia della notazione di questi anni corrisponde ai modi grafici dei diversi centri che si specializzano, chi nella restituzione espressiva del segno, chi nella precisione a indicare delle altezze delle note.

Periodizzazione: Si può, a grandi linee, dividere questi quattro secoli in due, in corrispondenza dell'anno 1000. Alla prima fase apparterrà la notazione in campo aperto o adiastematica, capace di restituire un generico movimento melodico ma non l'esatta rapporto intervallare fra i suoni.

Il secondo periodo vede la disposizione proporzionata dei neumi nello spazio grafico (notazione diastematica) con l'utilizzo di rigature per individuare una o più note di riferimento che condurranno alla prassi, poi canonizzata, del tetragramma.

    Esempio di notazione adiastematica (sangallese)
    Esempio di notazione diastematica (aquitana)
    Lo stesso brano in trascrizione moderna

Notazione adiastematica

S'individuano due episodi importanti, quello paleofranco originario, di cui sopravvivono solo fogli sparsi, e la generazione di tre famiglie: Francotedesche (Laon, Chartres, Corbie, Prüm, Metz), Tedesche (Sangallo [ricostruzione | oggi], Einsiedeln, Regensburg, Magonza) e Aquitane (Limosino). Le relazioni fra i segni possono essere sintetizzate secondo questo schema.

Francotedesche

La zona della Francia centrale propone un tipo di notazione che è la forma più antica individuata. Nel X secolo si perfeziona in due rami principale: Metense o Lorenese (Metz, Laon) e Bretone o Carnutense (Chartres). Dall'XI sec. questi tipi grafici si espandono nell'Italia del nord, a Como (Metz) e a Monza (Chartres). La notazione di Laon rimane certamente la più interessante per la ricchezza espressiva del segno.

Polifonia: Esempi francesi di polifonia (IX-XII sec.)

Tedesca

Il gruppo più antico è costituito dai manoscritti redatti nei monasteri di San Gallo e Einsiedeln di area germanica (oggi in Svizzera). All'uso grafico di questi centri si accomunano altri della Francia centrale (Lione, Cluny) e occidentale (Tours, Rouen, Corbie), dove fu redatto il celebre codice di Montpellier. Appartengono al gruppo anche diramazioni inglesi (Winchester), e scandinave.

Polifonia: Johannes Cotton Affligemensis (1100) | Notazione alfabetica (XI-XII sec.) | Tropario di Winchester (XI sec.)

I codici di San Gallo e Einsiedeln, nonché quello di Laon sono stati inseriti nel Graduale triplex per l'uso sistematico di littere significativae e altri segni importanti (episemi e forme neumatiche particolari). Il Triplex dispone in alto, in nero, sempre il codice di Laon 239 [nel riquadro in alto a destra indicato con L, il numero rimanda alla carta], e sotto, in rosso, un codice sangallese, in genere il più antico San Gallo 359 [C] del IX sec., o Einsiedeln 121 [E] del X sec.

Notazione diastematica

Sebbene le prime forme diastematiche si leghino alla notazione aquitana le sue prime manifestazioni (X sec.) sono tuttavia adiastematiche. Guido d'Arezzo fu il primo ad introdurre la diastemazia aquitana in Italia.

Polifonia: Guido d'Arezzo, Micrologus (ca. 1030)

Aquitane

Cosiddetta dal nome della provincia della Francia sud-occidentale, si sviluppa sopratto ad Albi e Limoges. Già alla fine del X sec. la notazione si distematizza attorno a un rigo tracciato a secco. È la più antica notazione che tramanda l'esatta altezza delle note. Limoges è anche il centro che sperimenta già nel XII sec. la scrittura di organa a due voci. La sua influenza sulla Spagna del nord produrrà anche lì esperimenti polifonici (Santiago di Compostela).

Polifonia: San Marziale di Lomoges | Codex Calistinus

Italiache

Dopo gli insegnamenti di Guido numerosi centri scrittorii italiani adottarono forme diastematiche, generando nuove notazioni fin dall'XI sec. A sud la più importante è quella Beneventana (Benevento, Montecassino) dal caratteristico tracciato gotico, e a nord quelle Nonantolana (Nonantola, Vercelli) e Milanese (usata per il repertorio ambrosiano). La nonantolana, poco a poco si sostituisce alle forme adiastematiche derivate da San Gallo diffuse nel Nord Italia.

Polifonia: Esempi italiani di polifonia (XII sec.)

La forma diastematica entro la fine del XII secolo viene adottata in tutta Europa. I particolarismi grafici sono numerosi ma di scarso interesse storico-paleografico. Il repertorio liturgico è ormai definito e i modi con cui viene scritto riproducono le varianti locali del modello ufficiale, non più i residui di una tradizione antica.

 

————

Polifonia premensurale

I primi accenni alla polifonia e l'organum (IX sec.)

I parafonisti | da: Hans Heinrich Eggebrecht, Musica in occidente: dal Medioevo ad oggi [1991], Scandicci 1996, p. 9.

Nel IX secolo la polifonia entra nella storia, allorché l'aggregato sonoro, il risuonare simultaneo di suoni e linee vocali, diviene oggetto dell'ars, della dottrina fondata teoreticamente con l'occhio alla prassi ....

Nell'ambito del canto ecclesiastico gli Ordines romani I-III del VII-VIII secolo (Migne, Patrologia latina, vol. 78, coll. 940 ss.) chiamano Archiparaphonista uno dei sette membri della schola cantorum papale, e Paraphonistae altri tre. Dal momento che nella teoria degli intervalli tardoantica e bizantina la quinta e la quarta vengono chiamate sinfonie parafoniche (per distinguerle dalle sinfonie antifoniche, l'ottava e la doppia ottava), i parafonisti potrebbero essere cantanti che eseguivano il canto gregoriano simultaneamente a distanza di quinta e quarta.

Questo testimonierebbe la pratica del canto parallelo secondo tali intervalli nella liturgia romana del VII-VIII secolo. Da una parte, però, questa interpretazione del concetto di parafonia è oggetto di controversie, e dall'altra quel canto parallelo a distanza di quinta o quarta non sarebbe ancora polifonia, bensì uno dei fattori preesistenti, tanto più che i parafonisti vengono menzionati anche nel nord carolingio.

Trattatistica | da: Gustave Reese, La musica nel Medioevo [1940], Firenze 1960, p. 313-314.

Alcuni passi di carattere incerto, che potrebbero riferirsi agli intervalli sia melodici che armonici, appaiono nella Musica Disciplina di Aureliano di Réomé e nella Musica di Remigio di Auxerre, entrambi del secolo IX.

