[Brevi documenti]
1 Con «invenzioni di cappe» s'intendono abiti insoliti, curiosi. La cappa è il tipico soprabito cinque-seicentesco.
Più comunemente 'ermesino': stoffa di seta cangiante.
Più comunemente 'tabì' o 'tabinetto': tessuto pesante di seta frusciante, usato per fodere pregiate.
'Tollerando', o meglio: cercando di distrarsi dalla noia della stagione.
Tessuto usato per il ricamo.
Participio passato di 'contessere', ovvero tessere insieme.
Parte alta del letto, dove si appoggiano i cuscini.
Nel senso di: 'ne facesse reputazione', ovvero ammirazione, apprezzamento.
Spiegata nel cap. precedente.
Ovvero che delle tre specie di solmisazione - molle, dura e naturale - quella naturale è quella meno diffusa. Sulla base degli otto modi è forse meno frequente la possibilità di adottare la specie naturale per nominare le note, ma sembra una giustificazione accessoria.
Il sistema antico si strutturava in 8 modi (di fatto 4 autentici da cui scaturivano i quattro plagali) perché fondato sulle 4 specie di quinta:
[re]
TsTT (prima specie) I modo e II (plagale)
[mi] sTTT (seconda) III modo e IV
(plagale)
[fa] TTTs (terza) V modo e VI (plagale)
[sol] TTsT (quarta) VII
modo e VIII (plagale
Zarlino, che ragiona sull'ottava, nel 1558 (Istituzioni armoniche, iv.10) propone 12 modi (6 autentici + altrettanti plagali), usando tutte e 7 le specie di ottava, ad esclusione della seconda che non ha una quinta nei primi 5 suoni:
[re]
TsTT·TsT (quarta specie) I modo e II (plagale)
[mi] sTTT·sTT
(quinta) III modo e IV (plagale)
[fa] TTTs·TTs (sesta) V modo e VI
(plagale)
[sol] TTsT·TsT (settima) VII modo e VIII (plagale)
[la]
TsTT·sTT (prima) IX modo e X (plagale)
[si] sTTsTTT
(seconda)
[do] TTsT·TTs (terza) XI modo e XII (plagale)
Nel 1571 (Dimostrazioni armoniche, v.8), propone di far cominciare la computazione dei modi non da re ma da do, per sfruttare l'ordine dell'esacordo: ma la proposta non otterrà seguito.
Cioè che esula dalla regola o perfezione.
Qui Banchieri usa una terminologia che non corrisponde a quella usata fino a quel momento, né a quella usata oggi (che sostanzialmente coincide con quella dei teorici rinascimentali). In pratica da sempre il tempo perfetto era quello ternario, e l'imperfetto il binario:
Per Banchieri il tempo perfetto è sempre binario, ovvero l'unico usato ai suoi tempi (il tempo ternario è invece reso in ogni caso attraverso una proporzione). Tale terminologia, condivisa solo da alcuni teorici seicenteschi come Penna (cfr. Collins 1966), non prenderà piede nei secoli successivi. Banchieri ci arriva per gradi a questa trasformazione. Nella i ed. della Cartella (1601) dice:
Il tempo voglio che noi lo poniamo di due sorti, cioè perfetto e imperfetto. Quando sarà perfetto si deve cantare il valore di una breve alla battuta, quando sarà imperfetto si deve cantare il valore di una semibreve alla battuta.
La definizione che sostanzialmente distingue il battere 'alla breve' (perfetto) o 'alla semibreve' (imperfetto), ha un suo legame con la tradizione se si intende il caso del perfetto tagliato e dell'imperfetto ordinario, ma Banchieri pensa comunque a un tempo binario. Del resto gli è nota la terminologia antica, ma preferisce usarne un'altra, come dimostra un passo delle sue Conclusioni (1608), p. 34:
Dagli musici antichi dui segni furono ritrovati per significare il tempo nelle di loro composizioni. Il primo era un circolo, segnato in tre maniere, cioè perfetto, appuntato e tagliato, e sotto questo significavano il tempo perfetto. Il secondo era un semicircolo soggetto agli istessi accidenti del circolo, e questo significava il tempo imperfetto. [...] Tuttavia, essendo le cantilene composte sotto tanti e variegati segni difficili agli cantori [...] dagli musici moderni sono sdimessi e ridotti sotto due tempi simili, più facili agli cantori e più soavi al concento, e questi ancor loro vengono nominati tempo perfetto e tempo imperfetto. Il tempo perfetto viene praticato con un semicircolo tagliato [...] Il tempo imperfetto viene segnato con uno semicircolo in questa maniera C.
Questa è la stessa terminologia che usa nella ii ed. della Cartella (1610):
Sotto il perfetto si mandano il valore di dui semibrevi alla battuta, come di note, come di pause; e sotto l'imperfetto una semibreve solamente.
In questa terza ed. della Cartella (1613) invece di distinguere fra perfetto e imperfetto Banchieri preferisce parlare di perfetto maggiore (binario alla breve) e perfetto minore (binario alla semibreve). A questo punto anche il rapporto fra maggiore e minore è ribaltato rispetto la tradizione antica.
L'esempio, apparentemente poco chiaro, deve essere letto come la rappresentazione di due voci sovrapposte: nel primo caso i rapporti proporzionali si giustappongono, nel secondo si sovrappongono (ovvero si attuano fra voci diverse). Come Banchieri dirà meglio più avanti, questo secondo caso si realizza attraverso l'utilizzo del color.