Reginone di Prüm, nel suo De Harmonica Institutione, è forse il primo che usi la parola organum, per la musica a più di un rigo. Egli definisce la consonanza come suono che «cade sull'udito in modo gradevole ed uniforme» e la dissonanza, come suono che «giunge sgradevolrnente all'udito».

Ucbaldo [di Saint-Amand], nella sua De Harmonica Institutione, è un poco più preciso:

La consonanza è l'unione saggia e armoniosa di due suoni, la quale esiste soltanto se due suoni, prodotti da fonti diverse, s'incontrano in un suono solo convergente, come avviene quando la voce di un fanciullo e quella di un uomo cantano la stessa aria, oppure in quello che comunemente si chiama organum.

L'organum | da: Eggebrecht, Musica in occidente, p. 16-17.

La forma primitiva di polifonia viene chiamata ... organum. ... E assai probabile che il termine non abbia nulla a che fare con "attrezzo" in senso generale o con "strumento" (musicale) o "organo", ma che, continuando l'uso della parola greca órganon, connessa con la terminologia geometrica, si riferisca alla misurazione ben definita, e matematicamente chiara, delle sinfonie d'ottava, quinta e quarta allorché i suoni che le costituiscono risuonano simultaneamente in un brano polifonico.

Mentre dunque il termine diaphonia sottolinea il fattore sensibile della «discordanza» delle sinfonie, organum accentua il rango supremo – in senso teorico-musicale – degli aggregati .... Per l'esecuzione dell'organum valgono i seguenti princìpi:

1. L'esecuzione è corale e improvvisata. Le descriptiones [dei trattati] non sono cioè composizioni, bensì modelli per l'esecuzione, visualizzazioni grafiche di un sistema di regole, strutturato in modo tale che nella sua messa in pratica anche la voce aggiunta possa essere eseguita in modo estemporaneo da un numero a piacere di cantori ....
2. Alle voci maschili e bianche (voces humanae) possono aggiungersi voci strumentali (voces in aliquibus instrumentis musicis).
3. Cantus (vox principalis) e voce aggiunta [alla quarta o alla quinta] (vox organalis) possono essere entrambe raddoppiate, e persino triplicate all'ottava. Rispetto alla struttura primaria a due voci il raddoppiamento all'ottava non costituisce un fattore qualitativo, ma semplicemente un «accrescimento» (auctio) della diafonia ....
4. Proprio in considerazione di questo fatto [... si] suggerisce che l'esecuzione dell'organum avvenga «con lentezza misurata e armonica» (modesta et concordi morositate) ....
5. L'organum ... è superficies quaedam artis musicae pro ornatu ecclesiasticorum carminum: «un certo modo di manifestarsi dell'ars musica, cioè una prassi fondata dall'ars, con lo scopo di adornare i canti ecclesiastici».

Musica enchiriadis (IX sec.)

Il trattato | da: Eggebrecht, Musica in occidente, p. 11-12.

Intorno alla seconda metà del IX secolo, un autore dal profilo tuttora imprecisato scrisse in un luogo anch'esso imprecisato del territorio franco-occidentale un trattato dal titolo Musica enchiriadis (con l'accento sulla seconda i; la parola viene da enchirídion, "manuale"): una "musica in veste manualistica", un manuale di musica ...

La datazione alla seconda metà del secolo IX si evince dall'esame dei manoscritti: delle circa cinquanta fonti testuali pervenuteci, esse coprono un arco temporale che giunge al XV secolo e un ambito di diffusione che va dalla Spagna alla Polonia (indizio del valore attribuito al trattato) ... In quanto "manuale", lo dice già il titolo, il Musica enchiriadis è una teoria costruita sistematicamente di tutte le parti essenziali della prassi musicale allora in uso nella chiesa.

[prima parte] Dopo la presentazione dell'ordinamento dei suoni (ordo phthongorum) e l'introduzione dei segni notazionali (figurae phthongorum) seguono spiegazioni sui toni ecclesiastici; quindi, sulla scorta di esempi, esercizi per riconoscere la funzione dei suoni in seno ai toni ecclesiastici (proprietas sonorum) e una dilucidazione di importanti termini musicali. La seconda parte è costituita da una teoria degli aggregati sonori detti sinfonie (symphoniae): quarta, quinta e ottava, con le loro estensioni, l'undicesima, la dodicesima e la doppia ottava. La terza parte infine riunisce il canto monodico interpretato razionalmente e la collocazione degli aggregati sinfoni nella dottrina della polifonia.

Gli organa per quinte | da: Reese, La musica nel Medioevo, p. 314.

La Musica Enchiriadis ci offre la prima descrizione, abbastanza particolareggiata per darci un'idea più precisa sull'organurn; e ne descrive più di un tipo.

Figuriamoci un gruppo di voci, o di strumenti, o l'uno e l'altro, che rendano una melodia gregoriana non nel bel modo scorrevole che crediamo sia la tradizione corretta dello stile del canto fermo, ma adagio e con decisione, come se gli esecutori desiderassero assicurarsi che un altro gruppo, il quale non eseguisse all'unisono con loro, fosse preservato da ogni possibilità di deviazione (l'autore della Musica Enchiriadis raccomanda nettamente che il tempo sia lento come si addice all'organum).

Immaginiamo che il secondo gruppo raddoppi la melodia ecclesiastica alla quinta inferiore dal capo al fine. Ne risulterà il nudo tipo, di semplice organum alla quinta, o diapente. Il gruppo che esegue il canto fermo avrà la vox principalis; l'altro gruppo, la vox organalis. Se, inoltre, la vox principalis sarà raddoppiata all'ottava rigorosa e la vox organalis all'ottava superiore, avremo il rigoroso organum composito alla quinta.

II trattato Musica Enchiriadis del IX secolo propone diversi modi di comporre un organum. Angelus ad pastores ait è eseguito in organum parallelo in diapente, con la vox organalis al disotto della principale e successivamente raddoppiato all'ottava, tutte possibilità contemplate dal trattato. Si tratta di una pratica d'improvvisazione che non richiedeva alcun supporto scritto.

Angelus ad pastores ait: annuntio vobis gaudium magnum quia natus est nobis hodie salvator mundi, alleluia.
L'angelo disse ai pastori: vi annuncio una grande gioia, perché oggi è nato per noi il salvatore del mondo, alleluia.

Angelus ad pastores ait — Stirps Jesse | dir. Enrico De Capitani | Cd Amadeus-Darp, 1996

La notazione dasiana | da:Willi Apel, La notazione della musica polifonica [1970], Firenze 1984, p. 222.

[In Musica enchiriadis] una quantità di esempi musicali sono notati su un sistema con un numero di linee variabile (da quattro fino a diciotto), gli spazi tra le quali rappresentano i successivi gradi della scala. Al posto delle note o di simboli simili vengono scritte le sillabe del testo nei corrispondenti spazi, come si vede nel facsimile (il testo dice: Tu patris sempiternus es filius).

Gli intervalli precisi vengono dati con l'aiuto dei cosiddetti segni dasiani [dal nome greco del simbolo base] che sono scritti sul lato sinistro del sistema. Il sistema dasiano, che è una imitazione medievale dell'antica notazione greca, usa quattro segni fondamentali per i suoni del tetracordo: re, mi, fa e sol. Da questi derivano, attraverso capovolgimento o rovesciamento da destra a sinistra, ulteriori segni per un tetracordo più basso e per due tetracordi e mezzo più alti, i quali stanno esattamente in rapporto di quinta con il tetracordo fondamentale. Perciò risulta una scala assai singolare nella quale non vi sono quinte diminuite, ma ci sono ottave aumentate, come segue:

Gli organa per quarte | da: Eggebrecht, Musica in occidente, p. 13-15.

Perché, dobbiamo chiederci ora, l'autore del Musica enchiriadis insegna la polifonia [per quarte] proprio in questa forma? ...

    originale

L'incontro delle due voci viene fondato ... sull'ordinamento dasiano: poiché in tale ordinamento sotto il do non v'è un intervallo di semitono (si naturale), ma un tono (si bemolle), se la vox organalis alla fine di un segmento dovesse procedere ulteriormente per quarte avremmo una dissonanza (inconsonantia), il tritono (mi si bemolle) ...

Secondo la dottrina esposta nel Musica enchiriadis, per la formazione della voce organale non è soltanto il do a fissare un limite, ma – in conseguenza del registro mutevole del cantus – anche il sol o il fa. Se il cantus si muove nello spazio sopra il do allora, come illustra lo schema seguente, do è il limite che la vox organalis non può superare; se si muove nello spazio sopra il sol, allora per evitare il tritono fa-si è il sol a diventare hmite; ma se – cosa che il trattato in realtà non spiega – il cantus nello spazio sopra il sol tocca il suono si bemolle, il suono limite allora slitta a fa. Nella descriptio della seconda coppia di versetti nella sequenza Rex caeli, domine, che presentiamo qui sotto in notazione moderna, il suono limite muta da sol a do; con questo cambio di registro determinato dal cantus all'interno di un segmento melodico-testuale sorge una "sezione vagante" (vagans particula) da un registro all'altro.

I trattati derivati (IX sec.)

Gli Scholica enchiriadis | da: Reese, La musica nel Medioevo, p. 315.

La struttura di questa scala-tipo destò le critiche di Ermanno Contratto e di Wilhelm di Hirsau, i quali consideravano in errore l'autore della Musica Enchiriadis. La loro opinione è condivisa da alcuni scrittori moderni. Comunque è senz'altro possibile credere ... che la scala-tipo sia stata presa a prestito da Bisanzio con il preciso scopo di rendere facile all'autore la spiegazione dell'organum. Si osserverà che le tre ottave aumentate, da si bemolle a.si naturale; da fa a fa diesis e da do a do diesis, non permettono di ottenere una quinta diminuita con nessuna combinazione di due toni nella scala-tipo presi a formare un intervallo.

da: Apel, Notazione, p. 222-223.

Forse fu l'insita problematica della scala dasiana, che indusse l'autore degli Scholica Enchiriadis – specie di continuazione della Musica Enchiriadis nella quale gli stessi problemi vengono dibattuti in forma di un dialogo tra maestro e scolaro – ad un diverso modo di scrivere. Egli si limita ai segni di una sezione della scala, p.e. di sei suoni, e ripete questa sezione in ottave più alte o più basse, di solito con l'uso di alcuni segni supplementari chiarificatori.

Nel facsimile la stessa sezione è cambiata due volte, e i suoni iniziali delle tre voci (la, mi', la') sono in più ancora contrassegnati dalle cifre IV, VIII e XI come quarto, ottavo e undicesimo grado (evidentemente partendo da mi) della scala. Le lettere «Pr.» e «Or.» significano vox principalis e vox organalis. Se sulla seconda sillaba (-os) sia da cantare si, fa diesis, si o si bem., fa, si bem., non si può senz'altro decidere.

Il trattato di Parigi sull'organum | da: Apel, Notazione, p. 223.

Uno stadio poco più sviluppato dell'organum è rappresentato dall'esempio riprodotto nel facsimile 43. Esso si trova in una delle molte copie conservate della Musica Enchiriadis [comunemente noto come «Trattato di Parigi sull'organum»], che però non contiene soltanto preziosi ampliamenti dell'originale, ma anche la composizione più antica a due voci. Infatti, come ha stabilito J. Handschin, quelli che nella pagina sembrano frammenti, formano in realtà un tutto coerente, cioè un'elaborazione a due voci della sequenza Benedicta sit.

Spiegare qui in tutti i particolari questa notazione assai singolare, porterebbe troppo lontano. Si riconosce senza difficoltà che i gradi della scala dasiana sono indicati da piccoli cerchi o talvolta da brevi linee trasversali e che linee verticali o leggermente oblique servono a collegare insieme suoni da eseguire contemporaneamente. Diamo qui di seguito una trascrizione della quarta linea:

Gli organa per quarte | da: Eggebrecht, Musica in occidente, p. 11.

Il «Trattato di Colonia» sull'organum, così chiamato dalla biblioteca in cui è conservato, quella capitolare del duomo di Colonia (cod. 52), è nelle sue poche frasi pregnanti verosimilmente una versione abbreviata della teoria polifonica contenuta nel Musica enchiriadis.

Guido d'Arezzo, Micrologus (ca. 1030)

da: Eggebrecht, Musica in occidente, p. 13-15.

Sino al periodo intorno al 1100, in cui inizia un nuovo capitolo nella storia della musica polifonica, si registra solo un'altra teoria polifonica oltre al Musica enchiriadis e al gruppo di trattati che vi si ricollegano direttamente: quella di Guido d'Arezzo (ca. 992-1050). ...