In realtà 'sesqui' è la contrazione del latino semisque (semis 'una parte' + que 'e') mentre 'altera' nel contesto significa 'due parti', ovvero 'due parti più una'. Sesquialtera è il modo con cui i latini indicavano la frazione di 3/2, così come con sesquiterzia ('tre parti più una') indicavano i 4/3.
Anche in questo caso Banchieri è eccessivamente sommario e tenta di giustificare una termologia che non conosce.
Cioè: se non vi fosse il numero di proprozione (3/2).
In buona sostanza il tactus (la battuta) rimane invariato. La presenza del segno di mensura che precede la proportio è del tutto superflua, poiché non influisce sul rapporto. L'esempio proposto da Banchieri è oltremodo equivoco e non rende l'idea della sovrapposizione ritmica:
Si tratta di un adattamento dall'esempio proposto nella Cartella II (1610) che tuttavia sembra persino più incomprensibile:
Per capire che Banchieri vuol mettere due valori a confronto bisogna rifarsi alla prima edizione della Cartella (1601):
Banchieri adotta il color unito al 3 che segue la prima semibreve nera:
C'è un celebre simile esempio nel madrigale di Monteverdi Tutte le bocche belle.
Ovvero come nell'esempio a nota precedente.
Ovvero non è necessario ripetere il '3' se proseguono le note nere.
In realtà se il color (le note nere) proseguirà per tutto il secolo, il numero '3', anche in conseguenza dell'interoduzione sempre più sistematica della barra di battuta, sembra limitato ai contemporanei di Banchieri.
L'esempio proposto da Banchieri presenta un errore corretto a mano nella stampa bolognese, secondo l'errata corrige che precede il volume (primo ovale), un'ingiustificata pausa di sembreve su entrambi i righi (rettangolo) e un punctum divisionis (secondo ovale) di cui Banchieri non ha dato conto, almeno fino a questo momento:
Non so dove Banchieri abbia tratto questa definizione, in realtà 'emiolia deriva da emis 'mezzo' e olos 'tutto', col significato di 'uno e mezzo'.
In pratica Banchieri formula questa spiegazione:
Cerca cioè di spiegare un segno che difatto corrisponde alla minima nera seppur abbia la fisionomia di una semiminima bianca:
La semiminima bianca può esser detta «biscroma» in quanto vale due volte una croma, anche se il termine non sembra essere usato in questi anni. In ogni caso, trattandosi di un altro modo di indicare la minima nera (per non confonderla con la semiminima moderna) sarà opportuno chiamarla minima uncinata. In realtà l'uso della minima uncinata è diffuso solo come alternativa alla semiminima moderna (v. per es. il Sainete di Draghi). Banchieri la usa in tal modo (p. 194) e anche quando varrebbe la pena usarla secondo l'indicazione qui proposta i compositori la trascurano (v. per es. Agostini nella Floridea, il cui unico uso della minima uncinata sembra un errore).
Il riferimento a Johannes de Muris e la data del 1353, Banchieri lo ricava dall'Antica musica ridotta alla moderna pratica di Nicola Vicentino (1555), relazionando l'attività di Muris a quella di Guido d'arezzo:
... così il reverendo Guido dette principio e cognitione alli discepoli co'l mezzo di questi segni e co'l fauore di papa Giovanni XX, romano e la prattica di tali sillabe e segni fu posta in uso nel M.XXIIII [1024] secondo che si ritroua scritto nel fascicolo delle Croniche antiche.
... et veramente non si deve dire più contrapunto a questi tempi, perché non usiamo scrivere punti ma note e caratteri, ritrovate da'l grandissimo filosofo Giovanne de Muri, il quale, ritrovandosi in Francia nello studio di Parigi, ritrovò il modo di scrivere le otto figure overo segni delle note che usiamo scrivere sopra le righe e spazi ...
... furno fondate le otto figure musicali in questo modo, et fu di necessità (a Giovanne de Muri volendo formare otto figure musicale, cioè: massima, lunga, breve, semibreve, minima, semiminima, croma et semicroma) fondare il suo pensiero sopra alcune figure fatte in proposito della prattica musicale et fuore di quelle cavare altre figure, come a me pare che non può essere stato altrimenti, se non aver cavato le otto figure dal b molle, et da'l b quadro nel modo che adesso ti narrerò ... [c. 9r]
Or questo bastarà quanto all'inventione delle otto figure musicali ritrovate dall'antedetto inventore, che fu dopo Guido Monaco trecento e ventinove [329] anni ... [c. 10r]
Vicentino cita tali «Croniche antiche» anche a c. tr ma non è chiaro a cosa si riferisca. Papa «Giovanni XX» è quello modernamente noto come XIX (1024-1032) ed è possibile che la data riprenda il primo anno di pontificato. 1024 + 329 dà 1353, ma anche in questo caso non è chiaro come Vicentino stabilisca questa data che peraltro cade 2 anni dopo la morte di Muris. Kaufmann 1963, nota 36, suggerisce l'ipotesi che Vicentino abbia potuto avere accesso a una delle 50 copie della Musica speculativa di Muris (il compendio da Boezio) che riporta «abbreviata Parisis in Sorbona A.D. 1323», leggendo male la data in 1353.
L'invenzione della forma delle note a partire dai segni di diesis e bemolle è la teoria di Vicentino (v. nota precedente); non so dire chi siano gli «altri» che producono «geometricamente».
Il termine, accolto in Brossard 1703, riappare in alcuni dizionari settecenteschi della Crusca, ma non sembra abbia realmente preso piede.
In realtà s'intende sia la terza maggiore che la terza minore, elevando il numero dei 'perfetti' a sette.