Guido fu uno dei maggiori e più influenti didatti musicali del Medioevo, non da ultimo per due innovazioni che fecero epoca. La prima è l'invenzione di una scrittura capace di fissare chiaramente le altezze sonore: Guido armò le linee su cui si scrivevano i neumi con le lettere C [do] e F [fa] con funzione di chiavi, cosicché la distanza tra i segni (la qualitas notarum) veniva fissata e poteva esser letta con chiarezza; inoltre aprì la via al metodo della solmisazione, col suo procedimento consistente nell'esercitarsi in un canto mediantie le sillabe ut re mi fa sol la, ciascuna delle quali corrispondeva a un'altezza – o meglio: a un carattere sonoro – e consentiva al cantore di crearsene un'intima rappresentazione.

La dottrina dell'organum

... La teoria polifonica di Guido, [è] esposta nel capitolo intitolato «Della diafonia, ovvero dottrina dell'organum» (De diaphonia, id est de organi praecepto), quasi in conclusione della sua opera maggiore, il Micrologus de Musica, scritto verso il 1025-26: si tratta di un manuale che esamina razionalmente l'intera prassi allora corrente del canto gregoriano.

Nella fisionomia, l'organum insegnato da Guido non si discosta sostanzialmente da quello del Musica enchiriadis. ... Guido muove però da presupposti teorici diversi .... Il principale di questi presupposti è il sistema dell'ottava diatonica divisa in sette gradi, che Guido (ricollegandosi a Odo di Saint-Maur) designa in modo che i suoni posti a distanza d'ottava, per il fatto di possedere la stessa qualità sonora, vengano scritti sempre con le stesse lettere ...

Guido conosce due tipi di organum o di diaphonia. L'uno, «che usano alcuni», ma non Guido, è da lui chiamato modus durus, in cui al cantus si unisce come organum una voce che si muove costantemente alla quarta inferiore; ambedue le voci possono essere raddoppiate a piacimento all'ottava. ...

[L'altro tipo], quello «che usiamo noi», Guido lo chiama modus mollis e con esso intende la rottura del parallelismo per quarte. ...

Egli non mette per iscritto gli esempi con neumi e linee e le chiavi da lui inventate, ma semplicemente con lettere corrispondenti alle altezze; infatti si tratta qui di esempi che fanno parte di un discorso teorico, e non sono "composizioni" o campioni di "composizione", quanto piuttosto modelli per l'esecuzione estemporaea dell'organum.

L'occursus

Poiché Guido non giustifica la posizione del suono limite con la necessità di evitare il tritono (cosa che invece permetteva l'ordinamento dasiano, da lui rifiutato), egli sviluppa, a mo' di spiegazione alternativa, una teoria speciale sul modo di cadenzare le diverse sezioni, la teoria dell'occursus: la parola sottolinea il fatto che nella formazione dell'unisono sulle cadenze conclusive di ogni singola sezione la voce organale – a certe condizioni e sotto determinate regole – «si fa incontro» (occurrit) al suono conclusivo del cantus. ...

Guido fissa tre suoni limite, cioè tre suoni che come vis organi fungono da regolatori della voce organale. Con ciò egli divide – come già l'autore del Musica enchiriadis, ma con maggior decisione – lo spazio sonoro della diafonia in tre esacordi omologhi, i cui rispettivi suoni più gravi (do, fa o sol), secondo il registro del cantus e l'eventuale presenza del si bemolle o del si naturale, valgono come suoni limite della voce organale.

Il fatto che Guido – come un secolo prima la Musica enchiriadis – tratti anche quella polifonia che conclude sull'unisono (e spesso anche inizia, data la natura ad arco del canto gregoriano) dimostra che il tipo che Guido dice mollis era un organum largamente praticato. I tentativi di giustificarlo sono inefficaci in entrambi i trattati. Se Guido è consapevole che la scala dasiana è un'astrazione non percorribile, la sua teoria dell'occursus affronta solo una serie di limitazioni ma non è capace di restituire le ragioni di tali limitazioni.
In sintesi per Guido il momento dissonante che precede l'unisono (seconde e terze) è corretto solo se evita intervalli minori. Ora, se il semitono (seconda minore) viene certamente escluso per la sua durezza, l'esclusione della terza minore serve solo a evitare di scendere oltre il 'suono limite' (tale suono infatti si pone in genere sopra il semitono). Ma l'esistenza di un 'suono limite' scaturiva probabilmente da altre esigenze: a) dalla spontaneità di tenere un suono pedale in una polifonia improvvisata; b) della necessità, sia pratica che teorica, di evitare il tritono; c) e – almeno per Guido – dal porsi alla base di un tetracordo col semitono fra il terzo e quarto suono (di fatto un modo maggiore in embrione, ovvero dove la terza e la quinta coincidevano con i primi armonici di cui quel 'suono limite' era fondamentale).
L'elemento interessante invece della teoria dell'occursus è la teorizzazione di una sezione dissonante che precede la chiusa in unisono, struttura armonica che è il nucleo base del sistema cadenzante moderno basato sul rapporto fra tensione e riposo. [d.d.]

Forme polifoniche

La teoria guidoniana dell'organum tratta due forme speciali di organizatio. Se nell'ambito di una sezione il cantus scende di passaggio sotto il suono limite, allora anche la voce organale può oltrepassarlo, deve però ritornarvi «non appena [nel cantus] quel suono grave sia lasciato in maniera tale che non se ne attenda il ritorno»:

Un secondo caso particolare è chiamato da Guido organum suspensum, «organum fluttuante (sospeso)». Nel cantus abbiamo la stessa situazione che nell'esempio precedente: all'interno di una sezione esso scende di passaggio sotto il suono limite della voce organale, che – come Guido nota espressamente – anche in questo caso potrebbe essere oltrepassata verso il grave dall'organizator. «Spesso però» l'organum viene «tenuto sospeso» ..., cioè rimane sul suono limite cosicché ne scaturisce il fenomeno di un « íncrocio di parti»:

De musica di Johannes Cotton detto Affligemensis (ca. 1100)

Un celebre trattato, redatto sul modello del Micrologus di Guido d'Arezzo da tal «Johannes» presumibilmente intorno all'anno 1100 in un'area riferibile al monastero di San Gallo, fu intitolato in una copia tarda De musica cum tonario. Il trattato è dedicato «venerabili Angelorum antistiti Fulgentio» che si è identificato con Fulgenzio (1089 al -1121) abate del monastero di Afflighem nella Fiandre. Due copie attribuiscono però il testo a Johannes Cotton o Cottonius e pertanto il De musica è comunemente noto come opera di Cotton detto Afflighemensis.

da: Reese, La musica nel Medioevo, p. 323.

L'organum arcaico descritto dai teorici, e anche quello libero usavano un solo intervallo consonante per i passaggi paralleli; cioè, non distribuivano le quarte e le quinte alternativamente. Viceversa, l'organum descritto da Cotton differisce, perché mischia attentamente, per amor della varietà, tutte quante le consonanze tradizionali: l'unisono, 1'ottava, la quarta e la quinta. E, cosa importantissima, il valore del moto contrario diventa sempre più appariscente nel procedimento, quantunque il moto parallelo non sia vietato. Scrive così il Cotton:

La diafonia ... è praticata in vari modi; ma la maniera più comprensibile è quando il moto contrario è tenuto in special considerazione, cioè quando la voce organale discende e il cantus firmus ascende, e viceversa. Se il cantus finisce su nota grave, la voce organale dev'essere più acuta, ascendendo fino all'ottava; ma se finisce invece sopra un'acuta, la parte organale deve cercare l'ottava inferiore; e quando conclude in una posizione media, le due parti debbono finire all'unisono. Una condotta ben pensata dell'organum risulterà quindi dagli sforzi fatti affinché le chiuse all'unisono si alternino con quelle all'ottava, dovendo preferirsi le prime.

Nell'organum descritto da Cotton, l'incrociarsi delle parti non era soltanto consentito, come nel Micrologus, bensì era considerato desiderabile. Due, anche tre, note nella vox organalis sono consentite contro una nota del canto fermo; ma Guido Monaco sanzionava l'opposto, cioè più di una nota nella principalis, contro una sola nell'organalis. Un metodo per misurare le lunghezze di durata, di modo che le parti possano mantenersi insieme, diventa sempre più necessario. Cotton dedica, su ventitre, un sol capitolo all'organum ...

Notazione alfabetica (XI-XII sec.)

Codice di Montpellier (monodico, XI sec.) | da:Willi Apel, Il canto gregoriano [1958], Lucca 1998, p. 315.

Montpellier, Faculté de Médecine, H 159

È un manoscritto famoso e unico:
– per la disposizione tonale dei canti della Messa (tonale missarum),
– per la notazione 'bilingue', in neumi ed in lettere,
– e per le indicazioni dei quarti di tono.
La pagina contiene canti di IV modo, come è indicato dall'inscrizione, deuterus, e dalla nota a margine, pl(agius). Il primo canto completo è l'Introito Resurrexi, mentre sul margine destro sono indicate le rimanenti parti della Messa pasquale ... La caratteristica più importante è rappresentata dalla notazione alfabetica che, traducendo i neumi non diastematici in una forma chiaramente decodificabile, fa di questo manoscritto l'unico a poter essere decifrato con precisione tra quelli più antichi. Le lettere hanno lo stesso significato che hanno a tutt'oggi (nei paesi di lingua inglese e tedesca), ma continuano, dopo la g, con le lettere successive dell'alfabeto, sicché le lettere  h, i, k, l, m, n, o, p  stanno ad indicare le note  la, si, do', re', mi', fa', sol' e la' ...

particolare

La presenza dei quarti di tono, oltre ad essere un unicum della notazione occidentale, si pone curiosamente in relazione diretta con il systema teleion greco.
Distribuendo tutte le altezze usate nel codice si ottiene una scala di due ottave da la a la, dove i quarti di tono suddividono solo i semitoni. La corrispondenza con i cinque tetracordi che costituiscono la doppia ottava greca è perfetta e l'uso del quarto di tono sembra voler riproporre il genere enarmonico.
Il genere enarmonico era da secoli caduto in disuso ed era conosciuto attraverso Boezio. È sempre Boezio che utilizza le lettere da A a P per nominare la doppia ottava greca, seppur con ordine inverso delle note. Non dev'essere casuale quindi che i suoni non nominati da Boezio adottino nuove segni nuovi (apparentemente derivati dalla notazione greca) oppure, nel caso del si bemolle, l'inclinazione della lettera i (entrambe senza puntino).

Ad organum faciendum (ca 1100) | da: Reese, Musica nel Medioevo, p. 315.

Se Cotton è indifferente all'organum, l'anonimo autore di Ad organum faciendum, probabilmente francese, è, invece, pieno di entusiasmo. L'intero suo trattato è dedicato a questo argomento. Negli esempi che, dal punto di vista storico, sono notevolissimi, la vox principalis, come nelle composizioni di Winchester, sta sotto alla organalis. L'autore spiega cinque modi, non melodici o ritmici, bensì modi di organum; e questi trattano del metodo di combinare due parti in circostanze che sembrano scelte piuttosto arbitrariamente.

Ma il trattato mette innanzi due particolari di sommo interesse. Il primo ... riesce importante nella storia della teoria armonica: il si è bemollizzato negli esempi musicali a scopo di evitare l'intervallo armonico di quarta aumentata; e l'autore tralascia l'antico metodo di evitare l'intervallo mantenendo stazionaria la voce inferiore.

Il secondo particolare è significativo nella storia della teoria del contrappunto: vari esempi musicali fanno uso della medesima melodia in ogni principalis, ma scelgono una melodia differente in ogni organalis, risultato reso possibile dallo scambio delle consonanze.

Ut tuo propitiatur (XII sec.) | da: Reese, Musica nel Medioevo, p. 491.

Vi è un frammento di musica scritta nel secolo XII, ma forse di epoca anteriore, conservato in un ms. composto nella parte celtica della Britannia. Si tratta di un adattamento per due voci dell'Ut tuo propitiatus – il versetto per il responsorio Sancte Dei pretiose – trascritto nel ms. Bodleiano 572 proveniente dalla Cornovaglia. È di carattere pentatonico, ciò che, a giudicare dalla musica celtica tradizionale registrata nei secoli XVIII e XIX, avvicinerebbe piuttosto alla musica irlandese e scozzese che a quella gallese. Le note musicali sono in doppia fila di lettere alfabetiche, e lo stile è più melismatico che sillabico. Le due voci procedono spesso per moto contrario e s'incrociano, formando tutti gli intervalli dall'unisono all'8a, ma più spesso la quarta e la quinta. Con i pezzi di Winchester, questo è fra i più antichi esempi pratici conosciuti di moto contrario.

da: Apel, Notazione, p. 225.

Anche se probabilmente questo brano risale al primo sec. XII, usa un sistema di lettere più antico, nel quale le due ottave da la a la' vengono indicate dalle lettere successive da a a p. Per facilitarne la comprensione diamo qui l'inizio in scrittura moderna:

h g f g · h k l n ·
h h h g · h g ? f
h k l k h ·
h g f g h
k h i g f g
k ? i h i
h ·
h ·
...
...
Ut tuo propiti- a[tus]- tus interventu Dominus

Ogni tanto due lettere sono scritte attaccate, come hg sopra in(terventu), fg sopra ce(li). La fine della voce superiore è h dk l k h. ... La forma obliqua della lettera i significa probabilmente che qui si intende si bemolle (non si). Nella serie di lettere inferiore si trova ripetuto un segno particolare (riprodotto sopra come un ?) che è stato interpretato in modi diversi. La soluzione giusta è senza dubbio quella data da P. Wagner, secondo il quale esso rappresenta il ben noto oriscus o strophicus della scrittura neumatica, cioè un passaggio di portamento da una nota alla seguente, che in tempo più tardo veniva eseguito come semplice prolungamento. Perciò giungiamo alla seguente trascrizione:

Esempi francesi minori di polifonia (IX-XII sec.)

da: Reese, Musica nel Medioevo, p. 324-325.

[Chartres] Esistono a Chartres due codici del secolo IX o X, il primo dei quali contiene cinque e l'altro otto Alleluia a due voci, tutti aggiunti nel secolo XI. Di questi, solo cinque del secondo ms. sono in notazione su rigo. Il Ludwig [«Handbuch der Musikgeschichte» 1924, p. 175] ne pubblica uno che, tutto sommato, risponde alle idee dei teorici intorno al moto contrario e alla scelta delle consonanze (compresa la quarta); ma contiene anche, ogni tanto, qualche dissonanza usata liberamente (comprese la terza e la sesta) ...

[Fleury] Un ms. originario di Fleury [vicino a Tours] , ora alla Vaticana, contiene in stato incompleto, nove responsorii a due voci in onore di S. Pietro, ma sono neumi senza rigo. Un altro ms. della Vaticana, proveniente da Fleury o da Tours, contiene altri tre pezzi. [Bannister, Monumenti vaticani, 1913]

[Charlieu] Che il miglioramento eseguito nella pratica sia avvenuto dopo la prima metà del secolo XII, è rivelato non solo dalle composizioni, ma da un altro trattato almeno, attribuito a Guy, abate di Charlieu [a sud di Cluny]. Questo dà ventun regole definite per guidare la voce organale in qualsiasi circostanza che possa presentarsi. Per esempio, se le due parti erano all'ottava e la bassa ascendeva di una quarta, la voce organale poteva discendere di una quinta o di un'ottava, ecc.

[Ms. di Saint-Victor] Un altro scritto, l'anonimo Quiconques veut deschanter [F-Pn, Lat. 15139], il più antico trattato musicale in francese, quantunque sia conservato in un ms. del secolo XIII, annovera forse dottrine del XII secolo. Ivi è omessa la quarta dalla lista delle concordanze disponibili, e sono impartite alcune regole definite per il trattamento dell'organalis alla quale si allude come a un 'discanto'.

Il Tropario di Winchester (XI sec.)

da: Apel, Notazione, p. 225.

Il primo tentativo di usare i neumi per notare musica a più voci, si trova nel cosiddetto Tropario di Winchester (Cambridge, Corpus Christi College, Ms. 473) del sec. XI. Questo libro è composto essenzialmente da una raccolta di tropi a una sola voce, però contiene anche – in una parte separata che porta il titolo Incipiunt melliflua organorum modulamina super dulcissirna caelestia praeconia – le voci organali per un grande numero (più di 150) dei praeconia (canti di lode) contenuti nella parte principale. Peccato che le melodie siano scritte in neumi chironomici, la cui lettura, se d'altra parte possibile, è quanto mai insicura. La stessa questione fondamentale, se le voci organali stiano ancora sotto la voce principale (come sempre negli organa più antichi) o già sopra di essa (come divenne comune nel sec. XII), non è stata ancora risolta.

San Marziale di Limoges (XII sec.)

da: Apel, Notazione, p. 225.

I manoscritti di S. Marziale in Limoges e fonti affini [F-Pn, Lat. 1139, 3719, 3549; GB-Lbl, Add. 36881] contengono un ampio repertorio di organa a due voci, che sono scritti in neumi diastematici, quindi chiaramente leggibili.

Serva da esempio il Viderunt omnes riprodotto nel facsimile [a fianco] dal cod. Lat. 3549. Sopra ciascuna riga del testo si riconoscono due file di neumi del tipo aquitano (cioè della Francia del Sud), che sono separate l'una dall'altra da una riga più spessa tracciata un po' irregolarmente. I neumi sono notati su sistemi di tre o quattro linee che sono tracciate a secco sulla pergamena e quindi appena riconoscibili in una riproduzione fotografica. Nel facsimile esse sono state ripassate.

La composizione è un tropo rimato al graduale di Natale Viderunt omnes fines terrae. L'intero testo dice:

Viderunt Hemanuel | patris unigenitum
in ruinam Israel | et salutem positum:
hominem in tempore, | verbum in principio,
urbis quam fundaverat | natura in palacio
omnes fines terrae salutare Dei nostri...

La seconda riga della poesia viene eseguita sulla stessa musica della prima. ... Si dà che anche la musica della quarta riga corrisponda a quella della terza fino alla chiusa allargata a mo' di cadenza. La composizione ha perciò la forma a a b b'. La continuazione del testo originale (omnes fines...) viene naturalmente cantata in autentica melodia gregoriana. Anche con la parola iniziale Viderunt è usata nella voce inferiore la melodia gregoriana, ma per una ragione sconosciuta è trasportata da fa a sol. Cfr. l'ipotesi di trascrizione.

da: Reese, La musica nel Medioevo, p. 328-329.

Una delle invenzioni strutturali più significative di tutta quanta la musica medievale era in via di formazione: il tenor, ogni nota del quale poteva sostenere al disopra di esso un intero gruppo di note in una seconda parte detta duplum ... e appunto da questa caratteristica di 'tenere' le note prese il nome di tenor. In ciò possiamo forse vedere l'annunzio del futuro passaggio a dignità d'arte del bordone, caratteristico della musica popolare.

Le prime, numerose applicazioni, di quello che potremmo chiamare 'stile di suono sostenuto', figurano in quattro mss. degli inizi del secolo XII, originari del monastero di San Marziale, a Limoges; e questi codici contengono anche composizioni di un genere più semplice. Quindi sono rappresentati due tipi principali: il primo, ereditato dal periodo più primitivo, in cui la scrittura era soprattutto nota contro nota; e quello, in cui appare lo stile del suono sostenuto. ...

[stile sillabico] Il primo tipo era illustrato dal Mira lege, miro modo, [Lat. 1139] giustamente assai conosciuto, il cui l'argomento è una canzone metrica, piuttosto che una melodia ecclesiastica, e che cade in frasi ritmiche ben definite. Il pezzo presenta dieci esempi di due note contro una, ma niente di più elaborato. Sebbene questa composizione sia abbastanza conservatrice nella forma e non appaia caratteristica della scuola di San Marziale, è degna di nota ... perché contiene fino a diciassette terze contro ventidue quinte e soltanto nove quarte (oltre ad alcune seconde e seste).

Mira lege è una prosa il cui verso, un ottonario piano più un settenario sdrucciolo derivante dal dimetro trocaico catalettico greco, è tipico della lirica latina medioevale. Un ritornello in ottonari piani segue ogni strofa. Il testo, di natura scolastica, sviluppa, attraverso una sicura padronanza delle figure retoriche, il tema dell'incarnazione come nuova creazione e della musica come allegoria e specchio del piano divino.La musica è scritta in discanto nota contro nota e prevalentemente in moto contrario. Tanto i versi quanto il ritornello terminano con una coda asillabica.
Mira lege miro modo
Deus format hominem.
Mire magis hunc reformat,
vide mirum ordinem.
In modo mirabile, con legge mirabile
Dio crea l'uomo.
Ancor più mirabilmente lo ricrea:
ecco questa nuova disposizione.
Reformandi mirus ordo
in hoc sonat decacordo.
La mirabile nuova creazione
risuona in questo decacordo.
Primus homo fit ex humo,
mulier ex homine.
Nos ex illis, novus homo
fit ex sola Virgine.
Il primo uomo nasce dalla terra,
la donna dall'uomo.
Noi da loro: l'uomo nuovo
dalla sola Vergine.
Reformandi ... etc. La mirabile ... etc.
A predicto decacordo
discordanti non concordo.
Non sunt Christi quibus cordi
non est ordo decacordo.
Non concordo con chi discorda
da questo decacordo.
Non è con Cristo chi non ha a cuore
la disposizione del decacordo.
Reformandi ... etc. La mirabile ... etc.

Mira lege — Stirps Jesse | dir. Enrico De Capitani | Cd Amadeus-Darp, 1996

[stile bordone] Contenuto veramente notevole di questi mss. sono importanti organa in stile di 'suono sostenuto' .... Eccone uno, l'inizio del Benedicamus Domino tropato. Siccome l'originale non è in notazione mensurale, il Ludwig ha interpretato come libero il ritmo la cui parte superiore è somigliante al canto fermo.

Quando la parola «Domino» segue nel tenor, il duplum canta sul testo tropato «Humane prolis», cioè il pezzo ha due testi cantati contemporaneamente, e quindi possiede il tratto essenziale del mottetto più antico (vedi p. 383). Soltanto un'altra composizione in questi mss. può considerarsi un mottetto, da questo punto di vista [quella intitolata Stirps Jesse, Lat. 3543]

Stirps Jesse è un tropo del Benedicamus, quest'ultimo cantato dalla voce principale a modo di tenor sulla musica di Flos filius dal responsorio Stirps fesse di Fulberto di Chartres. La voce organale, fiorita e virtuosistica, espone un testo che sviluppa il mistero dell'incarnazione attra verso l'immagine dell'albero di Jesse, una delle più amate dalla lirica e dall'iconografia medioevale: simbolo della stirpe davidica dalla quale, in Maria, germoglia il Figlio, Uomo-Dio, e, al tempo stesso, del passaggio dall'Antico al Nuovo Patto, l'albero di Jesse si innalza su un gran numero di portali e vetrate roma niche e gotiche e sui fogli miniati di diversi manoscritti.
Stirps Jesse florigeram
germinavit virgulam
et in flore Spiritus
quiescit Paraclitus.
La stirpe di Jesse
ha prodotto un germoglio
nel cui fiore riposa
lo Spirito Paraclito.
Fructum profert virgula
per quam vivunt saecula:
stirpis ex davidice
virga dieta mystice,
qua sic, qua sic fioruit
et qux florem protulit.
Il germoglio porta un frutto
da cui il mondo trae vita:
quel germoglio che fu predetto,
della stirpe di Davide,
è fiorito
e ha dato un fiore.
Virga Jesse virgo est,
Dei mater, flos filius
eius est cuius pater.
Il germoglio di Jesse
è la Vergine madre di Dio;
il fiore è il figlio che le è padre.
Huic flori praeter morem
edito canunt chori
sanctorum ex debito.
A questo fiore nato miracolosamente cantano i cori
dei santi, come è giusto.
Laus et iubilatio,
potestas cum imperio
sit sine termino
caelorum Domino.
Lode, giubilo,
potere e impero
siano senza fine
al re del cielo.
Tenor: Benedicamus Domino Benediciamo il Signore

Stirps Jesse — Stirps Jesse | dir. Enrico De Capitani | Cd Amadeus-Darp, 1996

Senonché lo stile melismatico della voce superiore è il tratto saliente dei dupla qui contenuti nel loro complesso, come lo è il necessariamente concomitante prolungarsi del tenor. ...

Sebbene non si riesca a definire, per questi pezzi, come per quelli del secolo XI, se essi ebbero veramente larga diffusione, pur sembra assai probabile che una parentela esistesse fra gli organa di San Marziale e le famose opere contrappuntistiche parigine dell'ultima parte del secolo XII.

... I dupla, che forse erano destinati ai solisti, rivelano una notevole sensibilità artistica per le esigenze del canto a solo. L'ondulare dei melismi che abbelliscono questi dupla segna ormai un progresso dalla rudezza che qualche volta sembra non potersi evitare nella scrittura contrappuntistica nota contro nota. Il modello per lo stile dei melismi poteva trovarsi nelle melodie 'a solo' del canto gregoriano.

Codex Calistinus (Santiago di Compostela, ca 1140)

da: Reese, Musica nel Medioevo, p. 330-331.

L'estremo lembo nord-ovest della Spagna è l'unico di quel paese che non soggiacesse mai ai mori. Proprio di lì partì la riconquista in nome della Cristianità; e in quel sottile lembo di terra fu intenso il fervore cristiano. Era sorta una leggenda secondo la quale la salma dell'apostolo San Giacomo, dopo il martirio in Terra Santa, sarebbe stata trasportata a Compostella per trovarvi sepoltura. E quando si rinvennero le ossa che furono riconosciute come sue, quel luogo, detto Santiago di Compostella, fu mèta di pellegrinaggi da paragonarsi a Canterbury. Dopo le nozze dell'eroico Alfonso VI di Castiglia (1065-1109) con Costanza di Borgogna, i pellegrini francesi divennero numerosissimi. Le Cantigas di Alfonso X racchiudono un passo che descrive i pellegrini tedeschi sulla via del Santuario.

Il mirabile codice Calixtinus di Santiago, scritto intorno al 1140, rivela nettamente una origine francese: fra l'altro appaiono in esso alcuni nomi francesi, come nomi di compositori; altri di principi della Chiesa, ai quali erano attribuite alcune composizioni, forse senz'alcun fondamento. Il contenuto del codice è quasi tutto monodico, ma comprende venti organa, uno dei quali pare sia la più antica composizione a tre voci che noi conosciamo. È interessante notare che questa è attribuita a un certo «Magister Albertus» parigino: ben presto assumeranno importanza i musici di Notre Dame di Parigi.

Il pezzo è un tropo del Benedicamus Domino, Congaudeant catholici, in cui le due voci gravi cantano in un organum del genere descritto da Giovanni Cotton; mentre la voce acuta canta una melodia fluente nello stile melismatico prof della Scuola di San Marziale. La notazione non è mensurale; i valori di tempo, nell'esempio che segue sono «restauro» del Ludwig.

Congaudemus — [?]
Congaudemus — Ensemble für Frühe Musik Augsburg (1986)
Congaudemus — Sequentia (1992) | VOx Iberica
Congaudemus — Grupo de Musica Alfonso X el Sabio (1997) | Luis Lozano Virumbrales, dir.
Congaudemus — Ensemble Organum (2004) | Marcel Pérès, dir.
Congaudemus — Lumina Vocal Ensemble (2011) | Anna Pope, dir.
Codex calistinus, f. 185r ( = 214r)
Edizione diplomatica.
Trascrizione di F. Ludwig (1924)
Trascrizione di P. Wagner (1932)
Altra trascrizione moderna.
Congaudeant catholici, tropo del Benedicamus, è forse la prima composizione polifonica a tre voci. Sul manoscritto il tenor e il primo discanto, parzialmente fiorito soprattutto nel ritornello, sono scritti in inchiostro nero da un copista. Un'altra mano aggiunse in rosso un secondo discanto in moto contrario non fiorito. Le audaci dissonanze prodotte dall'esecuzione simultanea delle tre parti hanno portato taluni studiosi a ritenere il secondo discanto alternativo al primo, ma l'esecuzione a tre voci regge dal punto di vista estetico e fa del brano un pezzo d'avanguardia per il suo tempo.
La polifonia di Saint-Martial e di Santiago è trascritta dagli studiosi secondo diverse soluzioni ritmiche, giacché i manoscritti sono muti a tal proposito: noi abbiamo optato caso per caso per un ritmo libero o mensurato analizzando le caratteristiche del testo e la forma musicale.
Congaudeant catholici,
laetentur cives caelici.
Gioiscano i cattolici,
si rallegrino i celesti
Die ista. In questo giorno.
Clerus pulchris carminibus
studeat atque cantibus.
Il clero si dia
a bei carmi e canti.
Die ista. In questo giorno.
[Haec est dies laudabilis,
divina luce nobilis.
Questo è il giorno di festa,
abbellito dalla luce divina.
Die ista. In questo giorno.
Vincens Herodis gladium
accepit vitae bravium.
Vincendo il gladio di Erode
ricevette il premio della vita.
Die ista. In questo giorno.
Qua Jacobus palatia
ascendit ad celestia.
Giorno nel quale Giacomo
salì alla reggia celeste.
Die ista.] In questo giorno.
Ergo carenti termino
benedicamus Domino.
Dunque benediciamo
senza fine il Signore.
Die ista. In questo giorno.
Magno patri familias
solvamus laudis gratias.
Rendiamo grazia e lode
al sommo Padre.
Die ista. In questo giorno.

Congaudeant — Stirps Jesse | dir. Enrico De Capitani | Cd Amadeus-Darp, 1996

da: Apel, Notazione, p. 225.

Il facsimile [che segue] mostra una pagina del cosiddetto Codex Calixtinus della Cattedrale di Santiago di Compostela (Spagna del Nord), una fonte che è molto vicina al repertorio di S. Marziale sia come epoca che come stile. Il voluminoso codice è principalmente di contenuto letterario, contiene però alla fine una raccolta di canti per la liturgia di S. Giacomo, alcuni dei quali anche a più voci.

A metà del primo sistema della nostra pagina inizia un Alleluja Vocavit Jhesus, che è stato attribuito a «Magister Goslenus episcopus suessionis». Il testo dice:

Vocavit Jhesus Jacobum Zebedei et Johannem fratrem eius et impasuit eis nomina Boanerges [forti come il tuono].

Le due voci sono scritte in neumi che si differenziano da quelli aquitani principalmente per la disposizione obliqua (non verticale) delle forme discendenti (climacus). Per favorire la loro lettura, facciamo seguire una trascrizione in note corali moderne che abbiamo tratto dalla pubblicazione di P. Wagner, Die Gesange der Jakobusliturgie Zu Santiago de Compostella (1932), p. 122:

Alleluia vocavit Jhesus

Certamente questi «neumi del sec. xx» rappresentano un mezzo assai comodo – in un certo qual modo persino l'unico ragionevole – per trascrivere composizioni di questo tempo antico, il cui libero ritmo melismatico non si può riprodurre con i segni della notazione odierna. Tuttavia la trascrizione di Wagner lascia non risolto un punto importante, cioè come siano da correlazionare le note della voce inferiore ai suoni molto più numerosi della voce superiore.

Esempi italiani minori di polifonia (XII sec.)

da: Agostino Ziino, Polifonia "arcaica" e"retrospettiva" in Italia centrale: nuove testimonianze, «Acta musicologica» 1978, p. 193.

... in Italia a partire dal XII secolo, a differenza della Francia dove erano in voga i complicati e raffinari organa della scuola di San Marziale prima e di Notre Dame dopo, si [... è] praticata una polifonía liturgica molto semplice, per lo più nota contro nota e talvolta di tipo improvvisatorio. Questa sorta di cantus planus binatim – cosi venne chiamato da alcuni teorici – continuò ad essere praticato fino a tutto il XV secolo accanto alla polifonia artistica ed elaborata dell'Ars nova e della scuola fiamminga. Alcuni stadiosi, com'è noto, banno qualificato come «retrospettivo» questo tipo di polifonia, tardiva sì ma di fattura arcaica e in uno stile organale molto semplice. [cfr. Ziino 1978]